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Per «Orientarsi» nel terreno del pensare

2. L’esercizio critico di «pensare da sé»

2.4. Per «Orientarsi» nel terreno del pensare

Dopo soli due anni dalla questione posta dal pastore Zöllner, «Was ist Aufklärung», Kant torna nuovamente sul tema, creando una connessione tra illuminismo e pensiero dell’autonomia.410 Gli sviluppi si rintracciano nello scritto del 1786 «Che

cosa significa orientarsi nel pensiero?», un saggio del periodo critico,411 redatto

cinque anni dopo la pubblicazione della prima edizione della Critica della ragion pura, nel quale l’intervento kantiano, che si inserisce nella controversia nota con il nome di Pantheismusstreit, nella disputa sullo spinozismo tra Moses Mendelssohn e Friedrich Heinrich Jacobi, conferma la legittimazione teoretica della libertà di pensare e richiama dell’antica esortazione kantiana al «pensare da sé». Il richiamo al concetto e al significato di illuminismo, in tale contesto, viene proposto attraverso alcune riflessioni sulle condizioni e sulle possibilità del «pensare da sé», nello specifico sulla «libertà di pensare».

Filo conduttore dell’indagine che emerge con maggiore forza è la ragione critica, rappresentata come orientamento di azioni e pensieri nel soggetto umano, come agire, in un orizzonte, esercizio del sapere, nel tentativo di individuare un presupposto che renda possibile l’esercizio di tale funzione. Kant, intende indicare

410 Kant, alla ulteriore chiarificazione sulla connessione tra Illuminismo e autonomia, fa

corrispondere anche una sua esigenza, di prendere parte al dibattito avviato nella cultura tedesca alla fine del 1785, sul Pantheismusstreit, a seguito di uno scritto di Jacobi “Sulla dottrina di Spinoza. Lettere al Signor Mendelssohn” e di una replica da parte di Mendelssohn, in cui l’illuminista Lessing, viene accusato di spinozismo. Nodo centrale del dibattito era lo statuto filo-teologico dello “spinozismo”, la concezione razionale del divino che «stabilendo l’equazione “Deus sive Natura” approdava al principio dell’Uno-Tutto, al pantesimo e all’ateismo» (Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1996, p. 20), sorta tra Jacobi e Mendelssohn in occasione della pubblicazione da parte di Jacobi della reciproca corrispondenza (1783-1785) sullo spinozismo di Lessing, in particolare il rapporto fede ragione. Mendelssohn sosteneva in linea con la corrente maggioritaria dell’illuminismo tedesco esalta il ruolo della ragione, nella conoscenza razionale dell’Incondizionato, Jacobi era schierato su posizioni più fideistiche che enfatizzavano il ruolo dell’intuizione immediata, limitavano la capacità della sola ragione di cogliere l’Assoluto. L’aspra polemica trasformatasi in uno scontro tra l’illuminismo berlinese e la “filosofia della fede”, spinse Johann Erich Biester ad invitare Kant ad intervenire pubblicamente nel dibattito e, nell’ottobre del 1786, ormai al vertice della sua fama compare il saggio «Was heißt sich im Denken orientieren?»

411Il saggio si inserisce nella seconda fase dell’evoluzione filosofica di Kant, quando aveva già determinato l’ufficio della ragione e culmina con la Critica della Ragion Partica; inoltre, rispetto al Fondamento della Metafisica dei costumi rappresenta un passo verso la possibilità di poter estendere «l’uso della ragione al di là del campo di ogni esperienza possibile» (P. Salvucci, Introduzione a: I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare, a cura di M. Giorgiantonio, R. Carabba, Lanciano 1975, p.70)

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quali siano i requisiti fondamentali mediante i quali si possa attribuire al pensiero il compito di orientare la nostra vita, il criterio razionale capace di orientare l’uomo nello spazio del sovrasensibile, partendo dalla premessa che, in ogni ambito, conoscitivo e pratico, l’attività dell’uomo procede a partire da evidenze e da prerequisiti a lui connaturati. Ma, lo sviluppo teoretico del testo è tale che l’illuminismo compare solo in una nota conclusiva a sugello della trattazione, al fine di immedesimare il concetto di orientamento della filosofia trascendentale e della ragione critica alla massima dell’Aufklärung. Un indizio, apparentemente marginale, iscritto in una lunga proposizione nelle ultimissime righe del saggio, una nota dello stesso Kant, che sembra quasi evocare, ad litteram, la formulazione di un imperativo categorico, nel senso che, afferma Kant, se si vuole capire cosa significhi davvero pensare bisogna rifarsi all’imperativo di «pensare con la propria testa»:

