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Il contesto socioculturale di riferimento: l’italia e la spagna

CAPITOLO II. La famiglia contemporanea

2.4 Il contesto socioculturale di riferimento: l’italia e la spagna

In tempi passati la famiglia era deputata allo svolgimento di una serie variegata di compiti. Tuttavia, nel tempo ha perso molte delle sue funzioni fondamentali, ad esempio il compito della formazione è stato preminentemente assunto dalla scuola, mentre l’attività economica ha iniziato a svolgersi maggiormente all’esterno dell’unità familiare; persino i compiti di cura della casa e della prole, con l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, hanno cominciato ad essere più equamente distribuiti nella coppia, o deputati a persone esterne.

Dal 1960 si sono avuti significativi cambiamenti della famiglia nei paesi occidentali, ad esempio il processo di nuclearizzazione, la crescita di genitori single derivante dal maggiore tasso di divorzi. Oppure l’aumento dell'immigrazione, che ha fatto sì che culture e valori si diversificassero maggiormente. Le madri hanno iniziato ad essere sempre più impegnate nel lavoro, i figli nello studio e per più tempo, gli anziani vivono sempre più a lungo e sempre più soli. Tutti questi fenomeni sono strettamente collegati tra loro in un legame di interdipendenza, e considerevoli sono state le ripercussioni sul mercato

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del lavoro, la salute, gli alloggi, l'istruzione, le pensioni e le finanze pubbliche. La famiglia contemporanea ha differenti bisogni rispetto a passato, devono perciò essere pianificati degli interventi volti al suo sostegno, nascono così le politiche familiari. Nel tempo lo Stato ha iniziato ad interessarsi alle questioni familiari, assumendo il compito di accompagnare i processi di mutamento familiare, per arginare il più possibile i traumi e gli strappi che si producono al suo interno.

A livello europeo è difficile individuare una politica familiare condivisa, l’Europa si è ritirata dal coinvolgimento diretto nella disciplina della famiglia, in quanto i trattati internazionali, in seguito confluiti nella Costituzione, affidano la regolazione familiare agli stati membri in virtù del principio di sussidiarietà. Appare singolare che l'Unione non disciplini direttamente sulla famiglia, ma intervenga su altri temi che la colpiscono, come ad esempio il lavoro, il consumo, l’istruzione e la tecnologia. Questo lassez faire potrebbe nascondere la difficoltà di cogliere una idea condivisa di famiglia, quindi risulta difficile pianificare politiche sociali di sostegno che vadano bene a livello internazionale. I modelli di queste politiche si sono sviluppati differentemente all’interno dei paesi occidentali e della stessa Europa, seguendo direzioni dettate dalla cultura e dalla situazione economica, demografica e politica.

Un interessante studio che analizza i modelli di welfare è quello di Gøsta Esping-Andersen, che ha ipotizzato una classificazione dei modelli di welfare, analizzando i rapporti esistenti all’interno dei paesi per quanto riguarda Stato, Mercato e Famiglia. In particolare, distingue nel mondo occidentale tre regimi specifici di Stato del benessere: liberale, corporativo e socialdemocratico.89

Il regime liberale si trova nei paesi anglosassoni, come Stati Uniti, Canada e Australia e si caratterizza per un intervento statale residuo, previsto solo in quei casi in cui la famiglia o il mercato non riescono a bastare a se stessi. Il regime corporativo invece, è basato su un sistema di sicurezza sociale di impronta bismarckiana. Si tratta del modello più conservatore, che offre le prestazioni sulla base della differenza di status tra le diverse categorie di lavoratori, pertanto la possibilità di accedere alle prestazioni dipende dall’occupazione. Tale modello è

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riscontrabile in Germania, Austria, Francia, Belgio e Italia. In questo regime si può anche riscontrare una considerevole influenza della Chiesa, specialmente quella cattolica: “determinada a mantener un reparto tradicional de roles en función de género en el interior del hogar. Al tiempo que este modelo de bienestar fomenta la maternidad, desincentiva asimismo la participación de las mujeres en el mercado de trabajo”.90

Infine, il regime socialdemocratico, tipico dei paesi scandinavi, che sembra essere il più evoluto ed universalista, ed è basato sulla piena occupazione per tutti i cittadini, proprio per questo favorisce anche l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro.

