CAPITOLO IV. Dalla persecuzione alla rivendicazione
4.1 Un excursus storico
Per quanto l’omosessualità sia un fenomeno tutt’altro che recente, il modo di viverla e di percepirla, soprattutto negli ultimi quarant’anni, è cambiato in modo radicale. In questo ambito la discontinuità con il passato è particolarmente evidente. La nascita di quella che è stata definita «omosessualità moderna» viene di solito fatta risalire al modello medico dell’omosessualità, grazie al quale l’omosessuale moderno si configura come:
[…] uno specifico attore sessuale, che nacque quando gli schemi interpretativi mutarono e questi stessi comportamenti cominciarono ad essere visti come i segni e le manifestazioni di un tipo particolare di inclinazione, di personalità, di identità sessuale deviante.156
Il modello medico ipotizzato alla fine dell’Ottocento, è ben lungi dal descrivere adeguatamente l’omosessuale moderno, il quale si discosta grandemente dal modello della pederastia classica, per diventare stabile, simmetrico e reciproco.
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In passato le relazioni omosessuali erano tendenzialmente asimmetriche, sia dal punto di vista anagrafico che di posizione sociale. L’atto omosessuale si configurava come una pratica casuale o accidentale, non come frutto di una particolare e stabile inclinazione. Molta enfasi veniva posta sulla modalità di realizzazione dell’atto stesso, tra chi penetrava e si trovava in posizione di dominio e chi veniva penetrato ed era sottomesso. La fissità dei ruoli rifletteva una ineguale distribuzione di potere interno alla coppia, che attualmente è stato tralasciato per dare spazio alla reciprocità.
Potrebbe stupire quanto diversa fosse la visione delle pratiche omosessuali nel mondo antico.
In Grecia, già in epoca pre-cittadina, i ragazzi trascorrevano un periodo di formazione in compagnia di un uomo adulto, che svolgeva contemporaneamente il ruolo di educatore ed amante.
L’amore omosessuale, pertanto, si configurava come uno strumento pedagogico di tipo iniziatico, che serviva al ragazzo per formarsi all’età adulta e alla piena successiva espressione della sua virilità. Nasce così il modello pederastico classico, che si basa sull’asimmetria e la fissità dei ruoli sessuali. L’educatore svolgeva sempre un ruolo attivo e il fanciullo sempre un ruolo passivo, che avrebbe successivamente abbandonato in età adulta per assumere pienamente la sua virilità, facendo il marito con le donne e l’amante con gli altri fanciulli. L’ingresso nell’età adulta e l’abbandono del ruolo passivo non avveniva da un giorno all’altro, ma in un arco di tempo che poteva variare dai quindici ai venticinque anni. Il rapporto pederastico invece durava qualche anno, solitamente dai dodici ai diciassette anni, infatti “[…] quando spuntava la barba e i peli erano ormai folti, i fanciulli cessavano di essere appetibili.”157
Tuttavia, è da sottolineare che il rapporto con il maestro non aveva un carattere coercitivo, ma era improntato su una vera e propria relazione affettiva. Molto spesso i fanciulli erano oggetto di intensi corteggiamenti, a volte protratti dalla loro stessa ritrosia, che ne faceva ambiti oggetti di desiderio.
Il corteggiamento seguiva a grandi linee le stesse dinamiche di quello eterosessuale, in cui la bravura del corteggiato risiede nel cedere al momento
157
Eva Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Roma, Editori riuniti, 1988, p. 59.
96 opportuno, né troppo presto né troppo tardi.158
Il sesso tra uomini, pertanto, non solo era largamente diffuso e socialmente riconosciuto, ma rappresentava la più alta forma d’espressione d’amore, diversamente dal rapporto con le donne, che molto spesso veniva considerato importante unicamente alla stregua della riproduzione.
Anche dopo il matrimonio, non era raro che gli uomini continuassero ad intrattenere rapporti omosessuali, in quanto il rispetto della fedeltà coniugale era preteso unicamente per le donne.
Queste ultime, a loro volta, non si sentivano minacciate dal tradimento omosessuale, ma da quello eterosessuale, protraendo inconsapevolmente in questo modo la gerarchia delle relazioni amorose che andava a discapito del genere femminile: solo quello tra uomini era vero amore, e una donna non poteva pretendere di considerarsi allo stesso livello.