Pensare da sé stesso significa cercare in se stesso (cioè nella propria ragione) la suprema pietra di paragone della verità, e la massima di pesare in ogni circostanza da se stesso è l’Illuminismo. Ciò implica molto meno di quanto non immaginino coloro che ritengono che l’illuminismo consista di conoscenze: è piuttosto un principio negativo dell’uso della facoltà di conoscere, e spesso accade che chi è molto ricco di conoscenze sia poi il meno illuminato nel farne uso. Servirsi della propria ragione significa semplicemente chiedersi, in merito a tutto ciò che si deve ammettere, se sia opportuno9 concepire il fondamento per cui si ammette qualcosa oppure la regola derivante da ciò che si ammette, come principio universale del proprio uso di ragione.412

La nota prosegue:

Chiunque può farne da sé la prova e, pur non avendo affatto le conoscenze necessarie a confutare in base a ragioni oggettive la superstizione e l’esaltazione, le vedrà svanire rapidamente, dal momento che si limita a servirsi della massima dell’autoconservazione della ragione”. Di conseguenza è facile “radicare l’illuminismo in singoli soggetti mediante l’educazione, basta abituare per tempo le giovani menti a questo tipo di riflessione. Illuminare un’epoca è invece molto laborioso, poiché si trovano numerosi ostacoli esterni che in parte impediscono, in parte rendono difficile un’educazione siffatta.

L’esordio del saggio,413 che si inserisce nel contesto del dibattito sullo spinozismo,

412 I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1996,

p. 66

413 Oggetto è la valutazione critica del richiamo di Mendelssohn fatto da Jacobi ad un’istanza di

presunta superiorità rispetto alla ragione speculativa e capacità di accesso al reale: ciò che in Mendelssohn prende il nome di «senso comune», «sana ragione» e «semplice intelletto umano» come guida per la ragione speculativa, corrisponde in Jacobi, al richiamo ad un «sentimento» naturale. Invece, il preteso alleggerimento della ragione mediante il senso comune o il sentimento corrisponderebbe per Kant alla sua «destituzione » in favore della superstizione e del fanatismo, infatti lo spinozismo conduce di diritto al fanatismo, all’assunzione di un tipo di conoscenza che trascende i limiti delle possibilità umane e solo determinando i limiti della ragione è possibile per Kant estirpare il fanatismo: da qui lo spunto per riallacciare il dibattito sul concetto e sul significato

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puntualizza gli esiti dell’analisi critica relativa ai poteri conoscitivi dell’uomo e - dopo esser più volte tornato a mostrare che “la ragione che si spinge ad argomentare sulle idee metafisiche di Dio, dell’anima immortale e della libertà finisce per impigliarsi in una serie di antinomie, senza poter dimostrare né concludere nulla” - intende indagare, sul significato del pensiero e sulla modalità conoscitiva verso cui il pensiero ci spinge, di cui tuttavia non possediamo punti di riferimento. L’articolo si apre con la prospettiva, radicata nella caratterizzazione della prima edizione della Critica della Ragion Pura, sulla distinzione di intelletto e ragione come si evince nell’incipit iniziale,414 quando afferma che gli elementi

nel terreno della conoscenza, «i concetti puri dell’intelletto ricevono senso e significato solo se si esercitano sul campo delle intuizioni sensibili che essi stessi determinano, risolvendole in oggetti di conoscenza»415 e attraverso questo «uso

empirico del nostro intelletto e ragione forse si celano un metodi di pensiero euristici che se solo riuscissimo a estrapolarli abilmente da questa esperienza, potrebbero arricchire la filosofia di qualche “massima”, utili anche per il pensiero astratto»,416 proprio per il modo con cui il pensiero deve condurre nel suo

procedere puro, quando si muove astraendo dall’esperienza.

