2. L’esercizio critico di «pensare da sé»
1.3. Educare il pensiero, per «imparare a pensare»
Imparare a pensare vuol dire esercitare un controllo
su come e cosa pensare, significa avere consapevolezza da permettere di scegliere a cosa prestare attenzione e scegliere come attribuire significato all’esperienza. D.F. Wallace544
Una formula non inedita, già nota a Kant nella «Comunicazione» del 1765-1766, che rinforza la necessità di “vivificare il pensiero” soprattutto nei processi formativi
543 A tale proposito, giova richiamare che l’idea di scuola, in Europa, si inscrive all’interno di due
modelli: il modello del capitale umano, basato su un paradigma funzionalista che vede la scuola subordinata all’economia, al mondo produttivo e la considera un pezzo del sistema socio-economico, il cui compito sta nel preparare produttori capaci ed efficienti da garantire la salute sociale del Paese. Il capitale umano rappresenterebbe lo stock di conoscenze e competenze di cui la scuola deve dotare i produttori per assicurare competitività e produttività e poi concepirla come impresa guidata da un manager. L’efficienza è stimolata con la competizione tra scuole, insegnanti, alunni che genera nevrotizzazione. Un paradigma neoliberista che, kantianamente, non tiene conto ciò che dovrebbe essere al centro della formazione “considerare l’uomo come fine mai come mezzo”(Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Laterza Bari, p. 91), inoltre fa venir meno ciò che Dewey considerava il carattere della scuola, una comunità di persone che crescono e collaborano, cui impegnarsi senza timore di ottenere risultati inferiori a quelli dei colleghi; il modello di sviluppo umano, messo a punto da Amarthya Sen e Marta Nussbaum, la cui posizione di matrice aristotelica riattiva idee di Dewey, ma in prospettiva diversa. Secondo tale modello l’economia è un mezzo e compito della società e scuola è lo sviluppo umano, sviluppo delle libertà individuali cioè di ogni persona di essere soggetto autonomo, che progetta la vita e la realizza. Il costrutto si basa sulle capabilities, “capacitazioni”, sommatoria di opportunità interne (risorse e diritti) e esterne (saper accedere ai diritti utilizzando le risorse).Ciò è fondamentale nella formazione scolastica in quanto se non si formano persone capaci di utilizzare i loro diritti per accedere alle risorse, formare autonomi progetti di vita, ogni politica sociale è mutilata: le capabilities sono fulcro del progetto di sviluppo umano(M. Baldacci, «Due grandi modelli: capitale umano e sviluppo umano» in La buona scuola (M. Baldacci, B. Brocca, F. Frabboni, A. Salatin) Franco Angeli, Milano 2015, pp.13-17; cfr. per il modello di capitale umano, P. Cipollone, P. Sestito, Il capitale umano, Il Mulino, Bologna 2010; I. Visco, Investire in conoscenza. Per la crescita economica, Il Mulino, Bologna 2009; per il modello di sviluppo umano A. Sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano 2001; M. Nussbaum, Creare capacità, Il Mulino, Bologna 2012
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nei quali «insegnare a pensare» deve creare le premesse per pensare in autonomia, senza tuttavia cadere nelle maglie di una sterile autoreferenzialità come assimilazione acritica e passiva di contenuti, e aprirsi ad una interrogazione radicale volta ad allargare i confini e gli orizzonti della conoscenza.
La vita umana è segnata dal pensare, al punto che «l’umanità di un individuo perde la sua vitalità in corrispondenza col suo astenersi dal pensiero».545 Attraverso «l’esercizio del pensare», l’essere umano, ricorda Dewey, non vive il tempo come routine, ma lo trasforma in esperienza546 e «ci emancipa»547 da un’attività meramente impulsiva e abitudinaria:
In termini positivi, esso consente una direzione previdente delle nostre attività. […] Ci mette in grado di agire in maniera deliberata e intenzionale per raggiungere oggetti futuri e per riuscire a disporre di ciò che in atto è distante o assente […] ci permette di conoscere ciò che facciamo quando operiamo.548
Il grande vantaggio che proviene dall’esercitare la facoltà del pensiero dipende dal fatto, secondo Dewey, che «non vi sono limiti alla possibilità di portare negli oggetti e negli eventi della vita significati originariamente acquisiti mediante un’analisi di pensiero, e neppure limiti alla continua crescita di significato».549 Il pensiero, ai fini di una adeguata realizzazione, va accuratamente e attentamente educato perché ci liberi da una condizione di servile sottomissione all’istinto, all’appetito, alla routine.
