II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO
III.1. Un modo nuovo di citare: l’emprunt di Montaigne
Inseriamo l’ipotesi del valore scettico delle citazioni di Montaigne in un dibattito al quale non è possibile dare una soluzione univoca, ed il fatto che nel corso dei Saggi il filosofo si riferisca alle proprie citazioni con due termini diversi - emprunt e allegation - già ne suggerisce la caratterizzazione multipla109. Prima di indagare le numerose intenzioni che spingono Montaigne a citare, però, riteniamo opportuno considerare i risultati degli studi sulla citazione in generale. Porli come premessa aiuterà a capire l’impostazione problematica da dare alla ricerca sulla citazione montaigniana.
Ci riferiamo, in particolar modo, allo studio di Antoine Compagnon, che ha messo in luce l’impossibilità - e, soprattutto, l’errore - di definire il genere letterario della citazione. Passando in rassegna tutte le pratiche discorsive ad essa assimilabili, Compagnon ha dimostrato che nella storia della retorica e della letteratura la citazione ha cambiato forma e assolto a funzioni diverse a seconda delle esigenze intellettuali predominanti in ogni epoca. Dalla gnome classica - attraverso la quale si ripeteva un’opinione comune di argomento morale - all’uso provocatorio di Pierre Menard - che sconvolge la sostanza del Don
Chisciotte pur ripetendone letteralmente ogni frase -, ognuna di queste forme mantiene una
specificità di intenti e di effetti nonostante la comune natura formale di ripetizione del già
detto110.
Questa conclusione sulla citazione in generale non solo costituisce la premessa teorica allo studio delle citazioni di ogni autore, ma lo condiziona in modo strutturale. Senza una pratica istituzionalizzata e unificata della citazione, infatti, non abbiamo a disposizione un punto di riferimento stabile per studiare l’atteggiamento tenuto da Montaigne. Dunque,
109 A.C
OMPAGNON, La seconde main, ou le travail de la citation, Parigi 1979, p. 281-3. Cfr. anche C.BLUM,
La fonction du déjà dit dans les Essais de Montaigne: emprunter, alléguer, citer, «Cahiers de l’Association
internationale des études français», XXXIII (1981), pp. 35-51. Cfr. soprattutto pp. 39-41, dove Blum evidenzia l’intersezione fra il campo semantico di allegation - pratica che esige citazione letterale e menzione d’autore -, e il campo semantico di emprunt - pratica che permette parafrasi, anonimato, modificazione del senso e della sintassi dell’enunciato originario. Per Blum, l’intersezione segnala l’affrancamento dell’allegation dagli oneri di autorevolezza e letteralità, e la valorizzazione dell’autore che cita rispetto all’enunciato ripetuto. A questo proposito, Blum sviluppa la tesi di Compagnon, il quale concepisce l’emprunt di Montaigne come la chiave di passaggio dall’allegation tradizionale alla citazione moderna, dove il centro focale è rappresentato dalla soggettività dell’autore che ripete.
110
A. COMPAGNON, La seconde main, cit., p. 100 e sg. Per la definizione aristotelica della gnome, cfr. Retorica II 21 1394a. Per la novella di Borges, cfr. J.L. BORGES, Pierre Menard, autore del Chisciotte, in ID,
Finzioni, Milano 2003. Per una tentativo di definizione della citazione montaigniana mediante il confronto
con gli usi storicamente identificati della pratica citazionale dall’antichità fino al Rinascimento, cfr. M. METSCHIES, La citation et l’art de citer dans les Essais de Montaigne, tr. fr. di Jules Brody, Parigi 1997.
55 dovremmo comprendere come egli reinterpreta l’atto di ripetere parole altrui a partire dai discorsi - più o meno espliciti - che egli formula al riguardo; a partire dalle parole con le quali vi si riferisce; e a partire dalla storia e dalle tradizioni letterarie che interpella usando certe parole e formulando certi discorsi.