Possiamo rintracciare, per la lettura del saggio, due elementi che Kant porta con sé

dell’illuminismo (Cfr. G. Zöller, Lumi sull’illuminismo. La concezione kantiana del l’uso autonomo, pubblico e comune della ragione in «Studi Kantiani», XVIII, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa, 2005, p.52)

414 L’incipit dell’articolo riporta: «Per quanto in alto noi collochiamo i nostri concetti, e per quanto

ci sforziamo di astrarre dalla sensibilità, essi rimangono pur sempre legati a rappresentazioni figurate, destinate propriamente a rendere atti all’uso empirico i concetti altrimenti non desunti dall’esperienza. Come potremmo infatti attribuire senso e significato ai nostri concetti, se non fosse loro sottesa una qualche intuizione (che in definitiva dev’essere sempre un esempio tratto da una qualche esperienza possibile?) Se a questo atto concreto dell’intelletto sottraiamo l’apporto dell’immagine - prima quello della percezione sensoriale casuale, poi la stessa intuizione sensibile pura in generale – ciò che resta è il puro concetto dell’intelletto, che aumenta così la portata e contiene una regola del pensiero in generale (I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1996, p. 45)

415 Kant ritiene che nel pensare, possiamo fare un uso legittimo dei nostri concetti (pensare Dio) che

è diverso dal conoscere. Infatti i concetti puri dell’intelletto (che il filosofo astrae) sono semplici forme del pensare, modi in cui l’intelletto pensa (I. Kant, Critica della ragion pura, (a cura di) P. Chiodi, Utet, Torino, 1986, B 150 p.173).Ma il pensare si può esercitare sia sulle intuizioni sensibili(e il pensare si trasforma in conoscere fenomenico (perché il pensare determina l’oggetto indeterminato delle intuizioni sensibili), che su ciò che non si presenta all’intuizione sensibile (Dio, Anima, Mondo)che è pensato ma non conosciuto, dato che senza le intuizioni sensibili ciò che viene pensato non può esser conosciuto. Se si scambia il pensare con il conoscere si precipita nell’illusione trascendentale, come la metafisica quando pretende di porsi come scienza di cose di Dio, anima, mondo (P. Salvucci, Introduzione a: I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare, a cura di M. Giorgiantonio, R. Carabba, Lanciano 1975, pp.17). Va ribadita la distinzione operata da Kant tra pensare e conoscere (I. Kant, Critica della ragion pura, XXVIII, p.50; cfr. P. Salvucci, «Nota sul pensare e sul conoscere», in L’uomo di Kant, Argalia, Urbino, 1975, pp. 580-581)

416 Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1996, pp.

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dalla prima critica: il carattere sintetico della conoscenza (in quanto, dato che “i concetti rimangono pur sempre legati a rappresentazioni figurate”, quella forma di pensiero che prescinde dall’intuizione non lavora con concetti ma con idee417, è

ragione e non intelletto) e il ruolo dell’intuizione (inteso come il luogo in cui accade la possibilità di conoscenza e ne costituisce l’inizio e la guida.418

Anche nello scritto del 1786, l’Aufklärung e il criticismo emergono come affinità di pensiero e intenti: il saggio sull’orientamento compare, come quello del 1784, sulla «Berlinische Monatscchrift», ma non si presenta più come lo scritto precedente, in difesa della libertà di espressione come arma fondamentale delle idee illuministiche, ma come difesa teorica dell’Aufklärung in quanto atteggiamento radicale e filosofico. Da Zöllner offensore, a Jacobi che minaccia l’Aufklärung e segna l’oltrepassamento dell’Aufklärung che avanza in modo radicale il problema religioso.

Kant, riassumendo i punti della questione sollevati da Jacobi e Mendelsshon, come cioè la ragione può muoversi per la conoscenza del sovrasensibile, anticipando il risultato del suo intervento, afferma che nel terreno speculativo ci si orienta solo con la ragione e non con un misterioso senso della verità,419 ma con la «ragione

illuminata dalla Kritik».420 Ciò si traduce con la necessità di precisare e meglio

definire il concetto di orientamento, utile a «aiutarci ad esporre con chiarezza la massima della sana ragione applicata alla conoscenza degli oggetti sovrasensibili».421 Muovendo dal significato geografico di orientamento per poi

estenderlo per analogia al terreno del logos, Kant afferma infatti che:

Letteralmente, orientarsi significa: determinare a partire da una certa regione del mondo l’oriente. […] A questo scopo bisogna tuttavia che io senta una differenza nel mio stesso soggetto, quella fra mano destra e sinistra; poiché esteriormente, nell’intuizione, i due lati non presentano alcuna differenza percettibile.422

417 I concetti puri razionali, ora, sono le idee trascendentali: sono i concetti della ragion pura 418 Cfr. L. La Rocca, Che cosa significa orientarsi nel pensiero ovvero circa la possibilità di una

conoscenza sintetica della totalità dell’essere, contributo telematico, www.academia.edu

