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La citazione come punto di riferimento critico del pensiero.

II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO

III.7. La citazione come punto di riferimento critico del pensiero.

Sulla scorta dei consigli metodologici di Jules Brody riportiamo un passo del capitolo Del

governare la propria volontà, dove Montaigne riusa un verbo che, nei Saggi, ha

sistematicamente usato per designare le citazioni anonime:

«La plupart de nos vacations sont farcesques, Mundus universus exercet histroniam. Il faut jouer dûment notre role, mais comme role d’un personage EMPRUNTÉ. Du masque et de

l’apparence, il n’en faut pas faire une essence réelle, ni de l’étranger le propre».

«La maggior parte delle nostre occupazioni sono da commedia. Il mondo intero recita la

commedia. Bisogna recitare a dovere la nostra parte, ma come parte d’un personaggio PRESO A PRESTITO. Della maschera e dell’apparenza non bisogna farne un’essenza reale, né dell’estraneo il proprio»177.

Osservando la costanza del termine emprunt negli ambiti del comportamento pubblico e della metodologia espressiva, abbiamo, perciò, pensato possibile interpretare le citazioni di Montaigne come un caso particolare di dissimulazione.

A conferma di questa ipotesi, facciamo notare che Montaigne dichiara di mantenere un distacco critico verso le citazioni che riporta; e che, così come ha affermato di obbedire alle norme sociali per godere i benefici dell’ordine pubblico, allo stesso modo dichiara di riportare le citazioni istituzionalizzate per beneficiare dell’avvallo dei dotti - che ammettono alla circolazione solo i libri costituiti per «erudizione e arte» -, salvo mantenere con le «anime disciplinate e forti» un rapporto elettivo e nascosto, teso a discutere e a problematizzare gli enunciati riportati:

«E poi, per chi scrivete? I dotti, ai quali spetta la giurisdizione sui libri, non conoscono altro pregio che la dottrina, e non approvano altro modo di procedere nei nostri spiriti se non quello dell’erudizione e dell’arte. Se avete scambiato uno Scipione per l’altro, che cosa vi resta da dire che abbia valore? Chi ignora Aristotele, secondo loro ignora anche se stesso. Ora, queste due specie - i dotti e le anime volgari, specie di destinatari eventuali dei Saggi - occupano il mondo. La terza, alla quale toccate in sorte, quella delle anime disciplinate e

177 Saggi III 10, p. 1880 e sg. Per il metodo della lettura filologica cfr. J. B

RODY, Pourquoi la lecture

philologique?, in J. BRODY, Nouvelles Lectures, cit., pp. 107-125. In una ricerca che indaga la portata significativa della ripetizione formale di enunciati, sembra quanto meno affine il metodo di Brody, che indaga la portata significativa della ripetizione formale di parole già formulate.

88 forti di per se stesse, è così rara che a ragione non ha nome né classificazione fra noi: è per

metà tempo perso desiderare e sforzarsi di piacerle»178.

In questo passo Montaigne tenta di rispondere alla domanda sull’identità dei destinatari ai quali si rivolge. Tuttavia, pensiamo che anche la domanda sulle motivazioni e sulla natura dei Saggi meriti attenzione, soprattutto se consideriamo che Montaigne afferma di preferire l’arte di conversare a quella di scrivere, e che delegittima le forme di espressione e di scrittura di tipo assertivo.

A questo proposito, perciò, abbiamo ipotizzato che Montaigne ricorra agli effetti polifonici degli emprunts per riprodurre nei Saggi una conversazione fra interlocutori di pari dignità; e che intrecci la riflessione sulle esigenze espressive con quella sulla discussione critica dei contenuti espressi179.

Ancor più precisamente, pensiamo che, se si fosse posto la domanda E poi, perché e come

scrivete?, Montaigne avrebbe forse risposto di scrivere citando opinioni altrui non solo per

neutralizzare gli effetti antidogmatici dell’enunciazione assertiva, ma anche per indurre i lettori a problematizzare i pensieri così espressi.

In effetti, ammettiamo che Montaigne avanzi risposte esplicite anche riguardo alla domanda su metodi e scopi che prefigge alla propria opera, affermando di scrivere come compilatore di parole altrui e di esperienze per perseguire consapevolezza e serenità interiori, e senza per questo tradire la volontà di ridimensionare l’autorevolezza delle citazioni che usa:

«Ora, le nostre facoltà non sono educate così. Noi non le saggiamo, né le conosciamo. Ci rivestiamo di quelle altrui e lasciamo oziare le nostre. Analogamente qualcuno potrebbe dire di me che ho fatto qui soltanto un fascio di fiori altrui, non avendoci messo di mio che il filo per legarli. Certo, ho concesso al gusto del pubblico che questi ornamenti presi a prestito mi

