CAPITOLO II. La famiglia contemporanea
2.3 Le famiglie di fatto
Un importante elemento innovativo all’interno della famiglia contemporanea è indubbiamente la nascita delle famiglie di fatto.
La famiglia di fatto descrive quella situazione in cui due persone, siano esse
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Marzio Barbagli, Maria Castiglioni, Gianpiero Dalla Zuanna, Fare famiglia in Italia. Un secolo
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eterosessuali oppure omosessuali, convivono come coppia senza essere sposati. Questa realtà non è apparsa recentemente, tuttavia, mentre prima degli anni Settanta del secolo scorso era un fenomeno invisibile in quanto socialmente poco accettato, ora si configura come una pratica diffusa e socialmente condivisa.
La differenza tra le coppie di fatto del passato e quelle contemporanee è che molto spesso le prime non erano il risultato di una scelta personale, ma venivano determinate da alcune condizioni che impedivano il matrimonio, ad esempio difficoltà economiche oppure la presenza di un vincolo coniugale precedente.
Le famiglie di fatto contemporanee sono invece spesso l’esito di una scelta personale alternativa al matrimonio, anche se non sempre si configurano come un rifiuto dell’istituzione matrimoniale, ma piuttosto come tappa intermedia e preludio delle nozze.
Man mano che si sono diffuse, le coppie di fatto hanno cominciato ad essere socialmente più accettate. Neanche la filiazione sembra essere più un incentivo al matrimonio, in quanto negli ordinamenti giuridici occidentali si assiste ad una tendenziale equiparazione tra figli nati in costanza di matrimonio e figli nati da un’unione non giuridicamente definita e disciplinata.
Le famiglie di fatto hanno cominciato a diffondersi a partire dagli anni Sessanta del Novecento principalmente in Svezia e Danimarca e si sono diffuse durante gli anni Settanta nel resto dell’Europa occidentale e negli Stati Uniti.
Una delle problematiche collegate alla nascita delle famiglie di fatto è che esse pongono alle istituzioni seri problemi di individuazione. Infatti, mentre il matrimonio o il divorzio sono atti pubblici e documentati, le unioni frutto di scelta personale non sono ufficializzate. La discrepanza di rilevazione tra famiglie ufficiali e famiglie di fatto può avere effetti sulle politiche sociali, fiscali o su provvedimenti amministrativi, che possono rivelarsi scarsamente mirati, creare lacune di tutela o addirittura gravare sulla realtà delle singole famiglie.
Nonostante questa difficoltà di identificazione statistica, si può affermare che queste forme familiari si sono diffuse e si stanno diffondendo in maniera abbastanza capillare, pur mantenendo delle specificità non solo nazionali, ma anche territoriali all’interno di ogni singolo paese.
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Sotto questo aspetto, la differenza tra i paesi nordici e quelli mediterranei è veramente enorme: per esempio, nel corso degli anni novanta, mentre in Svezia più della metà delle madri alla nascita del loro primo figlio erano conviventi, la stessa situazione in Italia si verificava solo per una minoranza assai esigua di donne (sia pure con sensibili variazioni territoriali).84
Sebbene la convivenza sia una forma familiare sempre più diffusa tra le giovani coppie, come mai nei paesi mediterranei è un comportamento meno diffuso rispetto ai paesi del nord Europa?
[…] questo è in buona parte dovuto al peso ancora rilevante che la Chiesa Cattolica, ostile alle unioni di fatto esercita, oltre che sul sistema politico, sulla cultura e sul costume del nostro paese, soprattutto fra le generazioni più anziane. Pressioni sociali e familiari possono quindi scoraggiare molti giovani dall’affrontare una forma di vita a due non pienamente accettata o anzi apertamente ostacolata dalla famiglia e dall’ambiente che li circonda.85
L’ipotesi dell’influenza della pressione sociale sembra trovare fondamento nella maggiore diffusione delle convivenze nel nord e nel centro del paese, dove il controllo sociale e familiare è meno presente.
In Italia il discorso dell’equiparazione giuridica delle famiglie di fatto e di diritto riguarda unicamente la filiazione e non la coppia. Infatti, l’eliminazione di differenze giuridiche tra i figli legittimi e i figli naturali costituisce un primo passo verso la tutela della situazione dei minori. Tuttavia, tale percorso non è completo, nonostante le problematiche legate al difficile momento della rottura di un rapporto di coppia siano le medesime sia in presenza che in assenza di un vincolo matrimoniale, nell’ultimo caso manca l’intervento puntuale di un giudice che disciplini le modalità di affidamento e mantenimento dei figli. Le lacune legislative finiscono per ripercuotersi in maniera più incisiva proprio su questi ultimi, che sono i soggetti più deboli.