419 Cfr.I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, op. cit. p.47

420 P. Salvucci, Introduzione a : I.Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare, Carabba, Lanciano,

1971, p.22. La Kritik è per Kant il tribunale, il luogo delle dispute della ragione, unica che può eliminare errori in cui precipita e mettere fine a contese: quando la ragione non si è ancora sollevata alla posizione critica o quando viene trascesa per altro, c’è lo stato di guerra. Solo la Critica può orientare la ragione verso una pace nella quale realizzare un progresso, e la sua assenza condurrebbe a follia e delirio

421 I. Kant, ivi

422 I. Kant, ivi. Se, afferma Kant, con un semplice esempio - proviamo a tracciare un cerchio in un

foglio di carta bianca, siamo in grado di distinguere naturalmente e senza problemi, il movimento da sinistra a destra ed anche il suo opposto: vi è un «sentimento soggettivo» in qualche modo “propedeutico” all’orientamento senza il quale «non saprei se collocare l’ovest a destra o a sinistra

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Il «bisogno di sentire», questo «criterio di distinzione puramente soggettivo», è quella condizione di possibilità per l’orientamento vero e proprio che si costituisce muovendo dal sentire interno, per supplire alla mancanza di differenze oggettive che orientino da sé il soggetto. Dunque, nello spazio geografico, pur considerando tutti i “dati oggettivi”, ci si può orientare in quanto si possiede «una ragione soggettiva di distinzione» che è il «sentimento di una differenza di distinzione soggettiva»:423 e Kant astrae dal mondo (dati e oggetti) per cercare nel soggetto (e

distinguere) il «sentimento della differenza» fra destra e sinistra, come principio originario e regolatore dell’orientarsi nel mondo, che è data all’uomo dalla natura e «diviene abituale in virtù di un frequente esercizio».424 Da ciò traspaiono la fiducia

nella ragione e il convincimento che essa sia capace di trovare un punto di riferimento425 anche per quegli ambiti che l'uomo non può conoscere

oggettivamente.

Dato che l’uomo ha bisogno di orientarsi anche nel terreno del logos, del pensiero, Kant procede per analogia426 tra i due domini estendendo l’orientamento geografico

al terreno del pensare: .come nell’orientamento geografico in cui sono necessarie determinate condizioni soggettive (a partire da una regione determinata del mondo, di trovarne altre e sono necessarie determinate condizioni soggettive), allo stesso modo è possibile individuare una condizione originaria altrettanto soggettiva, un sentimento soggettivo e regola che permette alla ragione di orientarsi qualora,

del punto d’orizzonte indicante il sud» (Ivi, p.48). Questo «criterio di distinzione soggettivo» è la condizione di possibilità per l’orientamento vero e proprio e che, per supplire alla mancanza di differenze oggettive che orientino da sé il soggetto, si costituisce partendo da questo sentire interno.

423 Heidegger restituisce a Kant la sua posizione affermando che «sinistra e destra non sono qualcosa

di soggettivo radicato in una particolare sensibilità del soggetto, ma sono invece, direzioni dell’orientamento. Attraverso il semplice senso di una diversità delle mie due arti non potrei mai orientarmi in un mondo. Il soggetto fornito di un tale assenso, come ritiene Kant, è un assunto dl tutto artificiale costruito sull’oblio della reale costituzione del soggetto (perché l’uomo) deve essere sempre in un mondo per potervisi orientare. Appare chiaro nel fenomeno indicato da Kant: supponiamo che avanzi in un a stanza a me nota, ma oscura che in mia assenza sia stata messa in subbuglio, in modo che ciò che prima era destra è ora sinistra. Posto che mi debba orientare, non mi servirà a nulla «il semplice senso di diversità» delle mie due “parti” finché non abbia un determinato oggetto di cui Kant dice di avere impresso nella memoria. Per Heidegger ciò significa che io non posso orientarmi che in conseguenza e sul fondamento di essere presso un mondo che mi sia “noto” (M. Heidegger, Essere e Tempo (a cura di) P.Chiodi, Bocca Milano, 1953, pp.121-122)

424 I. Kant, Cosa significa orientarsi nel pensiero?, op. cit. p. 48

425 Muoversi in una stanza buia non è una metafora della limitatezza del conoscere umano, della

finitezza, cioè, della sua struttura ontologica, al contrario, è l'indice di una positiva capacità che l'uomo possiede: la capacità di orientarsi a partire da quel «criterio di distinzione soggettivo», della distinzione tra lato destro e sinistro (I. Kant, op. cit. p.49)