Cosa significa dunque «educare il pensiero, per imparare a pensare?».550
Sapere molte cose, non equivale a pensare, né immagazzinare informazioni o riempirci la testa con questo o quell’argomento. Pensare è altro. E’ soffermarsi su una questione, esaminarla in profondità, indagarla, esplorarla, considerarla da tutti i punti di vista, individuare relazioni di conoscenze pregresse che si intersecano fra aspetti diversi per arrivare a formulare una interpretazione efficace da cui scaturisca una comprensione affidabile e una risoluzione di una certa situazione problematica. Spesso, si tratta la vita cognitiva in modo indistinto, quando invece tra «pensare e conoscere»551 c’è differenza, seppur si trovino in una strettissima relazione. Il
545 H. Arendt, L’umanità nei tempi bui, Raffaello Cortina, Milano 2006, p.55 546 J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze
547 J. Dewey, Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze 1961, p. 78
548 J. Dewey, ibidem
549 J. Dewey, cit. p. 83
550 E’ ancora evidente l’analogia con la stessa nozione kantiana affrontata nello scritto
Comunicazione di I Kant sull’ordinamento delle sue lezioni nel semestre invernale 1765-1766 nel quale afferma la necessità dello studente di «imparare a pensare» se vuole imparare a camminare con le proprie gambe
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processo del conoscere è un processo di indagine che, vedremo, si realizza attraverso procedure euristiche di pensiero, secondo precise fasi e specifici strumenti. Non tutte le modalità con le quali si manifesta il pensiero nell’esperienza quotidiana sono capaci di condurre alla risoluzione di problemi, né tutte riescono a produrre conoscenza per orientare l’azione futura. Dewey insegna che il pensiero, per sua natura, ha la funzione principale di formulare ipotesi di soluzione dei problemi per costruire conoscenze utili all’agire. Il pensare ha cura di esaminare quelle domande sull’esistere che si affacciano alla mente, mentre il conoscere serve per elaborare spiegazioni sui fenomeni da cui ricavare l’abilità da esercitare sulle cose: il conoscere mira a produrre scienza, il pensare cerca sapienza delle cose. L’utilità del conoscere è immediatamente evidente, diversamente dal pensare che sembra a volte, un’attività oziosa, un passatempo per gli amanti delle possibilità del pensiero, mentre del pensare c’è necessità ed anche la scienza ha bisogno dei prodotti del pensare.
A qualificare «l’educazione al pensare sono proprio le domande, frequentare le quali è essenziale per individuare mappe di principi che informino l’agire».552 La
strettissima relazione tra pensare e conoscere, binomio imprescindibile dell’educazione del pensiero attraverso l’esperienza esplorativa e la ricerca basata su rigorose metodologie euristiche553, consente di avere un valido accesso alla
conoscenza, necessario per possedere una corretta educazione al pensiero che si realizza attraverso esperienze, si attua all’interno di una dimensione sia intrasoggettiva, di dialogo interiore della mente, che sociale condividendo l’esperienza con altri. Dunque, per imparare a pensare è necessario partecipare in qualità di apprendisti a comunità di pensiero «community of thinking», per usare un’espressione di Lipman, dove si educa a pensare impegnando i soggetti educativi in pratiche cognitive che invitano a pensare-insieme, concretizzando attività di esplorazione e ricerca in continuità con l’esperienza, dove si integrano e si contestualizzano i saperi.