La passività era consentita entro una certa età e doveva convertirsi in comportamento sessuale attivo una volta raggiunta la maturità. Da qui discende che il rapporto omosessuale tra due adulti creava uno squilibrio per cui solo chi assumeva il ruolo passivo violava le regole: “la società greca rispondeva a questa constatazione applicando i tipici criteri di una «doppia morale». Uno solo dei due era il vizioso, l’indegno, quello da ridicolizzare […].”159
La pratica omosessuale era, come detto, diffusa e socialmente riconosciuta, purché rispettasse alcune regole già citate. Anche la produzione legislativa dell’epoca non era tesa ad eliminare le pratiche omosessuali, quanto a fare in modo che se ne preservasse l’utilità educativa.
Da ciò che è stato sinora delineato si evincono due aspetti fondamentali: in primo luogo, che nell’antica Grecia è improprio parlare di orientamento omosessuale, sembra più appropriato riferirsi infatti alle pratiche bisessuali. In secondo luogo che, prima della moderna dicotomia eterosessuale/omosessuale, nel mondo antico troviamo quella attivo/passivo.
Infine, appare utile sottolineare come questa bisessualità paresse ad unico appannaggio degli uomini. Probabilmente quel sistema sociale rendeva particolarmente difficile al genere femminile esperire relazioni lesbiche:
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Ivi, Cfr p. 37.
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[…] per le donne, prese in considerazione solo indirettamente, come strumento di riproduzione o di piacere, non esisteva riconoscimento alcuno della bisessualità: la sola, inderogabile regola sessuale della loro vita era quella di essere sottomesse da un uomo.”160
Le donne non avevano categorie sociali a cui fare riferimento per potersi descrivere come lesbiche o per poter sperimentare questa inclinazione.
Al contrario, la visione romana dei comportamenti omosessuali, pur avendo molti punti di contatto con quella greca, per certi aspetti se ne distacca completamente. I romani erano combattenti, conquistatori, le loro massime virtù erano la forza e la virilità. Contrariamente a quanto si sia portati a supporre, questa virilità non escludeva le pratiche omosessuali in toto, ma solo quelle che comportavano una sottomissione. Anche nella Roma antica quindi è centrale la dicotomia attivo/passivo, ciò che cambia nettamente è la natura della relazione: non basata sull’amore, non finalizzata alla formazione dei futuri adulti, ma strumento di affermazione della mascolinità.
I romani consideravano la pederastia come “il vizio greco”161, ma le pratiche omosessuali erano diffuse a Roma già prima dell’influenza ellenica.
A ben vedere, i rapporti fra uomini, a Roma, altro non erano che un aspetto e una manifestazione dell’etica cittadina.
Nella vita personale e familiare, infatti, il pater familias romano era un padrone assoluto, dai poteri illimitati su tutto quello che gli apparteneva, cose o persone che fossero. E tra le cose che gli appartenevano stavano gli schiavi, sui quali – quantomeno nei primi secoli della città- egli esercitava un potere sottratto a qualunque controllo della società e dello Stato.
Perché mai, in questa situazione, egli non avrebbe dovuto sodomizzare gli schiavetti di casa, per i quali, tra l’altro, subire il padrone era parte integrante del dovere di servirlo?162
Atto omosessuale quindi come affermazione del potere e della virilità. Anche a Roma, tuttavia, le pratiche omosessuali non potevano essere operate 160 Ivi, p. 270. 161 Ivi, p. 129. 162 Ivi, p. 131.
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indiscriminatamente, ma dovevano seguire delle norme sociali condivise. Lo stupro a Roma non si configurava come atto di violenza nei confronti di persone non consenzienti, ma come atti sessuali nei confronti di persone illecite. Nello specifico, erano consentiti i rapporti con gli schiavi o i prostituti, ma non quelli con altri cittadini romani.
La situazione nei costumi romani cambiò con l’ellenizzazione. Da atto di violenza, il rapporto omosessuale cominciò ad essere concepito anche come rapporto d’amore, il che implicò la graduale diffusione dei rapporti passivi fra pari, fenomeno facilitato anche dalla prova di alcuni potenti. Cesare, ad esempio, praticava regolarmente rapporti omosessuali anche passivi, ma la sua fama di conquistatore e di donnaiolo preservarono la sua virilità.
