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La scrittura polifonica come riproduzione dell’arte di conversare.

II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO

III.5. La scrittura polifonica come riproduzione dell’arte di conversare.

Pur rifiutando il «corpo a corpo» con i grandi autori, Montaigne ci intrattiene una sorta di dialogo continuo senza condiscendenza acritica; e promuove una concezione del sapere nuova, secondo la quale dovremmo dialogare con essi: conoscerli e confrontarli, senza studiarli in modo pedissequo:

«E ogni giorno mi diverto a leggere certi autori, senza curarmi della loro scienza: cercandovi la loro forma, non il loro argomento. Così come ricerco la compagnia di qualche ingegno famoso, non perché mi insegni, ma per conoscerlo»157.

Dunque, non solo ammassa citazioni anonime per esibire la loro discordanza reciproca e manifestare una concezione critica della cultura; ma, considerando il credito sociale e culturale degli interlocutori - anche, e soprattutto, quando essi sono costituiti dagli autori di un’opera - come ciò che ostacola la discussione critica delle loro opinioni, modella la trasmissione delle conoscenze sull’ideale della conversazione fra uomini uguali e disponibili ad essere contraddetti:

«Eppure non pertanto la cosa è posta in dubbio: poiché le opinioni degli uomini si formano seguendo antiche credenze, per autorità e credito, come si trattasse di religione e di legge. Si accoglie come un gergo ciò che si ritiene comunemente; si accoglie questa verità con tutta la sua costruzione e apparecchiatura di argomenti e prove, come un corpo fermo e solido, che non si scuote più, che non si giudica più. Anzi, ognuno, come meglio può, va intonacando e puntellando questa credenza invalsa con tutte le forze della propria ragione, la quale è uno strumento duttile, adattabile e acconciabile a ogni forma. […]. La sua autorità è il fine al di là del quale non ci è permesso indagare. […]. In questo modo troviamo la nostra ragione ben fondata e discorriamo a colpo sicuro; infatti i nostri maestri invadono e occupano a priori tanto posto nella nostra opinione quanto occorre loro per concludere poi quello che vogliono, a guisa dei matematici con i loro postulati: il nostro consenso e la nostra approvazione a destra e a sinistra, e farci piroettare a loro piacimento»158.

157 Saggi III 8, p. 1723.

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79 In particolare, lascia anonime le citazioni dei Saggi per ridimensionarle al rango di opinioni comuni, discutibili dal lettore. In generale, auspica un nuovo tipo di educazione, fondato sulla conversazione fra eguali invece che sullo studio dei libri consacrati dalla tradizione:

«Il più fruttuoso e naturale esercizio del nostro spirito è la conversazione. […]. Lo studio dei libri è un’operazione languida e fiacca, che non riscalda; mentre la conversazione insegna ed esercita al tempo stesso»159.

Ciononostante, Montaigne è consapevole della difficoltà di trovare interlocutori validi per confrontarsi. Dunque modifica il proprio modo di leggere e di scrivere libri, per rendere la lettura il degno sostitutivo della conversazione; e cercando, oltre la loro apparente contrapposizione, di compenetrare le due attività, effettua citazioni anonime e riproduce nei Saggi le condizioni di una conversazione fra soggetti di uguale dignità, «onorati e capaci, con i quali conversare senz’altro scopo che l’esercizio spirituale»160

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A questo proposito, valuta lettura e conversazione dalla medesima prospettiva anti-erudita:

«I dotti inciampano facilmente in questo sasso. Fanno sempre mostra della loro dottrina e seminano i loro libri dappertutto. […]. In ogni sorta di discorsi e di argomenti, per bassi e comuni che siano, si servono di un modo di parlare e di scrivere nuovo e sapiente. […]. E citano Platone e san Tommaso in cose in cui il primo venuto servirebbe altrettanto bene da testimone. La dottrina che non ha potuto arrivar loro nell’anima, è rimasta loro sulla lingua»161.

Quindi fa trapassare la polemica dal piano pedagogico al piano morale. E pensando - in modo scettico - che gli uomini possano conoscere solo l’apparenza delle enunciazioni che ascoltano, dichiara la conversazione vulnerabile alla dissimulazione dei suoi

159 Saggi, III 8, p. 1711. 160

«Gli uomini dei quali cerco la compagnia e la familiarità sono quelli che si chiamano uomini onorati e capaci: l’idea che ho di costoro mi disgusta degli altri. […]. Lo scopo di questo commercio è semplicemente la dimestichezza, la frequentazione e la conversazione: l’esercizio delle anime, senz’altro frutto», Saggi III 3, p. 1523.

