II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO
II.6. Oltre il «Que sais-je?».
Come abbiamo detto, la distribuzione dei passi testuali costituisce un’indicazione utile per gli interpreti, soprattutto considerando le frequenti dichiarazioni di consustanzialità che Montaigne ripete nei Saggi. Pertanto, come ultimo punto di questo capitolo, intendiamo focalizzare la distribuzione degli argomenti nell’Apologia di Raimond Sebond, per illustrare al lettore che la polemica montaigniana contro il linguaggio auto-purgativo costituisce solo lo strato più superficiale di un disaccordo ben più radicale.
Come abbiamo notato, la collocazione della riflessione sull’instabilità dei ragionamenti filosofici al culmine della polemica anti-antropocentrica può indurre il lettore a ripensare la componente fideistica a favore della concezione sull’incostanza umana. Adesso, però, concentriamo l’attenzione sui passi in cui Montaigne riutilizza la tropologia scettica, cercando di interpretare le ragioni per le quali Montaigne la usa in passi distanti rispetto a quelli in cui parla del pirronismo, e cercando di dimostrare che egli non la ritiene cruciale per l’adozione dell’attitudine dubitativa.
Nel 1569 Montaigne traduce e pubblica in francese la Theologia Naturalis di Raimond Sebond, accusato di eresia per la pretesa di dimostrare razionalmente gli articoli di fede:
«Ora, qualche tempo prima della sua morte, mio padre, avendo per caso ritrovato questo libro sotto un mucchio di altre carte dimenticate, mi incaricò di metterglielo in francese. […]. Trovai belle le idee di questo autore, l’orditura della sua opera ben condotta, e il proposito pieno di pietà. Siccome molti si dilettano a leggerlo, e specialmente le dame, a cui dobbiamo maggiori servigi, mi sono trovato spesso in misura di aiutarle, per difendere il libro da due principali obiezioni che gli sono mosse. Il suo fine è ardito e coraggioso, poiché intende, con ragioni umane e naturali, stabilire e provare contro gli atei tutti gli articoli della religione cristiana»105.
Dunque, ripubblica l’opera nel 1581, munendola del capitolo II 12 come prefazione apologetica. Tralasciamo la prima contro-obiezione, e ci concentriamo sulla seconda, nella quale Montaigne contesta ai detrattori di Sebond di controbattere le pretese razionalistiche di quest’ultimo con argomentazioni altrettanto razionali e altrettanto protese a conoscere la verità divina mediante ragione:
105
51 «Io mi sono, senza pensarci, già a metà impegnato nella seconda obiezione alla quale mi ero
proposto di rispondere per Sebond. Alcuni dicono che i suoi argomenti sono deboli e inetti a dimostrare ciò che vuole e pensano di ribatterli facilmente. Bisogna trattare costoro un po’ più duramente, perché sono più pericolosi e più maligni dei primi.[…]. Costoro hanno alcuni pregiudizi che li rendono insensibili ai ragionamenti di Sebond. Del resto, sembra che gli si dia buon gioco lasciandoli liberi di combattere la nostra religione con armi puramente umane, mentre non oserebbero attaccarla nella sua maestà piena di imperio. Il mezzo che scelgo per abbattere questa frenesia e che mi sembra il più adatto, è di schiacciare e calpestare l’orgoglio e l’umana baldanza, far sentir loro l’inanità, la vanità e nullità dell’uomo; strappar loro le meschine armi della loro ragione; far loro abbassare la testa e mordere la polvere, sotto l’autorità e la reverenza della maestà divina. A lei sola appartiene la scienza e la sapienza, lei sola può stimarsi per se stessa, e da lei noi ricaviamo il valore che ci attribuiamo»106.
Dunque, per «strappar le meschine armi della ragione» ai detrattori di Sebond e a chiunque intenda conoscere la verità di Dio mediante ragione, Montaigne articola una radicale polemica anti-antropocentrica, dove usa e intreccia esaltazione degli animali e argomenti tropologici. Non possiamo fare a meno di notare, perciò, che Montaigne inserisce la tematica del conflitto fra rappresentazioni in una cornice fideistica, manifestando per essa un interesse legato più al problema devozionale e morale dell’impossibilità di conoscere Dio che al problema conoscitivo dell’inaffidabilità del giudizio umano. E che, peraltro, l’autore dei Saggi delinea l’atteggiamento critico da tenere verso il giudizio inaffidabile solo al culmine della polemica anti-antropocentrica, dando finalmente inizio al discorso in cui il pirronismo costituisce il tema centrale, ed in cui, inaspettatamente, l’armamentario tropologico rimane inutilizzato.
