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Che cos’è l’omosessualità?

CAPITOLO II. La famiglia contemporanea

3.2 Che cos’è l’omosessualità?

L’omosessualità può essere considerata come l’attrazione fisica ed emotiva nei confronti di una persona dello stesso sesso. Sebbene le pratiche omosessuali non siano nate in tempi recenti, il termine omosessualità nasce quando la visione delle diversità di orientamento sessuale si è spostata dal piano del giudizio etico a quello della patologia, attraverso la medicalizzazione dell’omosessualità.

In ambito psicologico si è soliti ricondurre la nascita di attribuzioni patologiche nei confronti dell’orientamento omosessuale al pensiero psicodinamico di Freud. Egli attribuiva l’insorgenza di attrazioni omoerotiche ad una “variazione della funzione sessuale prodotta da qualche arresto dello sviluppo psicosessuale”115, che avveniva nell’infanzia. In accordo con questa prospettiva, alla nascita gli esseri umani sarebbero tutti bisessuali, per poi acquisire un orientamento eterosessuale oppure omosessuale in funzione di esperienze familiari o sociali. Tuttavia, in una celebre lettera di risposta ad una madre che chiedeva una terapia per il figlio omosessuale, Freud scrisse:

L’omosessualità non è certo un vantaggio, ma non è nulla di vergognoso, non è un vizio né una degradazione, e non può essere classificata come malattia […] È una grande ingiustizia e anche una crudeltà perseguitare l’omosessualità come un crimine.116 114 Ivi, cfr . 107. 115 Ivi, p. 24. 116

Richard A. Isay, Essere omosessuali. Omosessualità maschile e sviluppo psichico, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, cit. p. 1.

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Si può supporre che sia stato lo sviluppo del successivo pensiero psicoanalitico a fornire una immagine patologica dell’omosessualità, attraverso la conduzione di ricerche che associavano questo tipo di orientamento sessuale ai disturbi della personalità o di socializzazione. Tuttavia, tali ricerche furono spesso contestate in quanto presentavano delle lacune metodologiche, prima fra tutti la scelta dei campioni: “molto piccoli, prevalentemente maschili, per lo più provenienti da ambiti clinici o istituzionali.”117

L’omosessualità pertanto era vista come una malattia, ma anche come un fenomeno sociale quantitativamente poco esteso. Questa visione è stata messa radicalmente in discussione negli anni Cinquanta del secolo scorso da alcuni studi del sessuologo statunitense Alfred Charles Kinsey, meglio noti come “Rapporto Kinsey”118. Questo studio ebbe una grande risonanza in ambito accademico in quanto, per la prima volta, si dimostrò che i comportamenti e le fantasie omoerotiche nella popolazione generale erano tutt’altro che infrequenti.

Inoltre, Kinsey criticò le posizioni scientifiche che individuavano omosessualità ed eterosessualità come poli opposti dell’esperienza sessuale, con una porzione insignificante di bisessuali che si collocavano in posizione intermedia. La sessualità da lui proposta appare duttile e modificabile nel corso della vita.

Pertanto, sebbene ci siano persone che mantengono per tutta la vita un orientamento esclusivamente omosessuale oppure eterosessuale, esiste una considerevole fetta di popolazione che ha sperimentato diversi tipi di relazioni affettive e sessuali.119

Come già ribadito, la mente umana necessita di categorie specifiche, che utilizza per collocare i fenomeni in sfere chiare e definite. Molto spesso, tuttavia, questo processo di categorizzazione porta ad una forzatura dei fatti, che raramente riescono ad essere così definiti in natura.120

Probabilmente le rivoluzionarie conclusioni degli studi di Alfred Charles

117

L. Pietrantoni, op.cit. p. 24

118

Alfred C. Kinsey, Wardell R. Pomeroy, Clyde E. Martin, Sexual behaviour in the human male, Philadelphia, WB Saunders, 1948. E Alfred C. Kinsey et al., Sexual behaviour in the human

female, Philadelphia, WB Saunders, 1953. 119

Alfred C. Kinsey, Wardell R. Pomeroy, Clyde E. Martin, «American Journal of Public Health»,

Sexual Behavior in the Human Male, giugno 2003, pp. 894–898. 120

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Kinsey, hanno favorito la successiva rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.121

Più o meno contemporaneamente agli studi di Kinsey, lo sviluppo della medicina psichiatrica portò alla pubblicazione, nel 1952, del primo DSM (Diagnostical and Statistical Manual of Mental Disorder) ad opera della American Psychological Association. Nella prima edizione del manuale, l’omosessualità compariva nella categoria dei disturbi sociopatici della personalità, il che riconduceva l’orientamento omosessuale ad una consapevole opposizione ai valori sociali tradizionali e morali.

