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La riflessività: una sfida possibile

2. L’esercizio critico di «pensare da sé»

1.2. La riflessività: una sfida possibile

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L’interesse degli ultimi decenni sul tema della riflessività, il cui fulcro concettuale si rintraccia nel pensiero pragmatista di Dewey, per il quale il pensiero riflessivo è «il miglior modo di pensare», è attestato sempre più da ricerche dalle quali emerge, per chi si occupa di formazione, un’accezione profonda di riflessività che, lungi dall’essere irriducibile ad una tecnica o ad un «repertorio composito»518, è orientata

all’interesse e alla cura per l’integrità del soggetto-persona, strategia imprescindibile per un’azione formativa efficace e un «modo di essere del cittadino del terzo millennio».519

La complessità520 della società contemporanea nei diversi domini dei saperi e la loro conseguente riorganizzazione, le plurali forme di comunicazione, di innovazione e di costruzione delle conoscenze permeate delle dimensioni cognitive, emotive, relazionali e sociali, hanno reso esplicito da un lato, il senso di smarrimento e disincanto nei confronti delle meta-narrazioni, dall’altro, hanno determinato un’occasione per il pieno compimento del potenziale trasformativo del soggetto-persona. Non è più sufficiente, dunque, la semplice accumulazione dei saperi scientifici; piuttosto, una formazione al pensare critico, come pensiero della co e ri-costruzione della riflessione che si configura forma di consapevole “resistenza”, di impegno e di garanzia nei confronti dell’esproprio del «pensare da sé», della fantasia, dell’immaginazione, e strumento irrinunciabile di emancipazione e di liberazione da tutte le forme esplicite e implicite di minorità e antidoto contro la dispersione del potenziale cognitivo, emotivo, contro l’implosione di autoreferenzialità. La “sfida” del pensare, che risiede nella consapevolezza che permette di scegliere a cosa prestare attenzione e nel controllo su come e cosa pensare, aprendo una stagione con cui «problematizzare il rapporto soggettività e verità»,521 si confronta con gli strumenti della critica e della riflessività verso cui deve orientarsi la formazione del soggetto, come ricerca

518 M.C. Michelini, «Tra i fatti e le interpretazioni: la riflessività», in Oltre la Bildung postmoderna?

(a cura di) E. Corbi, S. Oliveiro , Pensa Multimedia, Lecce 2013, p.168

519M.C. Michelini, Educare il pensiero, Franco Angeli, Milano 2013, p.12

520 L’emergere della complessità nella descrizione dei fenomeni, trattato nel capitolo primo,che ha

permesso di superare il concetto di causa al singolare e porre la multidimensionalità, consente di valorizzare nei sistemi formativi, l’aspetto che permette di discriminare l’essenziale dal superfluo, eliminando la bulimica tendenza ad ammassare e complicare contenuti perlopiù generativi di ansia e disorientamento a vantaggio di una leggerezza e semplificazione, espressione di una ricerca dell’essenziale (Cfr. Paoli, Crespellani, Porcella, Sergioli, Dai sistemi semplici ai sistemi complessi, Ragionare nel quotidiano,Mimesis, Milano, 2012, pp. 178-184)

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incessante e rigorosa di interpretazione di fatti e della realtà, rendendo l’individuo un cittadino libero, co-autore del proprio sviluppo, capace di giudizio personale. La riflessività si colloca nella temperie culturale e filosofica del terzo millennio che ha accompagnato le trasformazioni culturali, sociali del nostro tempo e sostenuto i cambiamenti che hanno mutato lo scenario globale: nello specifico, nel passaggio dalla modernità522 alla postmodernità di cui è divenuta costrutto essenziale a una «soggettività impegnata nel costruire significati, in una tensione ermeneutica carica di promesse emancipatrici»523. Quest’ultima consegna alla contemporaneità il ruolo centrale del soggetto nella costruzione della verità, l’impossibilità di riproporre un modello acritico ed eterodiretto, una sfida che richiede di mettere in campo il «miglior pensiero». La logica postmoderna, che intende i processi educativi di apprendimento come percorsi in cui l’esperienza è un agire cognitivo situato, e