178 Saggi II 17, p. 1219.

179 A ragione, Tournon dice che «la pratica del saggio è indissolubilmente esperienza intellettuale e modo di scrittura», cfr. A.TOURNON, L’humaine condition: Que sais-je? Qui suis-je?, in M.L. DEMONET, Montaigne

et la question de l’homme, Parigi 1999, p. 20. È tuttavia importante non pensare al termine essai come a ciò

con cui Montaigne designa i Saggi come entità letteraria. Per una rassegna dei significati che il termine essai - come verbo e sostantivo - indica nel XVI secolo e nei Saggi, cfr. E.V.TELLE, A propos du mot «essai» chez

Montaigne, «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance» XXX/2 (1968), pp. 225-47. Per una rassegna dei

termini che Montaigne usa per indicare i Saggi come entità letteraria, cfr. A. NACAS, Notes sur la

morphologie des «Essais». (A propos des mots «article», «leçon», «conte» et «discourse» dans l’oeuvre de Montaigne), IN P.MICHEL,F.MOREAU,R.GRANDEROUTE,C.BLUM (a cura di), Montaigne et les Essais

89 accompagnino. Ma non intendo che mi coprano o mi nascondano. È il contrario del mio

progetto, poiché non voglio far mostra che del mio. E di ciò che è mio per natura. E se mi fossi fidato di me stesso, a qualsiasi rischio, avrei parlato tutto da solo. Me ne carico ogni giorno di più al di là del mio proposito e della mia forma originaria, obbedendo al capriccio dell’epoca e alle esortazioni altrui. Se non conviene a me, come credo, non importa: può essere utile a qualcun altro. Uno cita Platone e Omero senza averli mai letti. E io ho preso parecchie citazioni altrove che dalla fonte. Senza fatica e senza competenza, avendo attorno mille volumi di libri in questo luogo dove scrivo, prenderò a prestito ora, se mi piace, da una dozzina di tali rappezzatori, gente che non sfoglio neppure, di che ornare il trattato della fisionomia»180.

Pensiamo infatti, che Montaigne intenda convincere i lettori a non impressionarsi leggendo opere cosparse di citazioni - gli autori, infatti, potrebbero averci messo del proprio nient’altro che carta e inchiostro. Che intenda ridicolizzare i metodi pedanteschi che valutano la maturità degli alunni dal numero di citazioni che fanno invece che dal grado di consapevolezza di sé che dimostrano di avere. E, infine, che intenda promuovere un nuovo modello educativo, caratterizzato dal confronto simmetrico fra gli interlocutori e dall’uso anti-autoritario di citazioni anonime:

«Perfino la maschera della grandezza che si presenta nelle commedie ci tocca in qualche modo e c’inganna. Quello che io stesso adoro nei re, è la folla degli adulatori. Ogni riverenza e sottomissione è loro dovuta, salvo quella dell’intelletto: la mia ragione non è avvezza a piegarsi e a inchinarsi, i miei ginocchi lo sono. […]. Così la maggior parte di quelli che giudicano i discorsi dei grandi dovrebbero dire: «Non ho inteso il suo ragionamento tanto era oscuro per gravità, grandezza e maestà»181.

Montaigne, infatti, sa che i dotti non sono gli unici a valutare l’aspetto apparente dei discorsi, ma che, per natura, anche i soggetti con massima aspirazione critica non possono che giudicare solo e soltanto l’aspetto esteriore delle cose e delle opinioni che percepiscono. Dunque, lascia le citazioni anonime per alleggerirle del principio di autorità legato al nome del loro autore.

180 Saggi III 12, pp. 1965 e sg. 181

90 A questa spiegazione, tuttavia, potremmo ancora obiettare che, qualora Montaigne avesse realmente voluto riprodurre una relazione di parità fra sé, i lettori e i grandi autori, non avrebbe dovuto trascrivere le citazioni in latino, dal momento che nel XVI secolo esso è ancora ritenuto la lingua degli insegnamenti, e dal momento che lo stesso Montaigne lo ritiene la lingua dei discorsi degni di rimanere comprensibili a tempo indeterminato

«Scrivo il mio libro per pochi uomini e per pochi anni. Se fosse stato un argomento suscettibile di durare, sarebbe stato necessario affidarlo a una lingua più ferma [la lingua

latina ]. Date le continue variazioni cha la nostra [lingua francese] ha subito finora, chi può

sperare che la sua forma attuale sia in uso di qui a cinquant’anni?»182.

Tuttavia, dobbiamo tenere presente che Montaigne finalizza le proprie speculazioni non solo all’emancipazione dalle opinioni autorevoli, ma anche alla conquista di una certa costanza, pur minima e contingente. E che, considerando naturale tanto il desiderio quanto l’incapacità di conoscere183

, tenta di disciplinare il primo cercando un compromesso fra la suscettibilità verso ogni opinione e l’esigenza di conoscenze stabili.