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80 partecipanti162; accusa i pedanti di infarcire i discorsi con citazioni e stratagemmi sofistici per creare un’aura di autorevolezza; e consiglia di mantenere un atteggiamento critico e diffidente perfino al cospetto di coloro che pronunciano discorsi apparentemente dotati di buone argomentazioni, cercando di comprendere se ricorrono a frasi altrui per opportunismo o soltanto per un legittimo aiuto espressivo:

«Ecco un altro avvertimento dal quale traggo grande utilità: che cioè nelle discussioni e nelle conversazioni tutte le frasi che ci sembrano buone non devono essere accettate immediatamente. La maggior parte degli uomini sono ricchi di una scienza estranea. Può accadere a un tale di dire un bel motto, una buona risposta e sentenza, e metterla avanti senza conoscerne la forza. Che non si trattenga tutto quello che si prende a prestito, lo si potrà forse verificare in me stesso. Non bisogna lasciarsene conquistare sempre, qualunque verità o bellezza essa abbia. O bisogna combatterla a ragion veduta, o tirarsi indietro, col pretesto di non capirla, per saggiare da ogni parte come essa sia intesa dal suo autore»163.

In questo passo Montaigne ammette di essere il primo a ricorrere a frasi altrui; ma rivendicando di «soppesarle»164 e di usarle per esprimere concezioni proprie, manifesta l’impegno contro coloro che, invece, le riusano per ostacolare una discussione libera e critica. Per quel che gli riguarda, infatti, afferma di esporre ogni opinione col solo scopo di sollecitare la conversazione e il dibattito:

«Infatti in quello che dico non garantisco altra certezza se non che è quello che avevo allora nel pensiero. Pensiero occasionale e vacillante. Io parlo di tutto per conversare e di nulla per giudicare. Non ho vergogna, come costoro, di confessare che ignoro quello che ignoro. Non sarei tanto ardito a parlare se mi spettasse di essere creduto»165.

Estendiamo, pertanto, questa dichiarazione ad ogni frase scritta nei Saggi; e, pur leggendo come scettiche le intenzioni di esprimere pensieri soggettivi e di non pronunciare giudizi, leggiamo la presentazione dei pensieri come argomenti di cui dibattere come una novità 162 Cfr. Saggi III 8, pp. 1727-41. 163 Saggi III 8, p. 1739. 164 Saggi II, 10 p. 725. Cfr. p.52. 165 Saggi III 11, p. 1923.

81 rispetto alla concezione sestana del linguaggio. E pensiamo che Montaigne indichi la conversazione come il tipo di discorso grazie al quale mantenere l’apertura zetetica non garantita dalla contrapposizione delle opinioni.

Infatti, anche se legge le testimonianze antiche dove gli scettici vantano di essere «investigativi», tuttavia sembra che Montaigne imputi loro di cessare le ricerche dopo aver constatato l’equipollenza delle opinioni e aver sospeso il giudizio166. E sembra che, sentendo limitante di dover pronunciare discorsi solo per contrastarne altri, predisponga il linguaggio a esercizi antidogmatici nuovi, usandolo per problematizzare e per confrontare le opinioni invece che per contrapporle, e cospargendo i Saggi di aneddoti, luoghi comuni, opinioni proprie e citazioni come «zone di turbolenza»167 attorno alle quali dibattere.

166 Per Sesto, cfr. HP I 7; per Diogene Laerzio cfr. DL IX 70. Concependo la ricerca come ricerca di opinioni contrapposte a giudizi formulati da altri, e finalizzandola alla sospensione del giudizio e all’atarassia, il saggio che constata l’equipollenza non solo sospende il giudizio ma cessa anche la sua attività di ricerca. 167 L’espressione è di John O’Brien, che vede nell’accumulazione di esperienze e di opinioni disparate un modo di interrompere la trama lineare e teleologica dei giudizi di verità; e un modo per procurare nel lettore la rinuncia all’itinerario mentale lineare di chi si attende un giudizio di verità. Cfr. J.O’BRIEN, «Si avons

nous une tres-douce medecine que la philosophie», in M.L. DEMONET e A. LEGROS (a cura di), L’écriture du

scepticisme, cit., pp. 13-24. Per l’intenzione di interrompere la trama discorsiva grazie all’uso anomalo di

segni d’interpunzione e di lettere maiuscole, cfr. A.TOURNON, L’energie du “langage coupé” et la censure

editoriale, in J. O’BRIEN, M. QUAINTON, J.J. SUPPLE (a cura di), Montaigne et la rhétorique, Actes du colloque de St. Andrews (28-31 marzo 1992), Parigi 1995, p. 131.

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