2. L’esercizio critico di «pensare da sé»
2.2. Una riforma del «modo di pensare»
Sarebbe nondimeno possibile che si avvii il processo di emancipazione dell’uomo se a questi, “pubblico” o società, viene garantita la possibilità di un pieno esercizio della libertà, tale da garantire quella vera trasformazione nel “modo di pensare”, peraltro impossibile con una rivoluzione che può portare solo alla fine di un dispotismo personale, ma non alla eliminazione di ogni pregiudizio. L’esercizio
359 Hinske, Kant Index, cit. Bd, 14, p.150, in G. Micheli, op. cit. p. 156
360 Kant nella Nachricht afferma che il testo filosofico serve perché non c’è che un modo per
imparare a filosofare: applicare la propria ragione ai tentativi di filosofare già dati. Tuttavia esso deve essere uno strumento didattico utile per l’educazione della ricerca e per l’esercizio del talento critico in quanto offre una riflessione personale sui contenuti della ricerca filosofica a partire da tesi e argomentazioni, inoltre è indispensabile in quanto l’apprendimento del metodo avviene esercitandosi a riflettere criticamente sugli enunciati posti dagli altri.Nella prima Critica Kant afferma che si impara a filosofare applicando «la propria ragione ai tentativi di filosofre già dati» (I. Kant, Critica ragion pura, A 838 B 866, tr.it. p. 626). Sullo stesso tema, si veda l’interessante contributo di P. Venditti, «Filosofia e imparare filosofia, in Id., Filosofia e società, pp.116-147 in cui sottolinea come Kant, nel passaggio dell’Architettonica sintetizzi bene la questione: «si può filosofare, cioè ri-pensare (nach-denken) le dottrine dei filosofi del passato dal punto di vista dei loro principi e insieme dal punto di vista dell’archetipo latente latente della ragione costruito dai prodotti della sensibilità) rispetto al quale, previa comparazione, possono esser giudicate e sorpassate» (ivi, p. 119)
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della libertà conduce infatti al pieno uso della ragione; ma, nello stesso tempo, è necessario distinguere tra un “uso pubblico” 361 e un “uso privato” della ragione.
Kant afferma che se ad un pubblico si lascia la libertà di parola e di stampa, si illumina da sé e, in un universo dove sia riconosciuta tale libertà, nascono «pensatori liberi» che «dopo aver scosso il giogo della minorità, diffonderanno intorno a sé lo spirito di una stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sé».362 La più alta dignità dell’uomo risiede proprio nell’autonomo esercizio della propria intelligenza. In questa pagina dello scritto, Kant elogia «l’intellettuale del dissenso» che, con coraggio si libera da tutto ciò che pretende di imporsi come assolutamente vincolante all’uomo non ancora maggiorenne ed ingaggia una battaglia culturale-politica contro il conformismo, contro l’abitudine, l’ovvio, il consolidato, ponendosi come educatore etico-politico di altri uomini che vengono sollecitati a «pensare da sé», a realizzare una vita degna dell’uomo.363
L’illuminismo è per Kant, lo abbiamo visto, la via che consente il costituirsi di una comunità di uomini pensanti. Forse, afferma Kant, «una rivoluzione potrà determinare la caduta di un dispotismo personale e porre termine a una oppressione avida di guadagno e potere, ma non provocherà mai una riforma del modo di pensare».364 Kant vuole manifestare il suo convincimento secondo cui se non c’è
già stata o non si verificherà una «riforma nel modo d pensare degli uomini, inevitabilmente, dopo la rivoluzione nuovi pregiudizi serviranno al pari dei vecchi, a guardare la gran folla di che non pensa».365
Solo l’illuminismo può realizzare una modificazione del «modo di pensare» che escluda i pregiudizi e, a questo illuminismo, aggiunge Kant, non serve altro che la
361 Secondo il Dizionario tedesco di Jacob Grimm va attribuita a Kant la paternità della accezione
peculiare di «uso privato e pubblico della ragione» da lui introdotta nel lessico della lingua tedesca. Kant si è ispirato a una distinzione già formulata all’interno di una sentenza di Federico II che assolveva il predicatore Johann Heinrich Schulz dalle accuse dell’Oberconcistorium, riconoscendo all’ecclesiastico la facoltà di muoversi liberamente nella sua pubblica attività di studioso ed esperto della materia (Cfr. G. Beyerhaus, Kans programm der Aufklärung aus dem Jahre, 1784, in “Kantstudien”, 26, 1921, pp.1-16, in Che cos’è l’illuminismo. I testi e la genealogia (a cura di) A. Tagliapietra, p. 27
362 I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? tr. it., a cura di M. Bensi, ETS, Pisa
2013, p.17
363 P. Salvucci, L’uomo di Kant, Argalia, Urbino 1975, p.502 364 I. Kant, op.cit., p. 17
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libertà, la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare «uso pubblico della propria ragione in tutti gli ambiti».366
Può l’uso pubblico di ragione essere davvero inoffensivo? Kant, sottolinea Salvucci, afferma che la cosa sta diversamente. Egli rivendica infatti una libertà che, lungi dall’essere qualcosa di inoffensivo, si manifesta come pericolosamente insidiosa per le istituzioni esistenti.