426 Per analogia si può facilmente indovinare (congetturare) che sarà compito della ragione pura

guidare il proprio uso quando, partendo da oggetti noti dell’esperienza, essa vorrà estendersi al di là di tutti i confini (limiti) dell’esperienza senza trovare alcun oggetto dell’intuizione (che per l’uomo è sensibile) ma solo spazio per essa (I. Kant, op. cit. p.49)

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voglia estendersi “al di là dei confini dell’esperienza”, in quell’ambito nel quale la ragione, nella determinazione della sua capacità di giudizio, «non è in grado di sottomettere i suoi giudizi ad una massima positiva seguendo i principi oggettivi

della conoscenza,ma solo secondo un criterio di distinzione soggettivo».427 Ciò che

sembrava una semplice parantesi del concetto di orientamento è il mezzo mediante il quale Kant può garantire un orientamento anche a quel pensiero che non opera sinteticamente.428

Alla Ragione critica, rappresentata nella sua soggettività, spetterà l’esercizio dell’orientamento, esercizio del quale non dispone di un principio oggettivo di una regola automaticamente applicabile429 e il principio soggettivo, unico che resta,

(dopo che la ragione ha abbandonato i principi validi per l’esperienza fenomenica) è «il sentimento del bisogno proprio della ragione»: la ragione deve trovare la regola e «orientarsi nel pensiero significa dunque: «data l’insufficienza dei principi oggettivi della ragione, seguire nel ritenere vero, un suo principio soggettivo»,430

nel senso che, dato che “i principi oggettivi” non sono adeguati ad agire nel terreno del pensare, ma solo in quello del conoscere, è necessario «seguire, nel ritenere vero, un suo principio soggettivo», determinarsi cioè all’assenso secondo un “principio soggettivo” della ragione stessa.

Dunque, l’orientamento, è radicato in una “sentire soggettivo” che “apre all’atto dell’orientarsi vero e proprio; inoltre, nella condizione in cui il pensiero non può fare affidamento ad oggettualità portate ad evidenza dall’intuizione (quando la ragione si interroga sui concetti puri di Dio, Anima, Mondo) ha tuttavia a disposizione un criterio-guida che ne orienta l’indagine.431

Per Kant, la ragione non si orienta mediante “una conoscenza”, ma mediante un «bisogno soggettivo» che essa avverte: la ragione non «sente», ma «vede» le proprie carenze e per questo «produce mediante la tendenza alla conoscenza che le

427 I. Kant, op. cit.p.49 428 L. La Rocca, ibidem

429 F. Fraisopi, «Was ist Aufklärung? Domanda e filosofia trascendentale», in Adamo sulla sponda

del Rubicone, p.367

430 I. Kant, Cosa significa orientarsi nel pensiero?, op. cit. p.50 (nota di Kant)

431 A questo punto subentra il diritto del bisogno di ragione come fondamento soggettivo di

ammettere e supporre ciò che non può sapere in base a fondamenti oggettivi (cioè orientarsi nello spazio del sovrasensibile): in virtù del proprio bisogno presuppone l’esistenza del concetto del suo oggetto rifacendosi agli argomenti sulla prova dell’esistenza di Dio nel Proslogion di S.Anselmo. Il bisogno di ragione pone una intuizione interna di Dio, come l’orientamento era l’istituente la dimensione di percepire il mondo secondo il senso della destra-sinistra, condizione di possibilità dell’orientamento vero e proprio, da cui dedurre le altre direzioni

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è peculiare, il «sentimento del bisogno». Non è un «principio oggettivo della ragione», ma “un principio fondamentale per gli atti di conoscenza, semplicemente soggettivo, massima per il solo uso di ragione nei limiti che le consentono”. In tal modo, se la ragione si lascia guidare da questa massima, non esce dai limiti che le sono fissati.

Se l’analogia costituisce e struttura la fede razionale come guida per orientamento nel pensiero, la sua importanza sta nell’attenzione logico-critico sull’atto del giudizio caratterizzando l’Aufklärung in una pratica filosofica, come il criticismo che si interroga costantemente sul proprio valore educativo. L’attenzione del valore logico non conoscitivo dell’analogia rappresenta allora l’esercizio stesso dell’Aufklärung contro la permanenza nello stato di minorità.432

Per Kant, dunque, che cosa significhi orientarsi in modo corretto nel pensare