Per sostenere adeguatamente il soggetto nel processo di «imparare a pensare», occorre che sviluppi la capacità di riflettere su se stesso, sul proprio modo di
552 E. Frauenfelder, M. Striano, S. Oliverio, L. Mortari (a cura di), Il pensiero di John Dewey tra
filosofia, psicologia e pedagogia, p.300
553 Cfr. Striano M., «John Dewey e l’educazione del pensiero: prospettive educative per la società
di oggi e di domani», in AA.VV. L’attualità di John Dewey, percorsi pedagogici, Gedit Edizioni, Bologna 2003, pp. 58-59.
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pensare e agire, prendere coscienza dei propri punti di vista, delle prospettive di significato, che impari a trasformare le pratiche per renderle più efficaci. Agendo in modo autonomo e attivo, il pensiero può sviluppare la sua attività esploratoria di ricerca in ambiti di rigorosità garantiti dalla strutturazione logica e metodologia, imparando ad indagare senza farsi condizionare da preconcetti, giudizi, ma contrastando credenze consolidate, superando barriere cognitiva grazie alla razionalità riflessiva e al rigore mentale.
«Imparare» significa «imparare a pensare››;554 in questi termini si esprimeva J.
Dewey racchiudendo il compito dell’educazione nel suo aspetto intellettivo volto a coltivare attitudini di pensiero riflessivo:
[…] L’educazione non si esaurisce nell’aspetto intellettuale, occorre formare attitudini di efficienza pratica, rafforzare e sviluppare disposizioni morali, coltivare capacità di apprezzamento estetico. Ma in tutte queste cose vi deve essere almeno un elemento di significato consapevole e quindi di pensiero, altrimenti l’attività pratica si riduce al meccanismo della routine, la morale a qualcosa di cieco e l’apprezzamento estetico a capriccio sentimentale […] L’istruzione intellettuale implica l’accumulo e la ritenzione di informazioni. Ma l’informazione è un peso indigesto se non è accompagnata dalla comprensione, […] un risultato che è raggiunto solo allorché l’acquisizione è accompagnata dalla riflessione costante sul significato di ciòche viene studiato.555
Forse, pur riferendosi ad un contesto educativo scolastico, Dewey sottolinea che il maggiore degli errori pedagogici consiste nel credere che un individuo impari soltanto quel dato particolare che studia in quel momento, e che la «mente diventi logica col mero imparare a conformarsi alle materie esterne di studio»,556 identificando la logica esclusivamente con certe proprietà formali della materia trattata orientando l’attività di insegnamento su “disciplina”, “costrizione”, “sforzo cosciente”, “necessità di esercizio di compiti”. «La materia di studio, in tal modo, viene prima analizzata (dal manuale o dall’insegnante) nei suoi elementi logici, ciascuno di questi viene poi definito; infine tutti gli elementi vengono disposti in serie o in classi, secondo formule logiche o principi generali».557 Di conseguenza, lo studente “ricostruisce il sistema logico impara le definizioni una per una e, aggiungendole una all’altra, ricostruisce il sistema logico imbevendosi lui stesso, dall’esterno, di qualità logiche, incorporando studi, l’accumulo di conoscenze e cognizioni utili, peraltro generatrici di una «avversione all’applicazione intellettuale» e una «dipendenza dalla pura ritenzione mnemonica», anziché la
554J. Dewey, Come pensiamo, cit. p. 147 555J. Dewey, ivi, pp. 147-148
556J. Dewey, ivi, p. 151 557J. Dewey, ivi, p. 151
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formazione di attitudini durature e abiti che costituiscono «l'apprendimento collaterale» spesso molto più importante nel futuro. L’attenzione va posta nell’educare il pensiero sulla intima e interattiva connessione tra il suo processo effettivo e il prodotto intellettuale esito di una mente esperta ed educata a “pensare in modo vigile e attento” al livello in cui (la persona) si trova, fondata su un chiedere da sé, su un esame attento, una successione ordinata, «una qualche sorta di ricapitolazione e formulazione delle proprie conclusioni e darsi come pensiero riflessivo».558 Una educazione intellettuale è necessaria perché non si formino abiti di trascuratezza e disordine, dunque un pensiero incoerente e, afferma Dewey, «nessuno va lontano