Kant, utilizza notoriamente due diversi modi di intendere la ragione nel suo duplice uso, pubblico e privato, peraltro invertiti rispetto al senso comune. Per «uso pubblico della ragione» Kant intende quell’uso della ragione che ciascuno, in quanto privato (cioè come “esperto”, nei termini della libertà intellettuale di studioso) di una determinata materia esercita di fronte al pubblico dei suoi lettori, dunque, l’uso che l’uomo in quanto uomo – inteso solo in quanto essere razionale – fa della propria ragione, uso che deve sempre essere libero. A questo si contrappone, l’«uso privato» quello che viene fatto da chi detiene un pubblico ufficio che, in quanto membro di una comunità, investito di responsabilità che riguardano l’interesse generale, è tenuto ad assicurare per il buon funzionamento dei “meccanismi” regolativi della comunità medesima e può dunque trovarsi a dovere limitare l’uso della propria ragione, obbedendo a quanto richiesto dai fini comuni, ancorché possa, nel privato, non condividerli. E ‘il caso di un ufficiale o di un funzionario statale o di un ecclesiastico nell’esercizio della funzione a lui affidata, che però sottostà, per giusti motivi, ad alcune limitazioni della libertà nell’interesse del funzionamento di una comunità. Non c’è uso pubblico efficace della ragione senza libertà: esso realizza l’illuminismo fra gli uomini perché li spinge a «pensare da sé» e ad esercitare criticamente il pensiero proprio. L’uso privato della ragione può essere ristretto senza che, tuttavia, l’illuminismo ne venga ostacolato. E’ infatti quello che funzionario, l’impiegato, il giudice, l’ufficiale o l’uomo di chiesa esercitano nelle loro funzioni ed attività particolari. Qui, essi non possono fare della ragione loro che quell’uso determinato e ristretto che lo Stato o la Chiesa impongono. «Per molte operazioni che si compiono nell’interesse della comunità occorre una certa meccanicità (regole consolidate, formule, strumenti di uso meccanico della ragione) per cui alcuni membri di essa (quelli che esercitano funzioni particolari) debbono concordarsi in modo interamente o passivo per concorrere ai fin comuni, o almeno per non ostacolarli, armonizzando la loro
366 I.Kant, ibidem
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condotta con l’opera del governo»367 e questi membri non possono procedere
altrimenti. Ciò spiga le ragioni che spinge l’ufficiale a dire ai soldati «non ragionate, ma fate esercitazioni!; o all’impiegato di finanza: non ragionate, ma pagate!; e all’uomo di chiesa: non ragionate ma credete!».368
E’ questo il campo che Kant definisce “privato” nel quale qualcuno è costretto a esercitare la propria ragione secondo forme e modalità fissate e che non possono essere abbondonate se non a rischio di mettere in crisi la realizzazione dei fini comuni. L’uso privato è unque un “uso dommatico” perché procede secondo forme e ritmi e regole fissati non dalla ragione ma da altri.369 Ma in quanto questi membri della macchina governativa si considerano nello stesso tempo come «membri di tutta la comunità e della stessa società cosmopolitica quindi, in qualità di studiosi che, attraverso gli scritti, si rivolgono a un pubblico, allora possono certamente ragionare senza (ledere) che di ciò soffrano gli affari, cui sono preposti come membri passivi del governo».370
All’esercizio attivo e critico della ragione viene riservato uno spazio al di fuori della funzione particolare nel cui terreno il sistema costringe alla passività e all’esecuzione inerte e meccanica. Sarebbe dunque deplorevole che un ufficiale in servizio volesse, una volta ricevuto un ordine, ragionare in modo pubblico sull’opportunità e utilità di quello stesso ordine; ma sarebbe anche ingiusto che un politico gli impedisse di avanzare «in qualità di studioso» (di cose militari), le sue osservazioni sugli errori compiuti durante le operazioni di guerra e sottoporle al giudizio del al suo pubblico».371L’ “uso pubblico” della ragione, per il quale lo studioso, l’intellettuale si rivolge al mondo, al di là della comunità cui appartiene, impone che venga tenuto conto della effettiva natura dell’uomo, l’autentica ed essenziale “destinazione”: quella di progredire nella conoscenza e di essere in pieno possesso della possibilità di scegliere, affidandosi all’esercizio della ragione. La scelta soggettiva, pur libera e responsabile a un tempo, e tale per cui vi è un legame essenziale tra volontà e conoscenza, di non “illuminarsi” è legittima; ma con l’intesa che la rinuncia ad “illuminarsi”, di per sé una decisione di rimanere