A questo proposito, e tornando ai termini con i quali Montagne designa il proprio modo di citare, osserviamo allegation, dotato di una storia e di un significato storicamente determinati. Dal XIII secolo, infatti, tale termine indica un modo preciso di riportare le parole altrui, cioè quello che i commentatori della scolastica medievale praticano riusando le parole dei Padri delle Chiesa per incrementare autorevolezza e credibilità dei propri commenti. Sebbene Montaigne non cerchi di aumentare la credibilità dei propri discorsi, identificando il valore storico e letterario del termine allegation possiamo effettuare una prima - comunque imprecisa - ripartizione interna alle citazioni nei Saggi, fra quelle di cui Montaigne ne nomina l’autore e quelle di cui non lo nomina111
.
Nonostante la sua natura eccessivamente semplificata, consideriamo provvisoriamente valida la distinzione fra emprunt e allegation, poiché ci permette di tracciare in modo generale i lineamenti del termine emprunt, che, costituendo invece una novità nella riflessione sulla citazione, non conserva gli strascichi di alcuna tradizione precedente. E la consideriamo come punto di partenza per analizzare l’innovativa pratica citazionale di Montaigne - tanto innovativa da esigere un termine nuovo -, salvo poi risolvere il rapporto di opposizione fra l’emprunt e l’allegation montaignana nel comune inglobamento in un progetto di etica anti-autoritaria del discorso nel quale esse risulteranno affini.
Nondimeno, segnaliamo che la contrapposizione fra emprunt e allegation vale solo in merito al modo in cui si presenta l’enunciato ripetuto, e che, in quanto tale, non può estendersi alla procedura citazionale complessiva che le determina. Difatti, l’enunciato ripetuto costituisce soltanto l’effetto visibile dell’operazione citazionale, e, da solo, non rende conto della complessità delle relazioni di corrispondenza che tale operazione provoca fra il testo citante e il testo citato112.
Quindi, con la nostra ipotesi sugli effetti antidogmatici dell’emprunt intendiamo far luce solo su uno dei possibili effetti ricercati da Montaigne, senza pretendere di risolvere in
111 Per l’assortimento reciproco fra allegation e emprunt, cfr. p. 54 n. 109 e A.C
OMPAGNON, cit, p. 292-5. 112 A.COMPAGNON, 36-7. Per una stilizzazione della relazione multipla di corrispondenza fra testo citante e testo citato, cfr. A.JACOMUZZI, La citazione come procedimento letterario, in ID., pp. 5 e sg. La citazione
56 modo definitivo la questione della citazione nei Saggi, né di invalidare le ipotesi già formulate.
Al contrario, ci avvaliamo degli studi precedenti e della particolare prospettiva esplicativa rappresentata dallo stesso Montaigne, che nei Saggi riveste il doppio ruolo di scrittore e di critico letterario di se medesimo.
Leggendo le dichiarazioni di Montaigne, però, ci accorgiamo di non poterle considerare esaustive, dal momento che il filosofo chiarisce solo i modelli d’uso dai quali si distanzia - quelli dell’erudizione e della pedanteria -, ma non spiega in modo chiaro né perché se ne distanzia, né quali modelli d’uso intenda praticare.
