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L’incostanza del giudizio umano: una qualità da favorire.

II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO

II.3. L’incostanza del giudizio umano: una qualità da favorire.

Nei Saggi Montaigne nasconde un numero indefinito di concezioni implicite, e l’appello al «lettore perspicace» chiama ogni interprete ad un impegno ermeneutico tale, che sembra impossibile poter raggiungere la comprensione definitiva di ogni brano:

«Un lettore perspicace scopre spesso negli scritti altrui perfezioni diverse da quelle che l’autore vi ha poste o intravviste, e presta loro significati e aspetti più ricchi»80.

A questo proposito riportiamo il passo del capitolo Del pentirsi, del quale, in parte, abbiamo già parlato; e cerchiamo di rendere esplicito l’accenno alla presa di distanza dalla concezione antropologica dello scetticismo antico:

«Gli altri formano l’uomo. Io lo descrivo, e ne rappresento un esemplare assai mal formato, e tale che se dovessi modellarlo di nuovo lo farei in verità molto diverso da quello che è. Ma ormai è fatto. Ora, i tratti della mia pittura sono sempre fedeli, benché cambino e varino. Il mondo non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi d’Egitto, e per l’oscillazione generale e per la loro propria. La stessa costanza non è altro che un’oscillazione più debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Lo prendo in questo punto, com’è, nell’istante in cui m’interesso a lui. Non descrivo l’essere. Descrivo il passaggio: non un passaggio da un’età all’altra, o, come dice il popolo, di sette in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto. Bisogna che adatti il mio racconto al momento. Potrei cambiare fra poco, non solo di condizione, ma anche d’intenti. È una registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte. E talvolta contrarie: sia che io stesso sia diverso, sia che colga gli oggetti secondo altri aspetti e considerazioni. Tant’è che forse mi contraddico, ma la verità, come diceva Demade, non la contraddico mai. Se la mia anima potesse stabilizzarsi, non mi saggerei, mi risolverei. Essa è sempre in tirocinio e in prova»81.

Pensiamo che, ammettendo di non poter stabilizzare la propria anima, in modo indiretto e implicito Montaigne intenda respingere come irrealizzabili gli ideali scettici della sospensione del giudizio e dell’atarassia.

80 Saggi I 24, p. 227.

81

37 Come abbiamo detto, il filosofo francese presenta la propria riflessione sull’incostanza umana come il risultato di osservazioni introspettive, discutibili e controvertibili. Ma quello personale non costituisce l’unico esempio grazie al quale dimostrare su base empirica l’impossibilità umana di stabilizzarsi. Nell’Apologia di Raimond Sebond, ad esempio, Montaigne sfrutta la propria erudizione per ammassare le opinioni discordanti e volubili dei filosofi antichi, e, nel capitolo Della virtù, racconta l’incapacità di Pirrone di conformare la propria vita alla propria dottrina:

«Pirrone, colui che costruì una così bizzarra scienza dell’ignoranza, tentò, come tutti gli altri veri filosofi, di far corrispondere la propria vita alla propria dottrina. E poiché riteneva la debolezza del giudizio umano tanto estrema da non poter prendere una decisione o seguire un’inclinazione, e voleva tenerlo sospeso in perpetuo equilibrio, considerando e accogliendo tutte le cose come indifferenti, si racconta che mantenesse sempre lo stesso atteggiamento e la stessa espressione. […]. È già qualcosa condurre l’anima a tali concezioni, è di più conformarvi le azioni, tuttavia non è impossibile: ma conformarvele con tale perseveranza e costanza da farne il proprio contegno abituale in imprese tanto lontane dall’uso comune, è certamente quasi incredibile che lo si possa. Ecco perché, trovato qualche volta in casa sua a discutere aspramente con sua sorella, e rimproverato di venir meno così alla propria indifferenza: «Come», disse «bisogna che anche questa donnetta serva di testimonianza alle mie regole?». Un’altra volta che fu visto difendersi da un cane: «È molto difficile» disse «spogliare interamente l’uomo; e bisogna farsi un dovere e sforzarsi di combattere le cose, prima con le azioni, ma nel peggiore dei casi con la ragione e con gli argomenti»»82.

Il confronto con Pirrone, in questo caso, è diretto. E la cosa interessante da notare è che, per questo raro riferimento esplicito, Montaigne non attinge agli Schizzi pirroniani, bensì alle Vite laerziane, come a dimostrare di non voler contestare l’infondatezza della tropologia scettica - facendolo, Montaigne presupporrebbe la giustezza delle proprie argomentazioni -, bensì di voler documentare i contro-esempi che smentiscono l’ideale sospensivo83.

82

Cfr. Saggi II 29, pp. 1301 e sg., dove Montaigne si riferisce a DL IX 62-63.

83 In un’ipotetica impostazione del genere, si sarebbe potuto imputare allo scetticismo di fondare l’impianto tropologico sul presupposto indimostrato della facoltà capace di ponderare le opinioni. Cfr. HP III 24, per il

regresso all’infinito che comporta cercare di dimostrare un presupposto argomentativo risalendo alle sue

38 Peraltro, in questo caso, Montaigne documenta un contro-esempio riguardante niente meno che il fondatore dello scetticismo antico, il quale giustifica i propri comportamenti inadeguati dichiarando di combattere «con la ragione e gli argomenti» quei turbamenti che non riesce a superare in pratica, ponendo, paradossalmente, a fondamento della propria attitudine antidogmatica proprio la ragione84.

