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Il “normale” e il “diverso”

CAPITOLO II. La famiglia contemporanea

3.1 Il “normale” e il “diverso”

Gli esseri umani hanno la necessità di costruire delle categorie mentali definite che possano guidare nella comprensione dei fenomeni: “ogni cosa viene quindi disposta secondo una logica che dà luogo ad un universo di significati ordinato e quindi, presumibilmente, stabile e tranquillizzante.”101

Per quanto possa essere elaborata e faticosa questa opera di classificazione, il risultato che si otterrà sarà sempre precario, in quanto ci saranno nuovi elementi che interverranno per mettere tutto in discussione. Nonostante ciò, il pensiero umano sarà comunque portato alla categorizzazione, perché “lo schema di riferimento percettivo ci rimanda ad un mondo docile, dove il conoscere è un riconoscere”.102 La tranquillità che l’ordine e la classificazione consentono di raggiungere viene quindi minacciata dal nuovo e dal diverso, che irrompono nella

101

Luca Pietrantoni, L’offesa peggiore. L’atteggiamento verso l’omosessualità: nuovi approcci

psicologicio ed educativi, Tirrenia (Pisa), Edizioni del Cerro, 1999, p. 9. 102

Claudio Tognonato, Il corpo del sociale. Appunti per una sociologia esistenziale, Napoli, Liguori Editore, 2006, p. 18.

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quotidianità costringendo a ricominciare instancabilmente l’opera di attribuzione di senso.

Sembra quasi banale sottolineare che, per quanto la diversità tenda a creare imbarazzo e difficoltà, essa costituisce una delle caratteristiche imprescindibili di ogni essere umano. Non esistono infatti al mondo due persone assolutamente identiche, né fisicamente, né tantomeno caratterialmente. Gli individui sottoposti ai medesimi stimoli reagiscono in maniera differente, ognuno organizza, interiorizza ed elabora diversamente le informazioni e le pressioni sociali a cui è sottoposto. Pertanto siamo tutti normalmente diversi:

[…] si osservi che fattori come le impronte digitali, che costituiscono il mezzo più efficace per rendere gli individui diversi sul piano dell'identificazione, sono anche aspetti alla luce dei quali gli individui sono essenzialmente simili.103

Una interessante prospettiva di studio è quella offerta dalla Social Identity Theory nello spiegare l’incidenza del contesto sociale nel percorso di costruzione dell’identità individuale, delineando un processo a due fasi che include fattori sia cognitivi che motivazionali.

Secondo questa teoria proposta da John C. Turner nel 1975104, la percezione di se stessi in relazione al mondo circostante dipende in parte dall’appartenenza a determinati gruppi o categorie sociali. Alcuni di questi svolgono un ruolo principale ed altri secondario, e tale influenza cambia nel tempo in funzione di una varietà di situazioni sociali.

In una prima fase l’individuo tende a creare due gruppi: “noi” (o in Group) e “gli altri” (o out Group). Nella seconda fase si evidenzia la tendenza naturale degli esseri umani a favorire i membri del proprio gruppo e ad assumere atteggiamenti negativi nei confronti degli altri; questo comporterà la nascita e lo sviluppo di comportamenti ostili inter-gruppi, contribuendo alla comparsa di pregiudizio e discriminazione.

Il ruolo della società è pertanto centrale nel direzionare gli individui a

103

Erving Goffman, Stigma. L’identità negata, Verona, Ombre Corte, 1963, p. 73.

104

John C. Turner, «European journal of social psychology», Social comparison and social

67 classificare e categorizzare le esperienze umane.

È la società a stabilire quali strumenti debbano essere usati per dividere le persone in categorie e quale complesso di attributi debbano essere considerati ordinari e naturali nel definire l’appartenenza a una di quelle categorie. […] Quando ci troviamo davanti un estraneo, è probabile che il suo aspetto immediato ci consenta di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi, qual è, in altri termini, la sua “identità sociale” […] Ci fidiamo delle supposizioni che abbiamo fatto, le trasformiamo in aspettative normative e quindi in pretese inequivocabili. È tipico non rendersi conto del fatto che siamo stati proprio noi a stabilire quei requisiti, quelle richieste, ed è altrettanto tipico che non siamo coscienti della loro natura finché non siamo costretti a decidere se corrispondono o no alla realtà.105

Per comprendere meglio la tendenza all’ostilità nei confronti del diverso può essere utile fare riferimento a due concetti specifici: lo stereotipo e il pregiudizio. Secondo le definizioni di Bruno Mazzara106, lo stereotipo può essere inteso come: “un insieme coerente e abbastanza rigido di credenze negative che un certo gruppo condivide rispetto a un altro gruppo o categoria sociale”, mentre il pregiudizio viene definito come: “la tendenza a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale”.107

Lo stereotipo rimanda quindi ad un pensiero rigido, che tende a leggere la realtà sempre nello stesso modo, non considerando la sua variabilità.