intellettualmente se non ama pensare, e nessuno ama pensare se non ha un qualche interesse per i problemi».559 Il procedere del pensiero, infatti, si muove attraverso l’indagine, cerca di chiarire una risposta a una situazione indeterminata incontrata nell’esperienza concreta, per risvegliare la capacità di rilevare ciò che esige spiegazioni, ciò che è inaspettato, peculiare, imbarazzante. Un’educazione a pensare in modo rigoroso favorisce il passaggio dal concreto all’astratto, mediante un’indagine (passaggio dal problema alla soluzione, attraverso un percorso di ipotesi, rigorizzazione e verifica) guidata dalla logica, dalla logica scientifica, fatta di pensiero formale, di disciplina logica, di pensiero riflessivo (rivolto all’ignoto, alla formulazione di idee, alla concettualizzazione), ma anche al metodo scientifico (o metodo sistematico, che controlla i dati, controlla ragionamenti e concetti), che innalza il pensiero empirico verso il rigore, l’esperimento, l’astrazione e il controllo dell’esperienza.560
Sull’ “educato” potere di pensare, sull’abilità a “voltare le cose”, a guardare i problemi con ponderazione a giudicare se si dispone della quantità e della specie di evidenza richieste per una decisione, afferma Dewey, poggia la libertà intellettuale, quella stessa che Kant invoca a garanzia dell’«uscita dalla minorità».
Educare al pensiero conduce a «imparare a pensare», comporta la coltivazione di potenzialità, attitudini, la promozione di «un’apertura mentale» libera da pregiudizi, credenze, automatismi, da tutti «quegli abiti che chiudono la mente e la rendono
558 J. Dewey, ivi, cit. p. 155 L’esperienza diventa educativa quando consente di individuare connessioni, di stabilire conseguenze, di attribuire significati ai dati analizzati, di tentare congetture e previsioni ed «il tentativo intenzionale di scoprire connessioni specifiche tra qualcosa che facciamo e le conseguenze che ne risultano, in modo che le due cose diventino continue» (J. Dewey, Democrazia educazione, p.158)
559Cfr. J. Dewey, La ricerca della certezza: uno studio del rapporto tra conoscenza e azione, op. cit. p.228
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refrattaria ad ospitare nuove idee e a considerare nuovi problemi»,561 per acquisire
quella “responsabilità intellettuale” epistemica volta a problematizzare la realtà, a controllare in modo rigoroso quelle conoscenze inadeguate e sui cui esiti dipenderà la capacità di fornire risposte pertinenti ed empiricamente fondate rispetto a richieste che scaturiscono da azioni concrete. Diversamente si determinerebbe una scissione che re-agisce sulla mente oscurandone la capacità di intuizione, indebolendone la saldezza: nessuno può usare due criteri mentali contraddittori senza perdere qualcosa del proprio controllo mentale.
Prende così forma attraverso il modello del pensiero riflessivo, il progetto deweyano di «educare a pensare» mediante un approccio attivo che, più che ai contenuti, si rivolge al metodo dell’intelligenza che governa i processi di insegnamento, si sostanzia nel superamento di una frammentarietà, tipica invece dell’apprendimento scolastico e di un nozionismo, esito di un processo mnemonico di acquisizione delle conoscenze, spesso astratto e non aderente con la risoluzione efficace delle situazioni problematiche, non impegnando radicalmente il pensiero, né ripagando la mente. Ciò accade quando, nel contesto scolastico, vengono proposti agli studenti argomenti lontani dalla loro esperienza, che non destano attiva
curiositas e che vanno oltre la capacità del loro intelletto, usando per “le cose di
scuola”, una misura di valore e di realtà diversa da quella usata per le “cose della vita”, ma tendono a farli diventare intellettualmente irresponsabili: procedono senza indagare il significato di ciò che imparano, nella differenza o dimenticanza che passa tra esso e il resto delle loro credenze e azioni. Una situazione analoga si verifica quando si impone alla mente dello studente una enorme quantità di argomenti562 o fatti sconnessi di cui non si ha tempo per vagliarne il significato: si può illudersi di accettarli, di prestar loro fede, ma in realtà la loro credenza implica una misura della realtà diversa da quella che opera nella vita e nelle azioni fuori dalla scuola, con il risultato di un prodotto mentalmente confuso sulle ragioni che rendono le cose degne di fede. Per questa ragione, Dewey esorta i docenti ad