La visione delle pratiche omosessuali cominciò a cambiare in modo radicale nel periodo precedente alla diffusione della morale cristiana. Una interessante tesi dello storiografo e archeologo francese Paul Marie Veyne163sostiene che il pensiero cristiano non fece altro che abbracciare i costumi già presenti nella morale tardo pagana. Infatti, nella società romana dell’epoca, si erano verificati dei cambiamenti nel tessuto sociale che avevano fatto venir meno la centralità del contrasto tra i capi dei diversi gruppi familiari. Gradualmente il loro prestigio smise di dipendere dalla capacità di imporsi gli uni sugli altri e cominciò ad improntarsi sulla disposizione ad intrattenere dei buoni rapporti reciproci. L’accettazione sociale in questa fase non dipendeva dall’imposizione della forza, ma dalla rispettabilità, che si perseguiva attraverso l’autorepressione, la quale cominciò a diffondersi anche fra le classi subalterne.
Tale processo fu favorito anche da profondi cambiamenti avvenuti all’interno della familia romana; prima caratterizzata da un potere assoluto e incondizionato del capofamiglia sulla moglie e sui figli, gradualmente inizia a sviluppare quelle caratteristiche di affetto e intimità tipiche delle famiglie che immaginiamo al giorno d’oggi.
Il pensiero cristiano trovò terreno fertile per diffondersi, facilitato anche dal pensiero stoico dell’epoca, che si basava sull’autorepressione e sulla pratica sessuale finalizzata alla riproduzione. Questa tesi potrebbe trovare conferma nella
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larga diffusione del Cristianesimo, che difficilmente avrebbe potuto prendere piede in un tipo di società con valori radicalmente diversi. Appare improprio quindi ricondurre il declino della bisessualità a favore dell’eterosessualità riproduttiva unicamente alla diffusione del pensiero cristiano; sarebbe forse più giusto parlare di una profonda differenza tra la morale pagana antica e quella tardo pagana.
Queste, dunque, le vie della trasformazione della morale pagana. Prima che il cristianesimo si diffondesse […] la morale sessuale romana si era trasformata da una bisessualità di stupro in una eterosessualità di riproduzione. La sessualità tardo pagana, in altri termini, era tendenzialmente limitata ai rapporti matrimoniali. La castità (al di fuori del matrimonio) era diventata una virtù. I matrimoni si erano moltiplicati. I rapporti matrimoniali erano cambiati: gli sposi dovevano amarsi, il disaccordo tra loro non era inconcepibile. Era nata, insomma, la «morale di coppia».164
Con il Cristianesimo venne condannata qualsiasi forma di pratica omosessuale, venendo meno pertanto la dicotomia attivo/passivo, per lasciare posto alla sola eterosessualità riproduttiva. Anche la produzione legislativa dovette orientarsi alla repressione degli atti omosessuali. Eliminare una pratica sociale così diffusa e radicata non fu semplice e avvenne in modo graduale: dapprima vennero condannate solo le pratiche passive, successivamente anche quelle attive. Questo processo si concluse Con Giustiniano, che condannò a morte tutti gli omosessuali.
A partire dal XII secolo d.C. all’interno della principali istituzioni, sia laiche che religiose, ha cominciato a diffondersi un sentimento di ostilità nei confronti dell’omosessualità, che ha cominciato a configurarsi come un’aberrazione, un atto contro natura. A questo ha fatto seguito la promulgazione in vari stati europei di leggi destinate a sanzionare gli atti omosessuali. L’Italia è un paese in cui da molto tempo tali leggi sono state abolite, nello specifico dal codice Zanardelli del 1889, in altri paesi invece esiste una storia molto più recente di sanzione legale dei comportamenti omosessuali, ad esempio in Spagna durante la dittatura di
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Franco esistevano delle leggi che perseguivano tali atti.
Tuttavia, la mancanza di una legislazione specifica nell’ordinamento italiano, più che essere letta in termini di apertura e tolleranza, dovrebbe mettere in luce l’invisibilità che ha generato.
Questo silenzio si è infatti spesso trasformato in indifferenza, che ha prodotto unicamente silenzio ed invisibilità.
L’assenza di una legislazione esplicitamente antiomosessuale ha, di fatto, favorito l’invisibilità storica degli omosessuali italiani, ma non certo l’assenza di una discriminazione sociale e di un diffuso sentimento di pregiudizio negativo, né di discriminazioni legislative indirette o, per quanto riguarda le relazioni di partnership, anche dirette. 165
Per questo motivo molto spesso l’attività rivendicativa dei movimenti omosessuali non propone l’adozione di legislazioni speciali, ma la mera applicazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione.