La seconda edizione del Manuale del 1968, collocava l’omosessualità nella categoria degli altri disturbi mentali non psicotici: “assieme alla pedofilia, la necrofilia, il feticismo, il voyerismo, il travestitismo, il transessualismo.”122

Un primo passo verso la rimozione dell’omosessualità dal manuale si riscontra nella terza edizione dello stesso. Nel 1974 viene introdotta la distinzione tra omosessualità egosintonica e quella egodistonica, classificando solo quest’ultima come disturbo psicosessuale. Questa distinzione implicava che l’orientamento omosessuale non potesse essere considerato un disturbo in sé, se non in quelle circostanze in cui la sua mancata accettazione poteva portare a disturbi psicopatologici nell’individuo.

Nel 1987 l’Associazione Psichiatrica Americana ha rimosso anche l’omosessualità egodistonica dalla terza edizione riveduta del manuale, “[…] interpretando il disagio egodistonico come processo evolutivo e non come sindrome a sé stante.”123

La rimozione dell’omosessualità dal DSM ha portato a compimento a livello medico il processo di depatologizzazione dell’orientamento omosessuale. È possibile che le persone omosessuali abbiano disturbi mentali, ma questi non possono essere direttamente riconducibili al loro orientamento sessuale.

Una volta depatologizzata l’omosessualità si è cominciato a parlare di una vera e propria «identità sessuale». Le teorie nell’ambito della sessuologia hanno

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Theodore M. Brown, Elizabeth Fee, «American Journal of Public Health», Alfred C. Kinsey: A

Pioneer Of Sex Research, giugno 2003, pp. 896–897. 122

L. Pietrantoni, op.cit. p. 25

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indagato l’origine dell’orientamento sessuale, e gli studiosi si sono divisi tra chi attribuiva questa origine a fattori biologici e chi e fattori socio-culturali. Le teorie recenti tendono ad individuare l’identità sessuale come un aspetto multidimensionale costituito da quattro fattori fondamentali: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere ed orientamento sessuale.

Il sesso biologico indica l’appartenenza biologica al sesso maschile o femminile determinata dai cromosomi sessuali. L’identità di genere indica invece l’autoidentificazione della persona come maschio o femmina, e di solito si forma nella prima infanzia. Il ruolo di genere racchiude quell’insieme di aspettative di ruolo su come femmine e maschi dovrebbero comportarsi all’interno di una data società e di un dato momento storico e, infine, l’orientamento sessuale indica l’attrazione erotico/affettiva nei confronti di una persone dell’altro, dello stesso sesso o entrambi. Esso può pertanto essere eterosessuale, omosessuale o bisessuale.

Molte ipotesi sono state formulate sull’origine dell’omosessualità: considerando le influenze di fattori genetici e ormonali, oppure l’impatto di particolari esperienze vissute nella prima infanzia.

Il dibattito si è acceso tra essenzialisti e costruzionisti, i primi intendono l’omosessualità come una caratteristica innata degli individui, i secondi come un processo di apprendimento socialmente e culturalmente determinato.

Nonostante lo sforzo di teorizzazione, la maggior parte degli approcci si sono rivelati insufficienti a spiegare l’origine dell’orientamento omosessuale. Esso pertanto ha cominciato ad essere considerato come un fattore multidimensionale, dato dall’interazione di diversi aspetti che agiscono in maniera imprevedibile e cambiano da individuo a individuo; la sessualità si configura pertanto come unica in ogni essere umano.

Sebbene la situazione sociale sia mutata nel corso degli ultimi decenni, le persone omosessuali continuano ad essere oggetto di stigma e omofobia. Alla difficoltà di appartenere ad una minoranza stigmatizzata si aggiunge quella di dover acquisire un’identità omosessuale in un contesto eteronormativo.124 Inoltre, molto spesso, tale processo avviene in un delicato periodo di formazione della

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Con il termine «eteronormatività» ci si vuole riferire alla tendenza a considerare l’eterosessualità come l’unico e normale orientamento sessuale.

75 propria identità: l’adolescenza.