Una delle principali critiche mosse all’opera di Esping-Andersen riguarda l’aver tralasciato i paesi dell’Europa del Sud. L’unico paese analizzato dal suo studio è stato l’Italia, che ha inserito all’interno del sistema corporativo continentale, mentre Spagna, Grecia e Portogallo non sono stati menzionati in quello studio.

Una indagine specificamente orientata ai paesi dell’Europa mediterranea è stata condotta da Maurizio Ferrera91, nel tentativo di identificare alcuni tratti comuni dei sistemi di Welfare dei paesi mediterranei, in particolare identifica:

 una spiccata generosità nell’ambito pensionistico, accompagnata tuttavia da lacune in altri ambiti di protezione sociale.

 L’istituzione di sistemi sanitari universalisti a seguito dell’allontanamento da sistemi corporativi.

 Un basso interventismo statale, con la compresenza di soggetti pubblici e privati.

 La persistenza di un sistema clientelare.92

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Lluís Flaquer, Las políticas familiares en una perspectiva comparada, Barcelona, Fundación ”la Caixa”, 2000, cit. P. 33“determinata a mantenere una ripartizione tradizionale dei ruoli in funzione del genere all’interno delle abitazioni. Dal momento che questo modello di benessere fomenta la maternità, disincentiva allo stesso tempo la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro” (Trad. propria).

91

Maurizio Ferrera, «Los estados del bienestar del sur en la Europa social», El Estado del

Bienestar en la Europa del Sur, Madrid, CSIC, 1995, pp. 85–111. 92

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Il modello mediterraneo viene considerato il meno evoluto, prendendo come riferimento i paesi scandinavi. La contraddizione di fondo del sistema di Welfare dei paesi mediterranei è quella di riconoscere da un lato l’importanza dell’istituzione familiare, dall’altro di abbandonarla al suo destino confidando nella sua forza. Pertanto, non solo lo Stato non aiuta la famiglia, ma confida in essa affinché funga da ammortizzatore sociale.

Un’altra critica al lavoro di Esping-Andersen è stata quella di non aver dato spazio sufficiente al ruolo che svolge la famiglia all’interno del sistema di Welfare. L’istituzione familiare deve essere valorizzata in quanto rappresenta un importante supporto ai bisogni dei cittadini. Tale ruolo sembra essere particolarmente accentuato nell’Europa del sud, in cui la famiglia è rimasta un solido ambito di riferimento.

Alcuni autori hanno rilevato un elevato familismo all’interno delle società mediterranee. Con questo termine ci si può riferire alla tendenza a fare affidamento sulla capacità della famiglia di produrre solidarietà intergenerazionale, e sul ruolo della donna come soggetto deputato sia alle funzioni di cura, che di aiuto economico93.

Di tutti i sistemi di welfare, il familista è quello in cui la posizione delle donne è più svantaggiata. In particolare, all’interno di questo modello, le donne hanno un carico di lavoro difficile da sorreggere, specialmente per le donne sposate, a cui viene affidato il lavoro familiare e le attività di cura.94

Il termine familismo viene anche utilizzato in accezione peggiorativa, per descrivere la permanenza di retaggi patriarcali in cui spicca la presenza di un pater familias che detiene una posizione di potere indiscutibile. In accordo con l’approccio funzionalista, le famiglie estese erano tipiche di epoche premoderne e “sottosviluppate”, che sarebbero state condannate all’estinzione. In quest’ottica i processi di industrializzazione, urbanizzazione e democratizzazione di massa avrebbero dovuto produrre la transizione alla famiglia coniugale nucleare descritta da Parsons, che avrebbe rappresentato uno stato di civilizzazione superiore.

93

Chiara Saraceno, «Familismo ambivalente y clientelismo categórico en el Estado del Bienestar italiano», El Estado del Bienestar en la Europa del Sur, Madrid, CSIC, 1995, pp. 261–288. Cfr p. 271

94

Lluís Flaquer, La familia en la sociedad del siglo XXI, n.o 117 de los Papers de la Fundació,

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Abbiamo precedentemente visto come tale modello non si sia sviluppato in senso univoco, ma piuttosto con la permanenza dell’importanza della dimensione parentale, in cui la natura dei rapporti si è progressivamente spostata dalla dimensione dell’obbligo a quella dell’affetto e della libera scelta.

