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L’osservanza delle norme comuni come punto di riferimento critico della prassi.

II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO

III.6. L’osservanza delle norme comuni come punto di riferimento critico della prassi.

Montaigne promuove una concezione critica del sapere, e all’insegna di questo progetto adibisce molte scelte espressive, come l’impostazione dialogica della trama discorsiva, l’utilizzo delle espressioni dubitative, la descrizione parafrastica delle citazioni d’autore - la citazione non è letterale, né in lingua originale, così da ridimensionarne l’autorevolezza - , e l’omissione delle fonti delle citazioni che riporta in lingua.

Segnalando l’alterità enunciativa delle citazioni, Montaigne impedisce che i lettori gliele attribuiscano, e, lasciandole anonime, impedisce che essi le accettino per la sola autorevolezza dei loro enunciatori originali. In ogni caso, fa in modo di formulare discorsi non recepibili come affermazioni dogmatiche, e riesce a gestire il bisogno umano di contrarre opinioni.

Sesto e Montaigne, infatti, attribuiscono all’uomo l’esigenza di un corpo di regole cui uniformare la condotta, e indicano l’osservanza di leggi, tradizioni e norme comuni come il comportamento cui adeguarsi senza condividere il quadro di valori che tali dettami delineano. A differenza di Sesto, però, Montaigne vede nel conformismo esteriore non solo il superamento dell’inattività, ma, soprattutto, la possibilità di dissimulare la libertà critica mantenuta in ambito privato, e di nascondere l’opinione personale sugli ordinamenti pubblici.

A questo proposito, pensiamo legittimo rileggere la repulsione di Montaigne contro le istanze innovative come il riflesso particolare del suo generale atteggiamento antidogmatico. E pensiamo di poter vedere nel capitolo Della consuetudine e della

difficoltà a cambiar una legge stabilita non solo l’invito a preferire la stabilità delle

consuetudini ai turbamenti necessari per emendare lo stato delle cose, ma l’accenno ad accettare lo status quo invece di presumere di conoscere e di garantire i motivi per i quali sarebbe meglio cambiarlo:

«Colui che s’impaccia di scegliere e di cambiare [forma di governo], si arroga l’autorità di giudicare, e deve farsi garante di vedere il difetto di ciò che elimina e il bene di ciò che introduce»168.

168

83 Inoltre, Montaigne consiglia all’uomo di adeguarsi alle regole stabilite anche riguardo alle conoscenze cui acconsentire e i discorsi da pronunciare, manifestando, però, una preoccupazione ulteriore rispetto a quella dichiarata riguardo alle ritorsioni per la trasgressione dei codici stabiliti:

«Noi sconvolgiamo qui i limiti e le ultime barriere delle scienze, in cui l’eccesso è vizioso, come nelle virtù. Tenetevi sulla strada comune, non è bene essere tanto sottili e acuti. Ricordatevi di quel che dice il proverbio toscano. Chi troppo s’assottiglia si scavezza. Vi consiglio, nelle vostre opinioni e nei vostri discorsi, come nei vostri costumi e in ogni altra cosa, la moderazione e la temperanza, e di rifuggire la novità e la stravaganza. Tutte le strade fuori dell’ordinario mi irritano. […]. Il nostro spirito è uno strumento vagabondo, pericoloso e temerario: è difficile accompagnarvi l’ordine e la misura. E al tempo mio, quelli che hanno un qualche raro pregio al di sopra degli altri, li vediamo quasi tutti sconfinare in licenza d’opinioni e di costumi. È un miracolo trovarne uno pacato e trattabile. Si ha ragione di porre allo spirito umano barriere più strette possibile»169.

Infatti, mentre in ambito pratico consiglia l’osservanza delle norme comuni per difendere l’uomo dai pericoli estrinseci - pene e ritorsioni -, in ambito gnoseologico sembra voler difendere l’uomo dai pericoli che comporta la volubilità del suo giudizio - angosciosa indecisione e relativismo sfrenato.

Anzitutto, prende distanza dal relativismo morale, e afferma la necessità di distinguere in modo rigoroso il bene e male:

«Confondere l’ordine e la misura dei peccati è pericoloso. […]. Come Socrate diceva che il compito principale della saggezza era distinguere i beni e i mali, noi, fra cui neppure il migliore è senza vizi, dobbiamo dire lo stesso della scienza di distinguere i vizi; senza la quale, e ben rigorosa, il virtuoso e il malvagio rimangono confusi e ignoti»170.

Poi, ammettendo che l’uomo non può conoscere il bene e il male né distinguere i comportamenti buoni da quelli maligni, suggerisce, per lo meno, di distinguere i comportamenti adeguati alle regole convenzionali da quelli che le trasgrediscono:

169 Saggi II 12, 1027.

170

84 «Poiché è regola delle regole e legge generale delle leggi che ognuno osservi quelle del

luogo dove si trova, È bello obbedire alle leggi».

«Infatti la disciplina normale di uno Stato sano non provvede a questi casi insoliti; essa presuppone un corpo che si tiene saldo alle sue parti e nei suoi uffici più importanti, e un generale consenso all’osservanza e all’obbedienza. Il comportamento legittimo è freddo, cauto e vincolato, e non è fatto per resistere a una condotta licenziosa e sfrenata»171.