Riprendendo quanto detto da Erving Goffman125, si può affermare che l’omosessualità non è uno stigma immediatamente visibile, pertanto molte persone decidono di non rivelarsi e di vivere nel silenzio. Questo può creare una pesante discrepanza tra l’ambito pubblico e quello privato, che può avere serie ripercussioni su alcuni aspetti della vita dell’individuo. I giovani crescono in contesti in cui si tendono a ricevere stimoli negativi collegati all’omosessualità, che potrebbero nel tempo essere introiettati dagli stessi omosessuali, dando luogo al fenomeno che è stato definito “omofobia interiorizzata”. Questa, potrebbe essere favorita o mitigata da alcuni fattori sociali o familiari, o da alcune convinzioni religiose.

L’immagine di sé potrebbe essere compromessa dal provare sentimenti negativi nei confronti di se stessi. La paura dello stigma, della solitudine, di causare un disonore ai propri genitori o familiari, può portare gli individui a mettere in atto una serie di meccanismi di difesa volti ad allontanare le fantasie omoerotiche.

Probabilmente si può ipotizzare che sia stata proprio l’omofobia interiorizzata ad aver portato la maggior parte degli omosessuali ad autoescludersi per molto tempo da alcuni ambiti della vita, ad esempio la possibilità di vivere una relazione stabile e riconosciuta, o anche quella di formare una famiglia e di svolgere un ruolo genitoriale.

La difficoltà di autodefinirsi omosessuali fa parte del coming out, ovvero il processo di acquisizione e dichiarazione della propria identità omosessuale.

L’espressione coming out veniva utilizzata negli anni trenta del secolo scorso per indicare l’ingresso in società delle debuttanti e che significa letteralmente “uscire allo scoperto”.126

Pertanto, il tormentato processo di autodefinizione non costituisce la fine delle problematiche collegate all’essere omosessuali. Dopo averlo detto a sé stessi, bisogna infatti capire come comunicarlo al resto del mondo, oppure a parte di esso. Il coming out può essere ostacolato o facilitato da diversi fattori, sia interni all’individuo, ad esempio la capacità personale di porre in essere strategie

125

E. Goffman, op.cit.

126

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di fronteggiamento, sia fattori esterni, come la possibilità di fare affidamento su figure di sostegno o di confrontarsi con altri omosessuali.127

L’uscire allo scoperto è parte integrante del processo di formazione dell’identità omosessuale; tale processo è stato oggetto di studio e analisi e sono stati ipotizzati molti modelli teorici. A partire dagli anni Settanta del secolo scorso sono proliferati una serie di studi sulla costruzione dell’identità omosessuale, che ne hanno analizzato soprattutto le diverse tipologie e le problematiche che gli individui possono riscontrare nel gestire la propria omosessualità. I presupposti teorici che hanno guidato questi studi sono stati sostanzialmente due:

1) l’identità non si costruisce all’improvviso, ma attraverso un processo di acquisizione.

2) Tale processo non avviene solo a livello individuale, ma risente dell’influenza del contesto in cui la persona agisce.

Alcuni studi si sono soffermati sull’analisi delle modalità attraverso cui si costruisce l’identità omosessuale, ciò che sembra opportuno in questa sede riportare sono due approcci: quello di Vivienne Cass del 1979128 e quello proposto dal sociologo Richard Troiden nel 1988129. Entrambi i modelli individuano una sequenza di stadi che consentono alle persone omoaffettive di considerare (prima) e acquisire (dopo) una identità omosessuale.

Il modello di Vivienne Cass prevede sei stadi di formazione dell’identità:

1) Identity confusion: corrisponde alla fase in cui si cominciano ad avere desideri nei confronti delle persone dello stesso sesso

2) Identity comparison: il confronto con la maggioranza genera sentimenti di solitudine. La percezione della differenza con gli altri può essere considerata in maniera positiva o negativa, a seconda che sia accettabile o no per il soggetto l’immagine di sé come omosessuale

127

L. Pietrantoni, op.cit. Cfr p. 57.

128

Vivienne C. Cass, «Journal of homosexuality», Homosexual identity formation: a theoretical

model, spring 1979, pp. 219–235. 129

Richard R. Troiden, «Journal of Adolescent Health», Homosexual identity development, marzo 1988, pp. 105–113.

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3) Identity tolerance: La sensazione di solitudine derivante dal confronto con la maggioranza porta il soggetto a ricercare persone simili, molto spesso infatti questa è la fase in cui si prende contatto con l’associazionismo omosessuale. Un contatto positivo o negativo con la sottocultura gay può influire sull’autopercezione di s come omosessuale

4) Identity acceptance: La persona accetta il proprio orientamento, spesso in questa fase comincia lo svelamento ad alcune persone significative. 5) Identity pride: in questa fase l’accettazione di sé è arrivata a piena

maturazione. La tranquillità nei confronti del proprio orientamento spinge la persona ad avere risentimento nei confronti del rifiuto sociale. In questa fase emerge la rivendicazione, spesso accompagnata dall'allontanamento dalle istituzioni tradizionali e dal maggiore coinvolgimento nell’attivismo omosessuale.