522 Se la «modernità» che ha il punto di forza nel soggetto, e segnata da una fiducia profonda nelle

possibilità dell’uomo di costruire, mediante l’uso di ragione, un mondo miglior, si inserisce il pensiero riflessivo di Dewey, il “miglior modo di pensare” (cfr. M.C. Michelini, Educare il pensiero, p. 20), la «post-modernità», ha il punto di forza nella soggettività, espansione e piena affermazione del soggetto moderno, nell’essere soggetto, cioè interprete (D. Secondulfo, «L’ipotesi post- moderna», in D. Secondulfo, Per una sociologia del mutamento. Fenomenologia della trasformazione tra moderno e post-moderno, F. Angeli, Milano 2001, p. 13). Segnando la fine delle “grandi narrazioni”, come forme di fiducia nel fondamento stabile del sapere, nel progresso, nelle ideologie, nella storia come emancipazione, sostituite da pluralismo, frammentazione, provvisorietà, incertezza (Cfr. G. Chiurazzi, Il postmoderno. Il pensiero nella società della comunicazione, Paravia, Torino 1999), si configura una forma nuova di sapere e di riflessione, (Cfr. J-L. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1985 (p. 5). Sui diversi modi di concepire la «riflessività» del posmoderno, cfr. U. Beck-A. Giddens-S. Lash, Modernizzazione riflessiva, Asterios, Trieste 1999 (A. Giddens, La costruzione della società, Cortina Ed., Milano, 1990, in cui considera ciascun soggetto un attore riflessivo e sembra che la riflessività sia un processo di razionalizzazione a posteriori dell’azione ; A. Ferrara, Autenticità riflessiva.; Il progetto della modernità dopo la svolta linguistica, Feltrinelli, Milano 1999), ma anche una nuova condizione di vita segnata dalla complessità, dalla problematicità, da forme di rischio, di incertezza e pone in crisi il soggetto (cfr. E. Morin, La testa ben fatta, riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Ed., Milano 1999; A. Ardigò, Per una società oltre il post-moderno 1992, a proposito del significato del soggetto in epoca post-moderna il soggetto-persona possiede una razionalità limitata, debole, incerta, che raggiunge la propria consapevolezza solo attingendo alla memoria). Le modalità di acquisizione e accesso alla conoscenza ricoprono un ruolo fondamentale: non si può pensare che la conoscenza sia un atto oggettivo, rigorosamente certo e fondato della realtà e che possa essere assunta indistintamente dal soggetto e dal contesto. La persona è in grado di riflettere sull’atto cognitivo che ha consentito di apprendere, di capire i meccanismi che generano gli eventi. Esiste quindi un’evidenza oggettiva della realtà (come la razionalità moderna ci invita a pensare), ma anche una riflessività umana che permette di coglierla. Il sapere, dirà J.F. Lyotard nella società postmoderna la principale forza produttiva, merce e strumento di controllo: in questa logica, una società incardinata su saperi e conoscenze, su informazioni e sulla necessità di possedere le competenze necessarie per poterle si può definire una società conoscitiva, nella quale sarà necessario essere capaci di organizzare in modo nuovo le informazioni già possedute (assumere la società postmoderna come società conoscitiva significa considerare la possibilità o l’esigenza di mettere i soggetti nella condizione non solo di acquisire le informazioni, ma anche di acquisire le competenze e le conoscenze per utilizzare e controllare le informazioni stesse. cfr. J.F. Lyotard,1985, pp. 12-15) 523M.C. Michelini, «Tra i fatti e le interpretazioni: la riflessività», in Oltre la Bildung postmoderna, p.163

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l’accesso al pensiero un pensiero in azione, ritrova in Dewey una teoria educativa che interroga le esperienze, osserva i fatti e orienta le azioni, senza la pretesa di raggiungere una verità assoluta.524 La rielaborazione postmoderna del pensiero

deweyano si “arricchisce” di zone d’ombra grazie al pensiero riflessivo capace di regolare e ri-orientare l’uso stesso del pensiero, evidenziandone la criticità intesa come capacità del pensiero di interpretare se stesso, di leggere i propri statuti, di riflettere sul proprio uso e sul proprio senso.

La riflessività è dunque pensiero riflessivo, un modo di pensare “in grande” e risponde tanto al «bisogno di certezza» quanto alla condizione di «inquietudine» mai conclusa, propria della ricerca. In tal senso, la riflessività intesa come impegno di rigore scientifico, nei confronti del pensiero riflessivo si pone come interpretazione critica di un’esperienza nuova e come emancipazione del pensiero consapevole525 e come strumento che, saldando i significati, valorizza il contributo personale alla soluzione dei problemi reinterpretando la nostra conoscenza. L’esito della riflessione è un nuovo che non aggiunge sapere al sapere, specializzazione alla specializzazione, ma che connette aspetti trascurati, accoglie domande, si lascia scuotere da interrogativi e da scoperte. Pertanto, il processo che la riflessività promuove è sistemico: particolare e generale, mezzo e scopo, senso e prodotto, scelte e conseguenze, sono chiamati a «fare i conti gli uni con gli altri».526