La mente umana riceve una serie molto variegata di input da interpretare, in questo senso il pensiero stereotipato potrebbe essere considerato come una sorta di “scorciatoia” che gli individui utilizzano per sintetizzare la vastità delle informazioni. Gli stereotipi fanno sì che le persone siano portate a formulare delle ipotesi sul comportamento che adotteranno i membri appartenenti ad alcune categorie sociali (es., i gay sono effemminati, le lesbiche sono mascoline). Il pensiero umano tende alla conferma di queste ipotesi, a ricercare dettagli che confermano le nostre aspettative; questa tendenza, in una sorta di circolo vizioso,

105

E. Goffman, op.cit., p. 12.

106

Bruno M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, Bologna, Il Mulino, 1997.

107

68 porterà al rafforzamento dello stereotipo stesso.

Riprendendo quanto ipotizzato da Henri Tajfel108, una delle principali conseguenze della stereotipizzazione, è la creazione di due gruppi (“noi” e “loro”), all’interno dei quali, come detto, verranno esasperati tratti comuni all’interno dello stesso gruppo e forti differenze tra i membri di gruppi diversi.

La costruzione dello stereotipo può dipendere da fattori sia interni che esterni all’individuo. Da un lato quindi ci sono caratteristiche individuali che favoriscono oppure ostacolano la creazione dello stereotipo, dall’altro lato grande influenza può avere il contesto socio-culturale d’appartenenza e, di conseguenza, le credenze maggiormente diffuse su determinati gruppi sociali.

I membri di un qualsiasi gruppo sociale percepiscono le persone appartenenti ad un altro gruppo come molto simili tra loro, al punto di poter esprimere un giudizio complessivo su queste persone adoperando semplicemente l’etichetta che le designa: così si può affermare che i tedeschi, le lesbiche, gli zingari sono fatti tutti allo stesso modo. Al contrario risulterà molto più difficile parlare del proprio gruppo di appartenenza come se fosse costituito da persone omologhe. 109

Pertanto, mentre la composizione interna del proprio gruppo tenderà ad essere vista come complessa e articolata, quella degli altri gruppi verrà vista come semplificata e indifferenziata.

Per quanto riguarda l’omosessualità, una delle prime cose da sottolineare è che, a livello generale, il processo di socializzazione avviene in un contesto tendenzialmente omofobo, in cui non è per nulla insolito sentire termini dispregiativi nei confronti delle persone gay e lesbiche. Pertanto, molto spesso i bambini imparano che gli omosessuali fanno qualcosa di male prima ancora di capire cosa sia l’omosessualità, ovvero il trasporto fisico ed emotivo nei confronti di una persona dello stesso sesso. Ciò può facilitare la creazione di pensieri negativi nei confronti di queste persone. In fondo dovranno essere sbagliate, altrimenti perché sarebbero così tanto derise e disprezzate?

Alla tendenza alla semplificazione del pensiero sul diverso tipica dello stereotipo, ne corrisponde una orientata alla sua svalutazione; tale tendenza si

108

Henri Tajfel, Gruppi umani e categorie sociali, Bologna, Il Mulino, 1999

109

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collega al concetto di pregiudizio. I primi importanti studi sul pregiudizio furono portati avanti dalla scuola di Francoforte, in particolare da Theodore W. Adorno, con i suoi studi sulla personalità autoritaria, frutto di un lavoro sull’antisemitismo iniziato in pieno olocausto e portato avanti fino al 1949. Adorno ha applicato delle tecniche di indagine di stampo psicanalitico per analizzare il fenomeno sociale dell’odio nei confronti degli ebrei, riconducendo la nascita del pregiudizio ad un particolare tipo di personalità, quella autoritaria. In accordo con Adorno si può sottolineare che la personalità è:

[…] un’organizzazione più o meno durevole di forze nell’ambito dell’individuo. Queste forze persistenti della personalità contribuiscono a determinare la risposta in varie situazioni, e a queste si può quindi attribuire in gran parte la coerenza del comportamento, sia esso verbale o fisico. Ma il comportamento, per quanto coerente, non è la stessa cosa della personalità; la personalità sta dietro al comportamento e all’interno dell’individuo. Le forze della personalità non sono risposte ma disposizioni alla risposta110 (P. 22)

Gli stimoli più importanti per la formazione della personalità vengono forniti dalla famiglia durante l’infanzia, ma l’educazione familiare è dipendente da fattori economici e sociali, e più in generale dal gruppo sociale o religioso di appartenenza, ma anche dal periodo storico in cui si vive.

Per quanto la personalità sia un prodotto dell’ambiente sociale del passato, essa non è, una volta sviluppata, un semplice oggetto dell’ambiente contemporaneo. Il risultato dello sviluppo è una struttura all’interno dell’individuo, capace di azione auto-iniziata sull’ambiente sociale e di selezione nei confronti di stimoli svariati, una struttura che, per quanto sempre modificabile, è sempre assai resistente a mutamenti fondamentali.111

Per questo motivo stereotipi e pregiudizi sono difficili da sradicare, una volta formata la personalità si tenderà infatti al mantenimento delle forze che l’hanno creata.

Un altro degli studi classici sul pregiudizio è quello condotto da Gordon

110

Theodore W. Adorno, La personalità autoritaria, Milano, Edizioni di comunità, 1973, cit. p.22.

111

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Allport112, che lo descrive come giudizio infondato. Sebbene il pregiudizio possa essere sia a favore che contro un determinato gruppo sociale, egli mette in evidenza come si sia soliti utilizzarlo unicamente per descrivere sentimenti contrari.

Un interessante contributo di questo studioso è quello finalizzato alla riduzione del pregiudizio, tale approccio è stato definito: ipotesi del contatto.

In accordo con questa teoria, un fattore che può ridurre il pregiudizio nei confronti di un determinato gruppo sociale è l’interazione con qualcuno dei suoi membri. Tuttavia, a seconda della natura del contatto, da fattore di riduzione esso può diventare anche fattore di crescita del pregiudizio stesso. Questo accade perché gli individui sono naturalmente portati a mantenere le convinzioni maturate, per questo gli stereotipi sono difficili da eliminare. La tendenza sarà quella di confermare lo stereotipo, tralasciando gli elementi che, al contrario, porterebbero a disconfermarlo. Allport ha a questo proposito steso “una tassonomia dei fattori che aumentano o diminuiscono il pregiudizio in seguito ad un contatto sociale.”113

Uno degli strumenti maggiormente utilizzati per abbattere il pregiudizio è fare informazione. In questo senso il ruolo dell’associazionismo omosessuale è stato probabilmente fondamentale per fare luce su molti aspetti negativi dell’omosessualità che il silenzio e l’invisibilità sociale avevano fomentato.

Tuttavia, uno dei problemi fondamentali è decidere se basare questa informazione ponendo l’accento sulle somiglianze o sulle differenze fra i gruppi sociali. Per quanto riguarda l’omosessualità sembrano essere state adottate entrambe le strategie. Si pensi al gay pride: in questo caso la manifestazione chiassosa e colorata sembra quasi confermare gli stereotipi, evidenziando le differenze, ma rivendicandone con forza la legittimità. Se invece si pensa alle strategie intraprese dalle associazioni per affermare il diritto degli omosessuali alla famiglia e alla genitorialità, si può notare come esse basino le rivendicazioni più sulle somiglianze tra coppie eterosessuali ed omosessuali, e sull’ uguale capacità di queste ultime di svolgere al meglio il ruolo genitoriale.

Quale potrebbe essere l’approccio più efficace? L’eccessiva enfasi sulle

112

Gordon W. Allport, La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1954

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differenze rischierebbe di far perdere gli elementi comuni che esistono fra i gruppi, ma, d’altro canto, l’eccessiva generalizzazione sulle somiglianze porterebbe all’annullamento delle specificità. L’obiettivo dovrebbe essere duplice: da una parte fornire una corretta informazione sulle somiglianze e sulle differenze, dall’altra operare un’analisi sull’infondatezza del giudizio negativo nei confronti di alcune specificità.114.