Come dice Foucalt, «in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l’evento aleatorio»172

, perciò, oltre a conformare i comportamenti alle leggi, gli uomini devono conformare i propri discorsi al corpo di conoscenze stabilite - inderogabile per contenuti indagabili e per metodi d’indagine usufruibili:

«Nello studio, come nel resto, bisogna contare e regolare i suoi passi: bisogna assegnargli ad arte i limiti della sua caccia. Lo si imbriglia e lo si vincola con religioni, leggi, costumi, scienza, precetti, pena e ricompense mortali e immortali: e tuttavia si vede che per la sua volubilità e dissolutezza sfugga a tutti questi lacci. È un corpo vacuo, che non si sa da che parte afferrare e dove dirigere; è un corpo diverso e di molteplici forme, su cui non si può stringere un nodo né far presa. Certo vi sono poche anime tanto regolate, forti e ben nate nel cui comportamento si possa aver fiducia, e che possano con moderazione e senza temerarità vogare nella libertà dei loro giudizi, al di là delle opinioni comuni. È più opportuno metterle sotto tutela. È una spada pericolosa lo spirito, per il suo stesso possessore, se uno non sa armarsene con regola e discrezione. E non c’è bestia alla quale con maggior ragione occorra mettere dei paraocchi per tenere il suo sguardo obbligato e costretto davanti ai suoi passi, e impedirle di vagare qua e là fuori dalle carreggiate che l’uso e le leggi le tracciano. Per cui

171

Saggi I 23, p. 211 e p. 219. Il corsivo è sentenza tratta dagli Gnomica di Jean Crispin, Eis nomous. 172 Cfr. M.F

OUCAULT, L’ordine del discorso. I meccanismi sociali di controllo e esclusione della parola, trad. it. di Alessandro Fontana, Torino 1972, p. 9. Per uno studio sulle procedure d’esclusione di determinate tematiche e di determinati soggetti dai discorsi esprimibili in società, cfr. ID., cit..

85 sarà meglio per voi tenervi sul sentiero battuto, quale che sia, piuttosto che lanciarvi a volo

in questa sfrenata licenza»173.

Dunque, anche ammettendone l’invalidità e l’instabilità174, Montaigne consiglia all’uomo

di rispettare le leggi convenzionali per conquistare una (minima e contingente) «costanza d’opinioni» e per disciplinare gli eccessi di volubilità, pur senza riuscire a distinguere i comportamenti buoni da quelli cattivi175. E, cercando di eludere anche per questo consiglio la forma prescrittiva, presenta il proprio mandato come sindaco di Bordeaux come esempio di obbedienza critica verso i dettami imposti, e come pretesto per delineare la scissione fra vita pubblica e vita privata:

«Anzi, al contrario, mi sembra che tutte le fogge personali e particolari derivino piuttosto da follia o da affettazione ambiziosa che da vera ragione; e che il saggio debba nell’intimo separar la sua anima dalla folla e mantenerla libera e capace di giudicare liberamente le cose; ma quanto all’esteriore, debba seguire i modi e le forme acquisite. La società non sa che farsene dei nostri pensieri; ma quello che resta, cioè le nostre azioni, il nostro lavoro, i nostri beni e la nostra propria vita, bisogna prestarlo e abbandonarlo al suo servizio e alle opinioni comuni»176.

Come afferma, «la società non sa che farsene dei nostri pensieri», perché, tra l’altro e con consapevolezza scettica, Montaigne pensa che gli uomini, e quindi anche gli organi giurisdizionali, possano valutare solo l’aspetto apparente della nostra condotta. Perciò,

173 Saggi II 12, p. 1027. 174

Sulla caratterizzazione contingente e relativistica delle leggi e dei costumi, e sulla loro inadeguatezza a fornire punti di riferimento stabili, cfr. Saggi II 12, pp. 1047-78. A titolo esemplificativo, «Non c’è cosa soggetta a più continuo rivolgimento delle leggi. […]. Che cosa ci dirà dunque in questo frangente la filosofia? Di seguire le leggi del nostro paese? Cioè questo mare fluttuante delle opinioni di un popolo o d’un principe, che mi dipingeranno la giustizia di tanti colori e l’acconceranno in tante fogge quanti mutamenti di passioni vi saranno in essi. Il mio giudizio non può essere così flessibile. Che bontà è mai quella che ieri vedevo in onore e domai non più, e che, varcato un fiume, diventa crimine? Che verità è quella che è limitata da queste montagne, e che è menzogna per la gente che sta dall’altra parte?», pp. 1067 e sg.

175

«Ora, dalla conoscenza di questa mia volubilità ho per caso formato in me una certa costanza di opinioni, e non ho troppo alterato le primitive e naturali. Difatti, qualsiasi apparenza di verità vi sia nella novità, non cambio facilmente, per la paura di perdere nel cambio. E poiché non sono capace di scegliere, mi appiglio alla scelta altrui e sto al posto in cui Dio mi ha messo. Altrimenti non saprei impedirmi di girare senza posa. Così, per grazia di Dio, mi sono conservato fermo, senza agitazione e turbamento di coscienza, nelle antiche credenze della nostra religione, attraverso tante sette e divisioni che il nostro secolo ha prodotto»,Saggi II

12, p. 1047. 176

86 tanto vale sfruttare questa incapacità valutativa per dissimulare coscienza e libertà critiche dietro l’obbedienza esteriore agli obblighi pubblici.

Pensiamo, pertanto, che Montaigne sfrutti l’aspetto dei propri discorsi con la stessa intenzione dissimulatrice; e che infarcisca i Saggi di citazioni e di aneddoti per soddisfare le aspettative dei lettori, che da esso - come da qualsiasi altra opera - non tollererebbero vuoto e afasia seguite all’irreperibilità di forme enunciative non assertive.

E, in particolare riguardo all’emprunt, pensiamo che Montaigne intenda sfruttare l’aspetto delle citazioni per pronunciare discorsi apparentemente dogmatici e tradizionali, da problematizzare, in realtà, mediante l’anonimato e il confronto reciproco.

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