La riflessività, si pone come atteggiamento intellettuale funzionale alla gestione consapevole e responsabile dell’apprendimento su come si apprende e come si utilizzano le conoscenze, a vantaggio di una garanzia autentica del diritto di “apprendere ad apprendere”, un modo produttivo , capace di riflettere sulla natura e il senso profondo del pensiero alla luce di un costrutto fondato sulla persona-da-

formare che conquista l’autonomia, esercita la capacità di costruire il proprio modo

d’essere, di ragionare e vivere. Ciò può rappresentare una leva strategica per orientare il proprio agire, per permettere a ciascuno di interrogarsi sul proprio operato, sulla relazione tra teorie e conoscenza generata nell’azione, sulle proprie competenze, in un’ottica di continuo miglioramento verso nuovi apprendimenti e la formazione di nuovi abiti condizione per una convivenza democratica e mediante i

524Cfr. E. Colicchi, «La verità pragmatica dell’educazione», in F. Cambi (a cura di), La ricerca educativa nel neopragmatismo americano. Modelli Pedagogici. Vol. 1, Armando, Roma, 2002, pp. 36-75)

525 Cfr. M..C. Michelini, op. cit. pp.170-171

526 M. P. Mostarda, Per un Coordinatore Riflessivo, Animazione Sociale, maggio 2006, contributo

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quali difendere riflettendo, ragionando e argomentando opinioni personali.527 Si

può parlare, a tale proposito, di riflessività, intendendo con questa espressione l’esercizio del pensiero riflessivo da parte degli adulti impegnati negli ambiti professionali,528 una modalità strategica di interpretare l’epistemologia professionale, non più riducibile ad un modello di razionalità tecnica, ma orientata alla ricerca, al confronto dialogico permeata di azioni virtuose tra teoria e prassi. E’ proprio l’ambito educativo e il mondo della scuola dai quali giungono, segnali di malessere, a riconsiderare l’importanza della riflessione nelle comunità per la formazione a pensare nel migliore dei modi e corretto e richiedere ai docenti una nuova professionalità riflessiva che privilegi la ricerca, formi all’autonomia e ad acquisire strumenti e competenze, implementando setting formativi connessi alla partecipazione attiva, al confronto, ri-sagomando il proprio “fare” mentre lo si sta facendo.529

La riflessività si pone come strumento grazie al quale definire uno stile di pensiero, una «postura mentale», un atteggiamento critico, un modo di porsi in termini investigativi di fronte alle situazioni caratterizzate da confusione e ambiguità, una modalità di analisi della realtà, un particolare esercizio della competenza: questi elementi fanno riferimento ad un’idea di conoscenza intesa come risorsa di adattamento flessibile, capacità di apprendere dall’esperienza e di risolvere problemi nuovi, sperimentando concretamente, cercando nell’esperienza una conferma o una confutazione delle proprie ipotesi di lavoro.Si impara ad imparare, attraverso l’esperienza e la riflessione su di essa, si impara ad avere un

527 Cfr. M.Castoldi, M.Marino, Verso le competenze: una bussola per la scuola, Franco Angeli,

Milano 2011. Sulla competenza cfr. A.M.Ajello, S.Meghnagi (a cura di), La competenza tra flessibilità e specializzazione, Franco Angeli, Milano 1998

528 Cfr. D.Schon, Il professionista riflessivo –per una nuova epistemologia della pratia

professionale, Edizioni Dedalo, Bari 1993. Dal punto di vista formativo, un primo elemento della riflessività, consiste nel “riflettere sul proprio agire” (reflection on action), nel rendere cioè i soggetti consapevoli del rapporto tra teorie (scientifiche e ingenue) ed azione, per smascherare gli automatismi del proprio agire, comprenderne il senso e l’origine. Altro elemento caratterizzante la riflessività consiste nel riflettere sulla propria conoscenza, “nel corso dell’azione” (reflection in action), ripensare e ridiscuterne la veridicità, attraversarne i confini, confrontarla con la propria storia personale come “riflessione sulla riflessione nel corso dell’azione” (reflection on reflection in action)

529 P. Freire, La pedagogia degli oppressi, (a cura di) L. Bimbi, Ega Editore, Torino 2002, pp. 77-

78. L’autore sottolinea nella parola, strumento che sostanzia il dialogo, la duplice dimensione: azione e riflessione, radicalmente interagenti, tale per cui non esiste parola che non sia prassi, quindi pronunciare la parola autentica significa trasformare il mondo. Se alla parola manca il momento dell’azione, ne viene sacrificata automaticamente anche la riflessione e ne risulta un’inflazione di suoni che è verbosità. Se invece si mette l’accento sull’azione con il sacrificio della riflessione, la parola diventa attivismo: questo, che è azione per l’azione, minimizza la riflessione, nega la vera prassi e rende impossibile il dialogo. La prassi è il luogo del fare, tra azione e riflessività