6) Identity synthesis: la rabbia nei confronti della maggioranza si attenua e la dicotomia omosessuale/eterosessuale diventa meno enfatizzata. L’orientamento omosessuale diventa parte integrante della struttura dell’identità dell’individuo.

Anche Richard Troiden ha delineato un modello stadiale in cui si passa da una iniziale sensazione di confusione ad una graduale consapevolezza e accettazione del proprio orientamento sessuale. Le fasi individuate da Troiden sono quattro:

1) Sensitization: avviene solitamente nella prima infanzia e consiste nell’acquisizione di prime esperienze o sensazioni che potranno essere successivamente oggetto di reinterpretazione.

2) Identity confusion: indica quella fase di confusione tipica dell’adolescenza.

3) Identity assumption: in cui avviene la prima definizione di sé come omosessuale e una prima dichiarazione ad altre persone; solitamente avviene nella tarda adolescenza.

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4) Commitment: il punto di arrivo della piena definizione di sé come omosessuale. Può coincidere con l’inizio di una relazione stabile e comporta il raggiungimento di un buon livello di autostima e di accettazione rispetto al proprio orientamento.

Il tema dell’omosessualità ha suscitato molto interesse all’interno della società, diventando oggetto di dibattito. Ma l’interesse crescente nei confronti degli omosessuali da parte di giornali e Tv non è stato accompagnato da un proporzionato approfondimento accademico. Di conseguenza molto spesso sulla tematica dominano luoghi comuni e superficiali immagini stereotipate dell’omosessualità.

Come precedentemente sottolineato, sono due le principali prospettive teoriche che guidano le persone interessate allo studio delle origini dell’orientamento omosessuale: l’essenzialismo e il costruzionismo. La prima considera l’orientamento sessuale come innato e immutabile. Un dato di fatto che deve essere acquisito e che è riconducibile a fattori psicologici e biologici. La seconda prospettiva invece attribuisce un grande valore ai fattori sociali e culturali che possono influenzare l’orientamento sessuale, che quindi non sarebbe innato e immutabile nel tempo.

Nonostante gli studiosi di scienze sociali abbiano fatto grande riferimento al costruzionismo, negli ultimi anni il divario tra le due prospettive teoriche è andato riducendosi e l’orientamento sessuale ha cominciato ad essere considerato come il risultato di fattori biologici, psicologici, sociali, storici e culturali.

I non addetti ai lavori, al contrario, hanno spesso avuto un atteggiamento essenzialista nei confronti dell’omosessualità. Ciò ha impedito di analizzare quale sia il reale vissuto di queste persone, quale percorso tortuoso e doloroso abbiano affrontato nel processo di costruzione della propria identità omosessuale.130

Sono ancora largamente diffusi gli stereotipi che vedono le lesbiche come donne mascoline e i gay come uomini effemminati. Questa rivela anche una grande confusione tra due concetti che invece sono nettamente distinti: l’orientamento sessuale e l’identità di genere, ma su questo torneremo in seguito.

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Gli omosessuali di oggi sono lontani dal modello stereotipato dell’omosessuale associato alla pederastia e alla promiscuità consumata in luoghi oscuri e invisibili. L’omosessualità è nel tempo diventata meno socialmente aberrante, con modi e tempi diversi a seconda dei vari contesti socio-culturali di appartenenza. Questo ha portato gli stessi omosessuali a vivere tendenzialmente in modo meno traumatico il loro orientamento, sono maggiormente visibili, instaurano relazioni sempre più stabili e hanno iniziato a rivendicare il riconoscimento di alcuni diritti.

Tuttavia, continuiamo a vivere in una società eteronormativa, in cui si assume l’eterosessualità come norma e come percorso “naturale” della vita. Evidente testimonianza di questo è il fatto che chi è eterosessuale non ha necessità di dichiararlo, non esistono percorsi di costruzione di identità eterosessuale, un giovane uomo e una giovane donna non hanno bisogno di interrogarsi sulla legittimità dell’attrazione sessuale che provano per una persona del sesso opposto. Questo non accade per gli omosessuali, che non possono esimersi dall’interrogarsi sulla propria diversità e che quindi devono affrontare un percorso, spesso doloroso e laborioso, che li porterà a dichiararsi come gay o lesbica. La facilità, la difficoltà o addirittura l’impossibilità di questo percorso dipenderanno da vari fattori.