561 J. Dewey, Come pensiamo, p.93
562 L’espressione “testa ben fatta”, utilizzata da Morin, richiama la prima finalità dell’insegnamento
formulata da Montaigne, «è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena», formare cioè una mente nella quale il sapere non sia accumulato, ammucchiato, ma disponga di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso: un’attitudine generale a porre e trattare i problemi; principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso. Il compito dell’educazione sarà quello di favorire l’attitudine generale della mente a porre e a risolvere i problemi, stimolando nel contempo il pieno impiego dell’intelligenza generale (Cfr. E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e del pensiero, Cortina Editore, Milano 2000, p.13)
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affrontare nel percorso di studio «meno argomenti e meno fatti», ma con una maggiore responsabilità nel pensare la materia di questi argomenti, in modo che i giovani possano realizzare interamente il significato autentico della completezza intellettuale che sta nel «portare le cose fino in fondo», esito dell’esistenza di un’attitudine di responsabilità intellettuale.563 Di conseguenza, il giovane, affinché
trasformi il pensiero che ha in pensiero riflessivo (strumento e metodo dell’educazione al pensiero), dovrà vivere in termini riflessivi l’esperienza umana della quale si individuano interrogativi, problemi, ipotesi, prospettive. A tal fine, sono importanti le “occupazioni attive” che suscitino interesse, che coinvolgano il giovane in un’attività degna di considerazione, e che essa stessa susciti problemi, stimoli, progetti, crei un’esigenza di informazione. Si realizza un momento che concretizza l’esperienza educativa, produttrice di sviluppo, crescita e cambiamento, emancipazione.
Accettando la tesi deweyana secondo la quale il principio che deve animare un contesto di apprendimento è quello di «apprendere attraverso l’esperienza» in quanto gli apprendimenti significativi sono quelli che implicano un coinvolgimento attivo, allora si «impara a pensare» facendo esperienza del “lavoro del pensare”, esercitando il pensiero. Parole queste che rappresentano nel tempo presente il sostegno per una educazione al pensare, che implica che il soggetto rifletta su ciò che accade, rifletta sulle informazioni, concetti, significati che si acquisiscono, senza cui è difficile immaginare che possa compiersi pienamente comprensione e apprendimento. Parafrasando Dewey, potremo dire che lo sviluppo della capacità di «imparare» e «pensare» sono il «più bel prodotto della scuola»564in cui il pensiero
ha la possibilità di attuare l’esperienza del pensare in una comunità, che è «comunità di discorso»,565 «comunità di apprendimento» che valorizza il potenziale cognitivo dell’interazione sociale e rende operativa la “triplice alleanza” di cognizione, metacognizione e motivazione per un apprendimento significativo, efficace (organizzato, reperibile e trasferibile), consapevole (intenzionale, riflessivo e ponderato) e gratificante, in cui gli studenti condividono il carico del pensare e se ne assumono la responsabilità, e il docente è guida esperta nei processi cognitivi.566
563 J. Dewey, Come pensiamo, cit. p.96
564J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1984, p.66
565 Cfr. C. Pontecorvo, Apprendimento e nuove comunità di discorso, in «Apprendere con le nuove
tecnologie» (a cura di) A. Talamo, La Nuova Italia, Firenze 1998
566 Cfr. R. Santi, Un approccio dialogico fondato sulla teoria dell’attività, in «Insegnare filosofia.
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Il terreno su cui ci muoviamo, ci introduce verso il modello di pensiero riflessivo favorito dall’ “uso” del pensiero critico, che dà valore all’esperienza, la orienta, opponendosi al dogmatismo, contribuendo al “risveglio della mente”, educando a problematizzare ed analizzare in modo critico le proprie conoscenze e credenze, per esercitare un controllo sugli esiti degli apprendimenti.