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atteggiamento critico e a sviluppare la capacità di vivere ogni contesto e ogni avvenimento come fonte di apprendimento. Questa prospettiva, certamente non l’unica, costituisce la cornice che consente di guidarci nelle azioni epistemiche riferite a possibili significati di apprendimento e di interazioni educative. Ma quando parliamo di «pensiero riflessivo» intendiamo, in genere, la capacità di pensare, ma non solo, c’è qualcosa in più. E’ il processo complesso del pensare il proprio e l’altrui pensiero, è la capacità del pensiero umano di trarre conseguenze dall’oggetto del suo pensare e, nel fare ciò, si avvale di operazioni cognitive legate al connettere particolare e generale, al porre problemi, al ri-tornare su questioni non concluse, al criticare, al giudicare. Il legame tra «pensiero e azione determina il modo con cui si realizza la riflessione»:530 un pensiero che si spinge oltre, si fa intenzionale, consequenziale, consapevole, capace di vedere il come delle connessioni e dei legami tra eventi si struttura come esperienza riflessiva. Il pensiero riflessivo è spesso associato alla ricerca di senso, cioè a «quelle domande che, pur indecidibili in quanto destinate a rimanere costitutivamente aperte, reclamano ciononostante una risposta, la cui ricerca impegna a fondo la mente umana»,531 anzi, secondo alcuni studi, la riflessione critica aiuta i professionisti a diventare persone responsabili, eticamente e moralmente.532 Viene in aiuto a quanti

si cimentano con problemi pratici che hanno implicazioni «molto più serie» dei problemi tecnici o scientifici: l’esperienza, infatti, è concreta (quotidiana e cogente), particolare (poco replicabile), multifattoriale (connessa con istanze relazionali, organizzative, tecniche, personali, economiche), irrevocabile, imprevedibile e illimitata.533 Dunque, è e resta nell’esperienza, guarda ad essa con

senso critico, intraprendendo così una strada che muove dalla concretezza, attraversa lo studio e ad essa ritorna. Il pensiero riflessivo è anche un processo relazionale al quale ogni individuo può accostarsi fin da bambino, arricchendosi grazie all’apporto di un “altro da sé” attraverso il dialogo, la conversazione,534

invitando a partire dall’autoriferimento senza che questo resti chiuso nel soggetto

530 M..C. Michelini, op. cit. p.14

531 L. Mortari, Apprendere dall’esperienza. Il pensare riflessivo nella formazione, Carocci, Roma

2004, p. 17

532 E. Knasel, J. Meed, A. Rossetti, Apprendere sempre, op. cit., p. 113 533 L. Mortari, op.cit. p. 29

534 J. Flavell J. H., Miller P. H., Miller S. A., Psicologia dello sviluppo cognitivo, Il Mulino, Bologna

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stesso.535 Ma è anche un processo nel e del tempo: è precedente l’azione, quale

atteggiamento riflessivo inteso come «postura mentale»,536 è attivo durante

l’azione, in cui ci «si ferma e si pensa», «Think it out» suggerisce Dewey, ed è

anticipatore dell’azione stessa. Se il pensare comune concepisce la riflessività come

esercizio del ripensare a un evento già accaduto, c’è in realtà un qualcosa in più che «comprende un momento retroattivo e un momento proattivo, entrambi necessari a costruire nuovi e più elevati livelli di conoscenza».537 Il pensiero riflessivo produce esiti originali e sviluppa abitudini percettive che sostituiscono gli automatismi per avvalersi di emotività, linguaggio e fenomeni culturali, pensa l’azione possibile e modifica «nei partecipanti il modo di autopercepirsi oppure di gestire certi spazi relazionali dell’agire quotidiano, con la conseguenza di portare anche a una ristrutturazione radicale del modo di rapportarsi al contesto».538 Il tema della riflessività appare molto ricco e complesso una dialettica incessante tra soggetto e oggetto, io e mondo e il pensiero riflessivo che ambisce ad essere strategia tra soggetto e oggetto, è per sua natura complesso. Esso è indagine, ricerca di senso incessante, al servizio del metodo della ricerca: ri-tornando su se stesso, prende coscienza e conoscenza delle sue operazioni, dei suoi caratteri, ne valuta criticamente il contenuto, il processo e le premesse degli sforzi finalizzati a interpretare un’esperienza e a conferirvi significato. Quando la mente evita l’esercizio del pensare riflessivo, si finisce per stare in una situazione di anonimia, dove ci si sottrae alla possibilità, ma anche alla responsabilità, di cercare senso nell’esperienza e, quindi, di farsi autori e autrici consapevoli di quello che si va pensando e si va facendo.539 Diversamente, ciascuno può “crescere in