Pensiamo, infatti, che, nell’Apologia di Raimond Sebond, Montaigne dislochi i passi dedicati alla tematica tradizionale del conflitto delle rappresentazioni e quelli dedicati alla tematica originale dell’incostanza del giudizio in modo significativo. Ed il fatto che il filosofo francese abbandona la tropologia appena prima di iniziare a parlare del pirronismo, ci induce a pensare che la polemica contro lo scetticismo antico non riguardi solo l’uso del linguaggio.
106 Saggi II 12, pp. 797 e sg. Per quanto riguarda il primo capo d’accusa imputato a Sebond - che contesta al teologo di dimostrare gli articoli di fede per via razionale - Montaigne replica che il tentativo di consolidare la fede mediante ragione testimonia comunque un atto di amore verso Dio.
52 Infatti, leggendo il brano sulla discordanza dei grandi ragionamenti filosofici possiamo intuire che Montaigne invalida il giudizio anche al più alto livello del suo esercizio, e che, quindi, non ritenga possibile fondare l’attitudine antidogmatica sulla capacità di dedurre la sospensione del giudizio dalle argomentazioni tropologiche.
D’altronde, come Emidio Spinelli sintetizza, ogni tropo presenta un «meccanismo oppositivo standard», che guida l’uomo a sospendere il giudizio attraverso una serie di considerazioni logiche:
«1. un certo oggetto (x) appare dotato di una caratteristica (c) in una specifica situazione (s), ovvero: x appare c in s;
2. x appare c* in s*;
3. c e c* sono insieme logicamente incompatibili ( sia nel senso di una stringente contraddittorietà, sia in quello di una più generica contrarietà) ed equipollenti;
4. non abbiamo inoltre alcun mezzo per dare la preferenza a s rispetto a s* (o viceversa); 5. dunque non potendo stabilire cosa x sia in sé ci troviamo nella necessità di sospendere il giudizio nella sua vera natura»107.
Montaigne, però, nega all’uomo la capacità di ragionare in modo deduttivo e necessario; e, oltre al linguaggio auto-purgativo, sembra contestare a Sesto anche la tropologia, giudicandola incompatibile alle capacità ragionative umane.
Pensiamo, perciò, che, ponendo se stesso come soggetto prototipico, impronti la nuova «disintossicazione» antidogmatica all’insegna delle esperienze che l’hanno portato a dubitare del proprio giudizio; e che, usando il linguaggio non per contrapporre opinioni, bensì per ammassarle sotto forma di citazioni, egli intenda fare oscillare il lettore fino a indurgli la consapevolezza dell’instabilità del suo giudizio.
Infatti, come leggiamo nel capitolo Dell’esercizio, l’uomo adotta una determinata condotta solo dopo essersi esercitato a lungo in essa piuttosto che dopo aver compreso le ragioni per le quali è giusto adottarlo. Per questo motivo, Montaigne abbandona il procedimento
107
53 dimostrativo della tropologia e costella i Saggi di citazioni, in modo da offrire al lettore l’esercizio dell’oscillazione critica fra opinioni autorevoli108
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Pertanto, riteniamo che Montaigne polemizzi contro il linguaggio auto-purgativo solo per dissimulare la propria insoddisfazione verso la tropologia, e che, riusando quest’ultima in modo decentrato rispetto alla riflessione sul pirronismo, intenda accennare al lettore di perseguire in altri modi l’attitudine dubitativa. Come testimonia Diogene Laerzio, infatti, gli scettici antichi hanno da sempre sovrapposto le tematiche del linguaggio e della cura antidogmatica, e Montaigne reinterpreta questa sovrapposizione per farne una sorta di gioco di strati.
D’altronde, Montaigne formula ogni pensiero in modo, per così dire, stratificato, usando le proprie dichiarazioni esplicite come strato per riempire la superficie discorsiva, e per nascondere le concezioni che pensa realmente - e che non può formulare, se non affermandole. Per questo, ed infine, pensiamo che Montaigne abbia presentato il linguaggio interrogativo come strato, nascondendo la vera intenzione di usare le citazioni e i discorsi allusivi. E che, oltre all’enunciazione «Que sais-je?», dobbiamo intravedere la tensione ad alludere a frasi altrui non identificate, e a disorientare il lettore fra le molteplici opinioni riportate e i molteplici significati evocati.
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