367 I.Kant, p.21.
E’ questo il campo che Kant definisce privato nel quale qualcuno è costretto a esercitare la propria ragione secondo le forme
368 I. Kant, p.17
369 P. Salvucci, cit. p.504 370 I.Kant, op. cit., p. 21 371 I. Kant, ibidem
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nello stato di “minorità” dettata da un difetto di volontà che conduce alla pigrizia o alla viltà, non può in alcun modo tradursi nella imposizione di analoga rinuncia alle generazioni future. Sarebbero, in tal caso, calpestati i “sacri diritti dell’umanità”, che sono tali anche per il sovrano, nella cui volontà si “riassume” la “volontà generale del popolo”.
Nell’«uso pubblico» la privata singolarità dello studioso si apre e si estende verso la sfera superiore della pubblicità e dell’universalità del mondo intero, nell’«uso privato» la funzione pubblica rappresenta «il concentrarsi e il chiudersi della pubblicità e dell’universalità nell’operato dell’individuo che, a sua volta, viene subordinato all’ambito di un pubblico circoscritto».372 Con Foucault leggiamo che
«l’uomo – dice Kant – fa uso privato della sua ragione quando è come «l’ingranaggio di una macchina»,373 vale a dire quando ha un ruolo da svolgere
nella società e delle funzioni da esercitare: essere soldato, pagare le tasse, avere in affidamento una parrocchia, essere funzionario del governo –tutte queste cose fanno dell’essere umano un segmento particolare della società. Egli vi si trova collegato in una posizione definita, nella quale deve applicare regole e perseguire fini particolari: in questo caso non vi può essere un uso libero della ragione. D’altra parte, quando non si ragiona in quanto essere razionale (e non in quanto ingranaggio di una macchina), quando si ragiona in qualità di membro dell’umanità razionale, allora l’uso della ragione deve essere deve essere libero e pubblico. L’Aufklärung non è solo il processo in base al quale gli individui si vedrebbero garantire la loro personale libertà di pensiero. V’è l’Aufklärung quando si ha sovrapposizione dell’uso universale, dell’uso libero e pubblico della ragione».374
L’uso pubblico della ragione è quello che viene rivendicato come diritto di quelli che nelle loro funzioni particolari sono costretti a procedere in modo inerte e secondo regole trainanti non porterà con sé prodursi una opinione pubblica capace di intervenire e richiedere la modificazione di quegli aspetti negativi, che come studiosi, i funzionari denunciano nel terreno delle competenze specifiche?
372 I.. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo, in Che cos’è l’illuminismo? I testi e la
genealogia del concetto, a cura di A. Tagliapietra, Bruno Mondadori, Milano 1997, p. 26
373 La metafora della “macchina” è un tema conduttore del saggio di Kant, del suo pensiero etico-
politico, che si prefigge di sostituire l’automatismo eterodiretto dell’ubbidienza all’autonomia della legge morale: i regolamenti e precetti vanno imposti dall’esterno vengono indicati da Kant come strumenti meccanici per l’uso o l’abuso razionale
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L’esercizio critico della ragione che si spingesse ad assoggettare tutto al suo “esame libero e pubblico” avrebbe come suo riflesso questo risvolto politico.