Dopo aver respinto gli ideali sospensivi dello scetticismo antico sulla base dell’autoriflessione e della documentazione bio-dossografica, il filosofo francese cerca degli obiettivi pratici alternativi cui destinare la propria speculazione, visto che - come del resto, Sesto - Montaigne legittima la filosofia solo finalizzandola al raggiungimento del benessere. Pertanto, consiglia agli uomini di accettare la volubilità, e di mitigarne i danni mantenendo una posizione di dubbio critico verso tutte le opinioni fra le quali si trovano a oscillare:

«Io non so prender partito nelle faccende dubbiose, né si né no nel cor mi sona intero. So ben sostenere un’opinione, ma non sceglierla. Poiché nelle cose umane, da qualsiasi parte ci si volga, si presentano molte apparenze che ci convincono in quel senso. E il filosofo Crisippo diceva che dai suoi maestri Zenone e Cleante voleva imparare solo i principi: infatti, quanto alle prove e alle ragioni, ne avrebbe fornite a sufficienza lui stesso. Da qualsiasi parte mi volga, mi fornisco sempre abbastanza ragione e verisimiglianza per mantenermici. Così trattengo in me il dubbio, e la libertà di scegliere, finché le circostanze non mi costringono»85.

Anche in questo caso, Montaigne vede nella propria condizione il prototipo della condizione umana, perciò presenta il proprio comportamento come un esempio di difesa dall’incostanza valutativa, potenzialmente applicabile da tutti gli uomini. E, dalla stesso punto di vista autoriflessivo, consiglia agli uomini una pragmatica per controllare il flusso dei cambiamenti continui pur accettando di non raggiungere mai la quiete.

In seno alla differenza fra le concezioni che Sesto e Montaigne hanno riguardo all’incostanza del giudizio umano, intravediamo un’altra differenza, riguardante il modo in cui i due autori concepiscono il dubbio. Più precisamente, notiamo che, mentre Sesto vede il dubbio come un’attitudine provvisoria funzionale alla sospensione del giudizio,

84 Per la problematica identificazione di Pirrone come capostipite del pirronismo antico, cfr. cap. 1, pp. 2 e sgg.

85

39 Montaigne non solo lo considera una condizione permanente, ma considera i suoi effetti destabilizzanti non come ostacoli all’imperturbabilità, bensì come un aiuto a non fissare l’opinione su alcuna idea:

«Lasciamo da parte quell’infinita confusione di opinioni che si vede fra gli stessi filosofi, e quella perpetua e universale controversia sulla conoscenza delle cose. […] Oltre a questa diversità e divisione infinita, dal turbamento che il nostro giudizio ci causa, e dall’incertezza che ognuno sente in sé, è facile vedere che il suo assetto è assai malfermo. In quanti modi diversi giudichiamo le cose? Quante volte cambiamo idea? Quello che ritengo oggi e quello che credo, lo ritengo e lo credo con tutta la mia capacità di credere; tutti i miei mezzi e tutti i miei riflessi sostengono quest’opinione e me ne danno garanzia per quanto possono, non potrei abbracciare alcuna verità né conservarla con maggior forza di questa. Mi ci son dato per intero, mi ci son dato veramente. Ma non mi è forse successo, non una volta, ma cento, ma mille, e tutti i giorni, di aver abbracciato qualche altra cosa con questi stessi strumenti, in questa stessa maniera, e poi averla giudicata falsa? Bisogna almeno diventar saggi a proprie spese. […] Non è una sciocchezza lasciarmi imbrogliare tante volte da una guida? Tuttavia, che la fortuna ci muova cinquecento volte di posto, che non faccia che vuotare e riempire continuamente, come un vaso, la nostra credulità di opinioni sempre diverse, la presente e l’ultima è sempre quella certa e infallibile. […] La nostra condizione difettosa dovrebbe almeno farci condurre con maggiore moderazione e ritegno nei nostri cambiamenti. Dovremmo ricordarci, qualsiasi cosa accogliamo nella nostra mente, che vi accogliamo spesso cose false, e con quegli stessi strumenti che spesso si smentiscono e s’ingannano»86

.

Cambiando continuamente opinione e ammettendo l’incapacità di conoscere la verità, infatti, gli uomini sentono di non poter più prendere decisioni definitive, né provano più l’angosciosa responsabilità di motivarle nel rispetto di un’assiologia che hanno l’obbligo di conoscere87. Pensiamo, per questi motivi, che Montaigne maturi un certo favore verso la caratteristica umana dell’incostanza; e che, quindi, contrassegni la propria indipendenza dallo scetticismo antico non solo giudicando l’uomo incapace di controbilanciare le opinioni e di sospendere il giudizio, ma, soprattutto, preferendo la permanenza della volubilità all’esito sospensivo.

86 Saggi II 12, pp. 1035 e sg. 87

Per un’interpretazione a favore della volubilità, come condizione che deresponsabilizza l’uomo verso scelte ritrattabili, cfr. C.LARMORE, Un scepticisme sans tranquillité: Montaigne et ses modèls antiques, in V. Carraud e J.L. Marion (a cura di), Montaigne: scepticism, métaphysique, théologie, Parigi 2004, pp. 15- 31.

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