Anche Pierpaolo Donati critica il modello teorizzato da Esping Andersen, in particolar modo per una eccessiva enfasi posta nei confronti del modello di riferimento: quello scandinavo.

Le tesi di Esping Andersen erano fortemente ideologiche. I modelli da lui elaborati corrispondevano a ideologie della prima modernità e davano per implicito il fatto che il modello scandinavo fosse il più progredito, mentre gli altri erano considerati meno progressisti (quello liberale, segnatamente il modello inglese) oppure conservatori (quello europeo-continentale, segnatamente il modello tedesco) o ancora del tutto "arretrati" (segnatamente nel sud Europa, cioè in Italia, Spagna e Grecia). Benché alcune considerazioni possano ancora essere considerate valide, nel complesso questo modo di leggere i modelli di welfare per quanto attiene le politiche familiari è senza dubbio distorto e superato. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, la globalizzazione erode le basi ideologiche tipicamente moderne dei sistemi di welfare. In secondo luogo, i processi di glocalizzazione inducono nuove dinamiche, che consistono nel fatto che, mentre si registrano alcune convergenze fra i diversi paesi, permangono e risorgono delle consistenti differenze legate alle tradizioni locali, e soprattutto emergono nuove differenze dovute alle specificità dei singoli contesti territoriali. [...] prevalgono tendenze che non possono essere più ricondotte ai modelli del passato. Le nuove tendenze presentano alcuni tratti similari, ma contengono anche differenze legate a punti di partenza diversi e a elaborazioni socio-culturali locali.95

Nonostante le critiche, la teorizzazione di Esping-Andersen sembra degna di nota. I processi di globalizzazione e glocalizzazione hanno probabilmente creato dinamiche apparentemente discordanti di convergenza e divergenza tra i paesi europei, permangono tuttavia differenze significative tra i sistemi di welfare europeo, che possono essere ricondotti alle singole vicende storiche e culturali dei vari paesi.

Esistono tratti che accomunano i modelli familiari dei paesi dell’Europa

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mediterranea, questi devono però essere analizzati con la dovuta attenzione a quelli che ne costituiscono invece i tratti distintivi: “[…] ciò che distingue la famiglia mediterranea non è tanto il prevalere di un particolare tipo di struttura, quanto il suo essere radicata in una fitta rete parentale, con la quale i confini sono permeabili e gli scambi frequenti e necessari.”96

Per quanto riguarda la famiglia italiana, si può dire che essa presenta dei tratti peculiari che la distinguono dallo scenario mediterraneo:

Il caso italiano è abbastanza unico nel panorama europeo. Le tendenze socio- demografiche vanno nella stessa direzione dei paesi del Centro-Nord Europa, ma con tassi più ridotti per quanto riguarda la frammentazione della famiglia: le percentuali di separazioni e divorzi sono inferiori alla media europea, e così pure le percentuali di convivenze di coppia e di coppie omosessuali. Tuttavia gli indicatori di allentamento delle relazioni familiari, quale sono ad esempio la percentuale di figli nati fuori dal matrimonio e la diminuzione dei tassi di matrimoni (soprattutto dei matrimoni religiosi), mostrano che anche l'Italia va incontro a rapidi cambiamenti. Dal punto di vista demografico, l'Italia si distingue rispetto alla media europea per la bassa natalità, il forte invecchiamento della popolazione, l'età più avanzata al primo matrimonio, la maggiore presenza di figli adulti nella famiglia di origine.97

La Spagna e l’Italia sono accomunate dalla presenza al loro interno di una forte decentralizzazione del potere, in Italia, dopo la riforma del titolo V della costituzione (L. Cost. n. 3/2001) si è configurato un sistema di competenze che affida alle Regioni e ai Comuni gran parte dell’erogazione e della gestione dei servizi, affidando allo Stato il compito di garantire i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). In realtà esiste un acceso dibattito su cosa siano i livelli essenziali, se debba essere adottata una visione minimalista (il minimo per la sopravvivenza) o massimalista (non semplice sussistenza, ma vita dignitosa), il risultato è stata un’applicazione differenziata in base alle decisioni operate dalle Regioni. Si configura così un modello eterogeneo e non equo della distribuzione delle risorse e della possibilità di accedere alle prestazioni.