Per quanto concerne la tutela giuridica delle coppie di fatto in Italia esiste qualche piccolo passo verso il riconoscimento da parte della Giurisprudenza. Le
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A.L. Zanatta, op.cit. p. 27
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sentenze dei giudici riguardano il diritto a subentrare in un contratto di affitto a seguito della morte del/la partner, la possibilità di risarcimento dei danni in caso di morte, oppure gli alimenti per il convivente economicamente più debole. Un altro timido e cauto passo è stato operato dalla Legge 28 marzo 2001 n. 149 sulle modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile che, pur ribadendo la necessità del vincolo matrimoniale per poter accedere all’istituto, contempla la possibilità di considerare la convivenza pre-coniugale nel computo dei tre anni di vita comunitaria necessari alla coppia eterosessuale per adottare. L’art. 6 comma 1 afferma che:
L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni. Tra i coniugi non deve sussistere e non deve avere avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto.
E al comma 4 si legge che:
Il requisito della stabilità del rapporto di cui al comma 1 può ritenersi realizzato anche quando i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto.
Spesso l'introduzione di forme di tutela di coppie o famiglie di fatto è stato aspramente criticato, in quanto considerato una mera copertura per riconoscere le coppie omosessuali.
Se da un lato si può sostenere che avendo le coppie eterosessuali diritto di accedere all'istituzione matrimoniale non necessitano di ulteriori forme di tutela giuridica, è anche vero che stanno diventando sempre più comuni diversi tipi di aggregati domestici che esulano dal rapporto di coppia e dalla filiazione, ad esempio giovani che dividendo le spese di casa, o anziani conviventi che si scambiano forme di sostegno reciproco.
Più in generale stiamo assistendo alla nascita di forme familiari “ibride” basate sul mutuo aiuto. Questo suggerisce non solo che si stiano moltiplicando le
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forme familiari, ma che stia anche cambiando il sistema di attribuzione del significato di famiglia, che è sempre meno condiviso:
Questa molteplicità di tipologie familiari dal punto di vista sia della struttura, del chi vive con chi, sia delle forme di autodefinizione di ciò che fa di una famiglia appunto una famiglia, crea imbarazzi non solo per gli studiosi, ma anche per i legislatori e per i policy makers, stretti tra la necessità di individuare criteri certi e la constatazione della varietà empirica in cui una porzione crescente della popolazione ormai si muove.86
La pluralizzazione di forme e modalità con cui si costituiscono oggi le famiglie suggerisce la necessità di studiarle dal punto di vista longitudinale, in modo da comprendere lo svolgersi delle loro storie, stando attenti anche alle vicende personali degli individui che le compongono.
Le coppie omosessuali in questo senso costituiscono una doppia sfida rispetto alle coppie di fatto eterosessuali, infatti per queste ultime:
[…] è l'assenza di matrimonio a motivare giudizi di scarsa legittimità. […] (mentre nel caso delle coppie omosessuali, n.d.r.) è proprio il tipo di sessualità che propongono ad essere visto come contrastante con ogni idea di famiglia: perché non eterosessuale e non potenzialmente generativa. È la relazione omosessuale, infatti, a sfidare radicalmente l'idea della famiglia come patto di solidarietà con finalità anche riproduttiva.87
Sembra utile sottolineare che la diffusione e accettazione della pratica dell'adozione ha reso possibile l'idea di una famiglia biologicamente non procreativa e l'esistenza della genitorialità anche in assenza di legame biologico. Pertanto le resistenze nei confronti delle famiglie omogenitoriali dovrebbero essere lette nel quadro dello stigma collegato specificamente all’orientamento omosessuale. Queste resistenze:
[...] si presentano tuttavia con una radicalità particolare in quelle culture in cui […] il linguaggio della famiglia è fortemente inclusivo, quindi poco articolato. Non
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Saraceno Chiara, Naldini Manuela, op.cit., p.55
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potendo distinguere linguisticamente tra i diversi modi di vivere sotto lo stesso tetto, tali culture si scontrano con la difficoltà di dare loro lo stesso nome, quando questo nome per una parte piccola o grande della popolazione, e soprattutto per importanti istituzioni (ad esempio la chiesa cattolica), […] in realtà designa un solo modo di fare famiglia.88
Le famiglie di fatto omogenitoriali sono doppiamente problematiche, per questo motivo probabilmente il dibattito in merito alla parificazione formale tra coppie omosessuali ed eterosessuali è stato e continua ad essere acceso all’interno dei singoli contesti nazionali. Anche in quelli in cui tale formalizzazione esiste, possono continuare ad esserci resistenze ad opera di frange conservatrici della popolazione.