Le ricerche dimostrano come l’attrazione omoerotica e l’acquisizione di una identità gay e lesbica non sempre corrispondano. Non è raro infatti che persone che provano sentimenti e attrazione fisica nel confronti di persone dello stesso sesso non vogliano definirsi come gay o lesbica. Questo può dipendere da vari fattori, ad esempio l’attrazione sessuale può non essere esclusivamente omo, oppure può non essersi concretizzata in atti sessuali veri e propri, oppure ancora si può pensare che sia una fase transitoria della propria vita, o semplicemente essere esito di un processo di negazione che aiuta a gestire le proprie resistenze interne.

La difficoltà dell’autodefinizione come gay o lesbica è corroborata da varie ricerche condotte negli Stati Uniti che fanno pensare che la sessualità non sia fissa e immutabile, ma piuttosto “fluida, malleabile, soggetta a qualche mutamento nel corso della vita”.131

É anche vero che tra gli omosessuali moderni sono più quelli con un

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orientamento sessuale stabile di quelli con un orientamento fluido e duttile.

Un momento fondamentale del coming out è senza dubbio quello in cui si arriva a definire se stessi come omosessuali. Non esiste un percorso univoco o delle tappe prestabilite per acquisire una identità omosessuale, le modalità sono le più disparate e dipendono anche dai vissuti, dalle emozioni, dalle possibilità di incontro, dalle resistenze interne o esterne.

In generale, la costruzione della propria identità avviene anche in confronto a come vediamo gli altri e come questi vedono noi, pertanto il processo di autodefinizione come omosessuali può essere appesantito maggiormente dall’immagine stereotipata e distorta che la società ha degli omosessuali stessi. Può essere difficile infatti immedesimarsi nella “checca travestita” o nella “donna mascolina”.

[…] gran parte della sofferenza espressa da coloro che rifiutano la propria omosessualità, o da coloro che hanno dovuto attraversare fasi molto difficili prima di accettarla, non è solo conseguenza della mancata approvazione sociale, o di episodi di discriminazione o condanna espliciti. Tale sofferenza dipende anche dal non potersi riconoscere nell'immagine di omosessuale condivisa dal proprio intorno culturale, che sia l'immagine di un invertito, di un effemminato, di un pederasta o altro.132

Definirsi omosessuali può non essere semplice per persone che pensano che questo sia un ostacolo insormontabile all’accettazione, molti tendono a giustificare pulsioni e atti omosessuali come dei semplici colpi di testa, episodi irripetibili dovuti magari a situazioni di incoscienza (ad esempio: “ero ubriaco/a”). Il processo di accettazione di queste persone può non concludersi mai, implicare totali rotture con amicizie o parenti non in grado di comprendere la situazione, o addirittura portare ad un trasferimento in un luogo con maggiori possibilità di socializzazione e di libera gestione del proprio privato. In questo senso è importante la frequentazione con altri omosessuali, per comprendere meglio il proprio percorso ed uscire dall’isolamento. Tuttavia il rischio della ghettizzazione è sempre presente e si rischia di compromettere rapporti passati e

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Chiara (a cura di) Saraceno, Diversi da chi? Gay, lesbiche, transessuali in un’area

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presenti con persone fino a quel momento considerate indispensabili nella propria vita.

Chi arriva a definirsi gay o lesbica può spesso avere dei trascorsi eterosessuali di sperimentazione, anche importanti, come ad esempio un esperienza matrimoniale.

Ancora più problemi pone la questione della bisessualità, considerata negativamente sia da alcuni eterosessuali, che considerano i bisessuali promiscui e dissoluti, sia da alcuni omosessuali, che ritengono la bisessualità una mera finzione, un modo di non vivere a pieno la propria omosessualità e di piegarsi parzialmente alle logiche eteronormative. Questa polarizzazione negli anni è diventata meno netta e “la posizione dei gruppi dei gay e delle lesbiche nei confronti dei bisessuali è diventata meno rigida.”133

Il processo che porta alla presa di coscienza della propria identità omosessuale può essere, quindi, particolarmente difficile e delicato134. La paura di non essere accettati, di non poter avere una vita affettiva normale, di essere stigmatizzati, malati, condannati alla solitudine, può diventare un fardello troppo pesante da portare, specialmente se si somma a periodi molto delicati della vita, di costruzione in generale della propria identità e del proprio futuro, ad esempio l’adolescenza.

Alcuni pensieri omofobi possono iniziare ad inculcarsi nella testa degli stessi