La carica politica del testo, afferma Salvucci, manifesta che gli intellettuali vengono sollecitati a non lasciarsi assorbire dalle loro funzioni particolari (per quanto indispensabili, inerti), piuttosto ad esercitare in modo sempre più pubblico e critico la ragione per accelerare il costituirsi di un’epoca illuminata; un invito alla intelligenza borghese a non esaurire nell’uso privato ogni uso della ragione. L’applicazione di regole meccaniche per inerzia spinge alla prassi meccanica e ripetitiva. Kant ha sempre polemizzato con l’uso passivo e meccanico della ragione375. Gli uomini che per pigrizia si limitino a seguire le tracce degli altri non sono che copie: «se tutti gli uomini fossero così, nessun cambiamento si sarebbe prodotto nel mondo». Colui che si limita ad apprendere, a ritenere e a seguire con passività non è altro che «un’impronta di gesso di un uomo vivente».376 Si può
essere dei gran dotti, afferma Kant nell’Antropologia «una macchina per fornire notizie» e tuttavia esser molto limitato nell’uso ragionevole del sapere stesso. La più grave abitudine che colpisce l’intelligenza è quando essa non si concede spazio e tempo per un uso critico e pubblico di sé. Solo da questo diverso uso può venire al funzionario integrato nel sistema e costretto perciò all’uso meccanico della ragione la concreta possibilità di agire nel terreno della cultura. Ma è anche inevitabile nella società moderna un uso privato della ragione coincidente con obbedienza nella quale la borghesia assolve solo a funzioni per l’organizzazione dello Stato.377
L’uso pubblico della ragione che Kant rivendica, auspica, lungi dal porsi in vista della distruzione del sistema, risponde al bisogno della sua razionalizzazione: occorre procedere alle riforme che eliminino quello che, nel sistema, si manifesta come ingiusto e irragionevole all’esame libero e pubblico della ragione. E’ l’azione singola (privata) del rifiuto e non l’azione pubblica che deve essere punita. E’ la ragione di quelli che pensano e che, pensando, si fanno liberi. Proprio per questo limite oggettivo (non tutti gli uomini esercitano criticamente la ragione) che la sua
375 Cfr. I. Kant, Logica, IX, tr.it., a cura di L. Amoroso, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 70
376 I.Kant, Critica della ragion pura, B 864, tr. it., p. 623
377 Per Kant, i funzionari borghesi sono meri ingranaggi che consentono un armonico funzionamento
della macchina governativa. Il funzionario di imposte non può imporre l’obbligo di pagare le tasse nell’esercizio della sua funzione, anche se come studioso può mettere in questione la fondatezza o meno di quel tipo di carico fiscale. Tuttavia il rifiuto di pagare le tasse deve essere punito perché potrebbe condurre alla disubbedienza civile e mettere in crisi il meccanismo
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epoca non è ancora, per Kant, un’epoca “illuminata”, caratterizzata dalla compartecipazione di tutti gli uomini al costituirsi di un mondo umano ragionevole. Abbiamo già visto, come Kant definisca la sua come un’epoca di illuminismo nella quale la ragione di una parte degli uomini (colti, intellettuali del dissenso) illumina la ragione degli altri uomini e li spinge a mettersi fuori dalla minorità e ad esercitare il pensiero critico e pubblico agendo in tal modo sul politico perché esso stesso agisca secondo ragione. Kant, lo sa bene di vivere in un’epoca in cui solo una parte degli uomini si è messa fuori dalla minorità. Perché si realizzi una società ragionevole (età illuminata) occorre che si elimini lo scarto storicamente esistente e che tutti gli uomini escano dalla minorità e facciano un uso critico della ragione. Per Kant, non è probo il cittadino che si limita ad eseguire, ma colui che esercita il diritto-dovere di intervenire con la propria ragione.
Se ci si chiedesse se «viviamo ora in un’epoca illuminata?» la risposta sarebbe: «no, ma senz’ombra di dubbio viviamo in un’epoca di illuminismo» in quanto allo stato attuale dice Kant siamo lontani dal dichiarare che gli uomini siano in grado o possano esser messi in condizione di servirsi bene e con sicurezza senza alcuna guida esterna, del proprio intelletto in materia di religione; ci sono segnali che indicano come il campo per lavorare alla propria emancipazione sia stato sgombrato e come diminuiscano un po’ alla volta gli ostacoli che impediscono la diffusione generale dell’illuminismo o l’uscita da quella condizione di minorità di cui essi stessi sono responsabili.