A partire dal 1860 la riflessione sull’omosessualità smise di essere ad unico appannaggio di teologi e magistrati per diventare oggetto di analisi medica. Una delle più importanti teorie elaborate per spiegare l’origine dell’omosessualità era quella del terzo sesso, ovvero una caratteristica innata dovuta ad una inversione sessuale. Alcune teorie la consideravano una condizione patologica, altre una condizione fisiologica, altre ancora una malattia del sistema nervoso. Nonostante l’eterogeneità delle spiegazioni, tutte concordavano su un aspetto: che fosse una condizione innata caratterizzata da una devianza sessuale e di genere. Perciò chi si sentiva attratto da persone dello stesso sesso doveva tendere anche ad identificarsi con il sesso opposto. Queste teorie mediche consentivano di considerare l’omosessualità non più come un episodio accidentale o fortuito, ma come una caratteristica specifica e stabile, riconducibile ad una precisa identità.
Tuttavia, è difficile stabilire se la nascita del modello medico sia stata la causa del cambiamento di percezione nei confronti dell’omosessualità piuttosto che un suo effetto.166
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L. Pietrantoni, op.cit. p. 14.
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A partire dalla seconda metà del Settecento, soprattutto in Inghilterra, si inizia a parlare anche di donne attratte da altre donne che, per sperimentare questa inclinazione, usavano assumere il ruolo maschile per un periodo più o meno lungo della loro vita.
La nascita degli omosessuali moderni non è avvenuta in modo uniforme all’interno dei vari paesi europei, inoltre, anche all’interno della stessa realtà nazionale si è sviluppata in tempi e modi diversi, talvolta con la coesistenza di diversi modelli contemporaneamente. Specialmente nell’Europa meridionale il modello pederastico classico ha tardato a scomparire e ancora oggi permangono retaggi culturali dell’omosessualità premoderna. Ciò, per quanto riguarda l’Italia, accade specialmente nel Mezzogiorno.
L’omosessualità moderna ha superato il modello medico dell’inversione sessuale, si è cominciata ad operare una netta distinzione tra orientamento sessuale ed identità di genere, per cui le categorie dell’uomo effeminato e della donna mascolina sono state messe in discussione.
Come si è visto, la nascita dell’omosessualità moderna può essere considerata come tappa finale di un processo che parte dalla pederastia classica e passa attraverso l’inversione sessuale. Quest’ultima, sebbene molto lontana dal modello moderno, sembra averne facilitato la nascita. A differenza del modello pederastico, quello dell’inversione sessuale comincia a contemplare anche l’omosessualità femminile, in più comincia a venire meno il rapporto asimmetrico dal punto di vista del potere e della differenza d’età.
I mutamenti sociali che hanno preceduto e favorito la nascita degli omosessuali moderni sembrano essere avvenuti più lentamente nell’Europa meridionale rispetto a quella centro settentrionale. Particolarmente in Italia la persistenza del modello pederastico classico sembra aver avuto maggiore importanza ed essere sopravvissuto più a lungo.
Non è facile, allo stato attuale delle conoscenze, spiegare questi mutamenti. Alcuni possono essere ricondotti alle variazioni dei modi in cui la società percepisce e valuta coloro che provano sentimenti omoerotici. Così, l’aumento del numero di gay e lesbiche che convivono in coppie, che vi è stato negli ultimi trent’anni, è almeno in parte dovuto alla crescita della tolleranza degli eterosessuali nei loro confronti.
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Inoltre, i cambiamenti delle norme sociali e giuridiche, avvenuti nel lungo periodo considerato, hanno probabilmente provocato alcune trasformazioni nella subcultura omosessuale.167
Lo sviluppo della subcultura omosessuale potrebbe a sua volta essere interpretato come una risposta all’esistenza di norme ostili all’omosessualità, ma anche questa spiegazione, per quanto parzialmente veritiera, sembra in contraddizione con altri fattori, ad esempio uno sviluppo più lento della cultura lesbica, “[…] visto che con le prime la società non è mai stata meno severa che con i secondi.” 168
Inoltre, è interessante sottolineare come alcuni ambiti della subcultura omosessuale possano essere stati al contrario favoriti dal diffondersi di una maggiore apertura all’interno della società, si pensi ad esempio alle organizzazioni o allo sviluppo della rete di attività commerciali e servizi.