consapevolezza”, operando un’azione metacognitiva, giovarsi dell’azione di un pensiero sempre attivo, aperto al cambiamento, anziché adagiarsi ad un pensiero passivo, rigidamente strutturato, lontano dai rischi dell’autoreferenzialità. In tal senso si sviluppa la nostra ipotesi di riflessività quale dispositivo o competenza chiave, esercizio, ricerca, impegno di rigore critico, e apprendimento della «miglior

535 «È nostro intento - scrive fugando ogni dubbio N. Luhmann – evitare che il concetto di riflessione faccia riferimento al soggetto» N. Luhmann, K. E. Schorr, Il sistema educativo. Problemi di riflessività, Armando, Roma 1988, p. 365

536 L. Mortari, op. cit., p. 26

537 G. Alessandrini, Apprendimento organizzativo. La via del Kanbrain, UNICOPLI, Milano 1995,

p.39

538 L. Mortari, op. cit.p.33,

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forma di pensare», il pensiero riflessivo, come Dewey aveva sostenuto, che contiene in sé il metodo dell’indagine critica e il vissuto del soggetto nel quale si intrecciano gli oggetti privilegiati della riflessività emozioni, modelli mentali, legami tra teoria e pratica, grazie ai quali a ciascuno è data la possibilità di crescere in coscienza anziché in incoscienza, nell’essere desto anziché passivo.

Attraverso l’esercizio della riflessività, studente, adulto, professionista sfuggono i rischi cui il precostituito espone, «consentendo di indagare fatti, interpretarli,

componendo e ricomponendo criticamente».540

Il pensiero riflessivo si configura dunque come qualificante attività di interrogazione critica per chi intenda avvalersi dell’adozione di un pensiero

consapevole,541 non rigidamente strutturato, ma aperto al cambiamento, ad

immaginare alternative, ad accogliere la pluralità di punti di vista, come un

processo del pensare il proprio e l’altrui pensiero. Secondo questa prospettiva, il pensiero riflessivo si riferisce al processo del soggetto pensante come dispositivo di regolazione dialettica tra soggetto e oggetto. Assumendo dunque quale punto vista dal quale guardare la riflessività, quello deweyano, indagheremo nell’unitarietà del pensiero, le due «direzioni»542 verso cui il pensiero riflessivo si

orienta, considerate come «esiti e scopi» della stessa realtà piuttosto che come forme distinte del pensiero: la «consapevolezza di sé», come ciò che dà valore e senso all’esperienza e «immaginare alternative» che permette di cambiare, di trasformare schemi e prospettive di significato generando una emancipazione. Per la scuola e per tutte le agenzie formative inserite nel contesto globale della complessità, dove ci si confronta sempre più con il mondo virtuale, sono queste vere e proprie sfide alla formazione di un pensiero nuovo che renda l’individuo un cittadino libero da «minorità», partecipe della vita collettiva e co-autore del proprio sviluppo, capace di giudizio personale, di reagire ai tentavi di omologazione, di coniugare l’affermazione personale con lo spirito collaborativo, di sostenere uno spirito democratico e un atteggiamento etico. Promuovere il cambiamento,

540 Cfr. M.C. Michelini, «L’indagine come approccio critico», in Educare il pensiero, Franco Angeli,

Milano 2013, p. 35

541 Sulla nozione di presa di coscienza e piena consapevolezza di sé, si collolocano gli studi sulla

«mindfulness», quale stile di vita, volto a prestare attenzione costante, nè occasionale, nè giudicante e «mindsight» quale competenza legata al contesto, capace di osservare la mente dal di dentro consentendo di avviare una riflessione disinserendo automatismi e abitudini

542 L’approccio che seguiremo per indagare le direzioni del pensiero riflessivo richiama

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valorizzare le persone, lo sviluppo umano,543 formare profili che consentono di

affrontare il mondo in modo riflessivo, rappresentano la risorsa e la sfida del terzo millennio cui attingere e su cui progettare i bisogni a partire da sistemi di apprendimento e pratiche educative nelle quali la riflessività costituisca da un lato, momento qualificante di una professionalità che si interroga sul proprio agito, sul proprio operato, volta al miglioramento delle prestazioni, dall’altro, scelta coraggiosa e consapevole aperta a uno stile di vita connotato dalla ricerca e da un uso critico della ragione in una condizione di interrogazione.