Pertanto, pensiamo che il filosofo francese intenda moderare gli eccessi di volubilità dell’uomo offrendogli l’opportunità di appoggiare le sue riflessioni su opinioni precostituite. E che, più precisamente, ammassi le citazioni per dare al lettore punti provvisori cui appoggiare l’autonoma ricerca della verità, predisponendogliele con la stessa funzione che gli scettici antichi attribuiscono al fenomeno e alle norme comuni. Come abbiamo detto, Sesto e Montaigne attribuiscono all’uomo la necessità di ricevere dall’esterno il criterio pratico per i propri comportamenti. A differenza di Sesto, che attribuisce all’uomo la capacità di valutare le proprie rappresentazioni secondo il criterio intrinseco della loro evidenza, Montaigne riscontra, però, la necessità di ricevere dall’esterno anche i punti di riferimento concettuali cui uniformare e valutare discorsi e pensieri.

Infatti, anche se ne limitano la giurisdizione all’ambito fenomenico, gli scettici antichi rivendicano la possibilità di ricavare da se stessi il criterio cui disciplinare le proprie riflessioni:

182 Saggi III 9, pp. 1827 e sg. Il corsivo fra parentesi quadre è mio. 183

91 «Che noi si presti fede ai fenomeni, è chiaro da quanto diciamo intorno al criterio

dell’indirizzo scettico. «Criterio» si dice in due maniere: quello che fa fede della esistenza o inesistenza di una cosa, del che diremo quando lo confuteremo, e quello che riguarda la condotta, per cui, riferendoci ad esso, durante la nostra vita alcune cose facciamo, altre no. Di questo parleremo ora. Diciamo, dunque, che criterio dell’indirizzo scettico è il fenomeno, vale a dire, la rappresentazione sensibile, che, poggiando sulla sua persuasione e sull’affezione volontaria, non può essere oggetto d’investigazione. Perciò nessuno, forse, contesterà che l’oggetto appaia così o così, ma si farà questione su questo, se sia tale quale appare. Onde, riferendoci ai fenomeni, viviamo senza dogmi, osservando le norme della vita comune, ché non possiamo vivere senza far niente del tutto. Questa osservanza delle norme della vita comune pare essere quadripartita, e consistere, parte, nella guida della natura, parte, nell’impulso necessario delle affezioni, parte, nella tradizione delle leggi e delle consuetudini, parte nell’insegnamento delle arti»184.

Al contrario, Montaigne considera l’uomo intrinsecamente volubile, al punto da dovergli consigliare criteri esterni per le riflessioni, oltre che per i comportamenti. Perciò, pensiamo che egli stesso usi le citazioni dando l’esempio del modo in cui l’uomo deve conformare ogni discorso alle opinioni fornite dalla tradizione e dall’insegnamento.

In quest’ottica, replichiamo a coloro che potrebbero individuare una contraddizione fra il modello anti-autoritario della nuova educazione e la trascrizione latina delle citazioni. Difatti, riteniamo che Montaigne mantenga la lingua latina per segnalare la natura letteraria e non spontanea delle opinioni che riporta, intendendo dare l’impressione di adeguarsi alle conoscenze istituzionalizzate nell’atto opposto di sfruttarle come base per l’esercizio critico del pensiero - proprio e del lettore.

Pertanto, pensiamo che non solo Montaigne predisponga le citazioni anonime per dimostrare la discordanza reciproca delle opinioni autorevoli e per riprodurre nel lettore la volubilità che lui stesso racconta di aver provato leggendole; ma che, in modo paradossale, sfrutti la forza plasmatrice e stabilizzante dell’abitudine come propedeutica al «cambiamento e alla variazione»:

«Sono effetti dell’abitudine. Essa ci può avvezzare non solo alla forma che le piace (pertanto, dicono i saggi, dobbiamo fissarci sulla migliore, che essa ci renderà immediatamente più facile), ma anche al cambiamento e alla variazione. Che è il più nobile

184

92 e il più utile dei suoi insegnamenti. La migliore delle mie tendenze naturali è di essere

duttile e poco ostinato. Ho inclinazioni più personali e consuete di altre. Ma con pochissimo sforzo me ne allontano e mi conformo facilmente al modo contrario. Un giovane deve turbare le proprie abitudini per risvegliare il proprio vigore, impedirgli di ammuffire e impoltronire. E non c’è tenore di vita tanto stolto e fiacco quanto quello che si conduce per precetto e disciplina»185.

E che, infine, grazie agli emprunts Montaigne intenda abituare l’uomo a cambiare idea, insegnandogli ad adeguarsi in modo critico e provvisorio ad ogni forma e ad ogni opinione, e a sviluppare «varietà e duttilità»186 - le migliori doti che la sua «umana condizione» gli concede.

185 Saggi III 13, pp. 2017 e sg. 186

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IV. L

O STILE ALLUSIVO E L

INTERTESTUALITÀ

:

MODI DI SCRIVERE SENZA

AFFERMARE

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