Pertanto, un’analisi che voglia aspirare all’esaustività, non può prescindere dal considerare la nascita della moderna concezione dell’omosessualità come un fenomeno complesso, dipendente da una molteplicità di fattori. Ad esempio l’emergere del modello medico dell’omosessualità dopo il 1860, oppure le grandi guerre, che hanno fatto vivere a stretto contatto grandi masse di uomini che, vivendo in condizioni estreme e non trovandosi sotto lo stretto controllo familiare, hanno avuto occasione di sperimentare contatti omosessuali.
Una delle ipotesi più accreditate però, accomuna i mutamenti avvenuti nell’omosessualità a quelli avvenuti nell’eterosessualità, avvenuti tra l’altro nello stesso periodo storico. La perdita di forza del patriarcato, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e la diffusione di rapporti di coppia più paritari e orientati alla felicità e soddisfazione reciproca si sono verificati di pari passo con il processo di trasformazione delle coppie omosessuali, sempre più stabili, paritarie e simmetriche.
È ragionevole pensare che i grandi cambiamenti che vi sono stati nella popolazione con desideri omoerotici siano almeno in parte riconducibili ai fattori sociali e
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Ivi, p. 274.
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culturali che hanno provocato le più significative trasformazioni della vita domestica degli eterosessuali. Una famiglia in cui il maschio, marito e padre, era un autocrate indiscusso ed inavvicinabile dalla moglie e dai figli era consona alla società patriarcale quanto la pederastia classica.169
Le trasformazioni sociali prima menzionate portarono allo sviluppo di un modello di società più democratico e paritario, in cui le caratteristiche ascritte smisero di essere strettamente vincolanti per indentificare la posizione sociale degli individui. Il processo di individualizzazione che ha interessato le società occidentali ha portato gli esseri umani a ricercare felicità e soddisfazione in diversi ambiti della vita. Nel lavoro, in famiglia e nella coppia i rapporti cominciarono ad essere orientati alla soddisfazione personale. Anche la vita sessuale smise di essere finalizzata unicamente alla procreazione per essere piuttosto maggiormente orientata al piacere reciproco. Questa “democratizzazione dei rapporti sociali”170 ha interessato tanto le coppie etero quanto quelle omosessuali.
Le istanze portate avanti dalle associazioni omosessuali hanno suscitato forti polemiche all’interno dei vari contesti nazionali, scatenando conflitti politici e reazioni dell’opinione pubblica.
Il primo paese ad estendere diritti alle coppie omosessuali è stato la Danimarca nel 1986, nel 1993 anche la Norvegia ha adottato una legge simile a quella danese. Svezia 1995, Islanda 1996. Olanda, Belgio e Catalogna nel 1998, Francia e Aragona 1999, Germania e Portogallo 2001, Regno Unito, Spagna e Canada 2005, Svizzera Australia Repubblica Ceca e Sud Africa 2006. Oltre ai tempi anche le modalità sono state diverse: si spazia dai patti di convivenza, alle unioni civili, per giungere all’equiparazione del matrimonio omosessuale a quello eterosessuale. Ogni forma di riconoscimento estendeva più o meno diritti, compresa la possibilità di accedere alla genitorialità e contemplando la possibilità di stepchild adoption (possibilità di adottare il figlio del compagno).
Sorprende, comunque, la mancanza di una relazione diretta fra i diritti riconosciuti dalla legislazione di un paese alle coppie omosessuali e la frequenza
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Ivi, p. 276.
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dei matrimoni e delle registrazioni da parte dei gay e delle lesbiche di quel paese. Così, in Olanda, che si è data una legislazione molto aperta ed avanzata in questo campo, gli omosessuali che si sono sposati sono stati più numerosi che nei paesi nordici, ma molto meno numerosi che in Francia, dove pure i PACS prevedono un numero minore di diritti.
Come leggere questi dati? Forse nei paesi dove una forma di riconoscimento giuridico si è ottenuta più facilmente e meno traumaticamente, gli omosessuali potrebbero percepire di meno un clima omofobo e quindi l’urgenza di un riconoscimento dei diritti. Al contrario, in paesi in cui si è ottenuto poco e con un processo più difficile, il ricorso al nuovo strumento giuridico potrebbe essere considerato una vittoria indispensabile.
Spagna e Italia sono stati fra i primi paesi a depenalizzare gli atti omosessuali fra adulti, la Spagna nella prima metà, l’Italia nella seconda metà dell’Ottocento.
Questa scelta spesso sottendeva la volontà di far passare inosservati dei