In conclusione, Kant intende ribadire che l’uscita dalla condizione di minorità dell’uomo in cui consiste l’illuminismo, significa anche la sua emancipazione dalla macchina, a disposizione del governo.378 Si è avviato un processo di progressiva uscita degli uomini dallo stato di “minorità”, di emancipazione dunque dalle diverse possibili forme di “tutorato”: un processo reso possibile dalla eliminazione di una serie di ostacoli alla professione della libertà in tutto ciò che è affare di coscienza, deliberata e voluta da un “principe”.379
378 «La natura ha voluto che l’uomo traesse interamente da se steso tutto ciò che va oltre la
costituzione meccanica della sua esistenza animale e che non partecipasse ad altra felicità o perfezione s non a quella che egli stesso, libero da istinti, si crea con la propria ragione» (I. Kant, Idea di una storia universale, dal punto di vista cosmopolitico, tesi Terza, in Scritti politici, tr. it., a cura di N.Bobbio, L.Firpo, V.Mathieu, p.126
379Il riferimento è a Federico II - che “respinge da sé anche il nome orgoglioso di tolleranza” per promuovere uno spirito di libertà che lo conduce a considerare “come un dovere di nulla prescrivere agli uomini nelle cose di religione”, e dunque proprio in quelle “cose” in cui la “minorità” è “la più dannosa ed anche la più umiliante”. Kant tiene a sottolineare, con pieno consenso, che il “modo di
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Sviluppare la propria disposizione originaria, la ragione, è dovere morale di ogni individuo, possibile unicamente in una dimensione pubblica, intersoggettiva: nel saggio mostra come il compito di emanciparsi dallo stato di minorità che impedisce agli uomini di servirsi del proprio intelletto fosse la destinazione originaria e quindi prerogativa di una collettività (pubblico) e non di individui presi isolatamente: «È dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura».380
La vera ed autentica libertà di pensiero risiede nella trattazione della dimensione del sovrasensibile che i governanti hanno l’obbligo di tutelare, come sottolinea con forza nel saggio Kant quando afferma: «Ho posto particolarmente nelle cose della religione il punto culminante del rischiaramento».
Il concetto di libertà che si configura nel far «uso pubblico della ragione» attraverso la comunicazione scritta delle proprie idee ad opera dei filosofi e dei sapienti, si troverà nell’opera «Che cosa significa orientarsi nel pensiero?» a combattere contro forme repressive. La prima è la costrizione sociale, che ostacola la libera espressione del pensiero e coincide con un potere superiore che strappa all’individuo la facoltà di parlare e scrivere. La libertà umana possiede una dimensione pubblica, la cui fecondità si danneggerebbe se non venisse incalzata dal confronto dialettico e dall’applicazione dei suoi criteri operativi: se un potere coercitivo esterno limitasse fortemente la libertà d’espressione pregiudicherebbe anche la libertà del pensiero. La seconda è la costrizione della coscienza che limita la sfera d’azione del pensiero dall’interno ovvero a partire dalla coscienza. E’ pericoloso infatti, ammonisce Kant, affidarsi a tutori che cercano di bandire
pensare” di Federico è tale anche da ammettere il pieno esercizio della ragione anche nell’esame critico delle legge da lui promulgate, in vista di quello che ne deve essere il continuo miglioramento. A Kant è nondimeno ben chiaro che proprio l’organizzazione militare dello stato prussiano è quella che assicura il mantenimento d’una struttura statale basata sul principio della obbedienza che è garanzia non solo della “pubblica pace”, ma anche del massimo grado di libertà nell’esercizio della ragione. Al sovrano “illuminato” è possibile garantire quello che una repubblica non può in realtà assicurare, l’obbligo all’obbedienza, essenziale al mantenimento di qualsiasi consorzio civile. Quello che appare come il carattere quasi paradossale del “corso delle cose umane” è da Kant volutamente sottolineato. Il crescere in intensità della “libertà civile” può sembrare in linea di