La Spagna presenta un modello simile:

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Saraceno Chiara, Naldini Manuela, op.cit., p.21

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In Spagna la responsabilità per le politiche familiari è fortemente decentralizzata. Esistono tre livelli amministrativi di base: quello nazionale – L'Administraciòn

general del -, quello regionale – Le Comunidades Autònomas – e quello locale delle Corporaciones Locales o Ayuntamientos. Al 2010, prima delle nuove elezioni, il

ministero responsabile era quello per l'Educazione, le politiche sociali e lo sport. In questo ministero stava il Segretario di Stato per le politiche sociali e le famiglie, che includeva la Direzione generale per le famiglie e l'infanzia. [...]Ognuna delle Comunità autonome ha un dipartimento specifico che tratta di politiche familiari e di welfare. Ad avere la responsabilità maggiore, almeno sotto l'aspetto operativo, sono i governi regionali, che la condividono con le autorità locali.98

Spagna e Italia sono fortemente accomunate dalla scarsità di politiche sociali specificamente orientate al sostegno della famiglia, anche se la Spagna negli ultimi anni ha ampliato le spese per la famiglia, risultano essere questi i due paesi dell’Unione che dedicano meno risorse a questo ambito, entrambe l’1,2% del PIL; da questo sembra discendere un grave tasso di povertà infantile, che si aggira intorno al 10%. Inoltre, la Spagna presenta tassi molto elevati di giovani disoccupati e non impegnati in attività formative, questa tendenza è stata riscontrata anche in Italia, soprattutto a partire dagli ultimi anni.99

Nel recente passato […] i temi delle politiche familiari sono fortemente cambiati, includendo aspetti che un tempo ne erano totalmente esclusi, in primo luogo il riconoscimento di forme familiari nuove (per esempio il matrimonio tra persone omosessuali), il potenziamento dei servizi per la prima infanzia, il sostegno alle persone anziani e disabili. La "modernizzazione" spagnola è stata spinta mediante tre vettori specifici, quello del sostegno alle famiglie con figli, quello dell’eguaglianza di genere e quello della lotta alla violenza in famiglia.100

Questi tentativi di modernizzazione delle politiche familiari in Spagna sono dipesi fondamentalmente da due motivi: il reale cambiamento delle famiglie e la

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Prandini Riccardo, L'Europa delle famiglie e le famiglie dell'Europa , in: Riccardo (a cura di) Prandini, Politiche familiari europee. Convergenze e divergenze, Prandini Riccardo (a cura di) vol., Roma, Carocci, 2012 p. 285.

99

Flaquer Lluis Riflessioni sulle politiche per la famiglia in Spagna. Cosa ci può insegnare il

caso spagnolo? In: ivi pag. 117. 100

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cultura politica fortemente "progressista" ed "egualitarista" del governo Zapatero. Altro elemento che accomuna i paesi mediterranei, in particolare Italia e Spagna (seguite da Grecia a Portogallo) è la presenza dei figli in casa oltre una certa età, con dei tassi di permanenza più elevati e più lunghi. Inoltre, ciò che caratterizza questi paesi è la motivazione della permanenza in casa, che sembra essere strettamente correlata al matrimonio, ci sono quindi meno esperienze di convivenze single.

In realtà questo fenomeno potrebbe nascondere motivazioni più complesse, collegate alle condizioni economiche e lavorative, caratterizzate molto spesso dal pendolarismo. Pertanto non è raro che figli che risultano conviventi con i genitori, vivano di fatto in un'altra città.

La famiglia è oggetto di intense trasformazioni non solo sociali, ma anche giuridiche, economiche e politiche. Negli ultimi anni cambiamenti epocali hanno interessato l'istituzione familiare, che ora non è più in grado (e in futuro forse lo sarà ancora meno) di fungere da ammortizzatore sociale per le carenze dello Stato. Appare quindi importante studiare le dinamiche familiari, per sostenerne il cambiamento e facilitare lo svolgimento delle sue funzioni.

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Parte II

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CAPITOLO III

Omosessualità ed eteronormatività

Mi considererei il più fortunato dei mortali Se riuscissi a guarire gli uomini dai loro pregiudizi. Pregiudizio io chiamo non già il fatto di ignorare certe cose, ma di ignorare se stessi (Charles –Louis de Secondat Barone di Montesquieu, Lo spirito delle leggi)