Più precisamente: Montaigne formula dichiarazioni esplicite anche riguardo le ultime due questioni, ma le concezioni implicite cui solamente accenna contraddicono le prime o, comunque, le superano:
«[A] Non metto affatto in dubbio che mi accada spesso di parlare di cose che sono trattate meglio dai maestri del mestiere, e con più verità. Questo è soltanto il saggio delle mie facoltà naturali, e in nessun modo di quelle acquisite; e chi mi taccerà d’ignoranza non mi farà torto, poiché a fatica risponderei dei miei ragionamenti ad altri, io che non ne rispondo a me stesso, e non ne sono soddisfatto. Chi va in cerca di scienza, la vada a pescare dove si trova: non c’è nulla di cui io faccia meno professione. Queste sono le mie fantasie, con le quali non cerco affatto di conoscere le cose, ma me stesso. […]. [C] E se sono uno che qualcosa legge, sono anche uno che nulla ritiene. [A] Così non garantisco alcuna certezza, se non di far conoscere fino a che punto arriva, per il momento, la conoscenza che ne ho io. Non si badi agli argomenti, ma al modo come li tratto. [C] Si veda, in ciò che prendo a prestito, se ho saputo scegliere di che dar lustro al mio discorso. Poiché faccio dire agli altri quello che non so dire altrettanto bene, sia per insufficienza di linguaggio, sia per insufficienza di senno. Non conto i miei prestiti, li soppeso. E se avessi voluto farli valere per il mio numero, me ne sarei caricato due volte tanto. Sono tutti, o poco ci manca, di nomi tanto famosi o antichi che mi sembra si raccomandino abbastanza senza di me. Dei ragionamenti e delle idee che trapianto al mio terreno e confondo ai miei, a volte ho omesso appositamente di indicare l’autore, per tenere a freno la temerarità di quei giudizi affrettati che si danno di ogni sorta di scritti. […]. Voglio che diano un buffetto sul naso mio, e che si
57 accalorino a ingiuriare Seneca in me. Bisogna che nasconda la mia debolezza sotto quelle
grandi autorità. Vorrei che qualcuno sapesse strapparmi le penne non mie»113.
Fra le dichiarazioni esplicite che compaiono, ne distinguiamo quattro. Due riferite all’uso di citare [C], e due riferite in maniera generale al modo di pensare e di scrivere [A]. Per quanto riguarda le prime, Montaigne dichiara di servirsi delle citazioni senza alcun esibizionismo erudito e solo per sopperire alle proprie «insufficienze di senno e di linguaggio». Per quanto riguarda la concezione generale sul modo di pensare, Montaigne rivendica il diritto di asservire ogni esperienza alla conoscenza di se stesso e il riconoscimento dell’originalità rielaborativa di ogni argomento trattato.
Inoltre, ancora in merito alle citazioni - e, precisamente, in merito all’uso di non indicarne l’autore né l’opera originari -, il filosofo dice di trattenere ben poco di ciò che legge, e di preferire l’impegno a soppesare le citazioni piuttosto che quello ad accumularle col solo scopo di esibire una cultura libresca.
Pertanto, facciamo notare che la composizione logica di queste quattro dichiarazioni fa emergere contenuti nascosti dalla sovraimpressione di anti-eruditismo e di inferiorità intellettuale dichiarati riguardo al modo di citare. E facciamo notare che, scrivendo nel manoscritto di Bordeaux di voler soppesare le citazioni e di non trattenere le informazioni dei libri letti, Montaigne modifica anche le affermazioni precedenti.
Infatti, benché possa sembrare che semplicemente ribadisca la propria incapacità e il proprio anti-eruditismo - ed è questo, probabilmente, l’effetto allusivo ricercato -, Montaigne ricollega le dichiarazioni a problematiche apparentemente distanti, e rende possibile comprendere contenuti non intellegibili ad una lettura superficiale e limitata a questo brano, come tenteremo di portare in luce114.
All’inizio del capitolo II 10, Montaigne afferma di non essersi interessato a niente con rigore scientifico, avendo considerato ogni argomento come pretesto di un esame autoriflessivo e non come materia di studio fine a se stessa, e accennando così anche al modo specifico di usare i libri, neanch’essi beneficiari di interesse scientifico. Ed Infatti, il
113 Saggi, II 10, p. 725. Indichiamo con [
A]il testo edito alla prima stesura dei Saggi (tra il 1580 e il 1582), e con [C] le addizioni riscontrate nel manoscritto di Bordeaux.
114
Per uno studio delle relazioni che varianti e addizioni successive instaurano col testo primitivo, fino a modificarlo e a metterne in luce contenuti impliciti, cfr. A.TOURNON, La glose et l’essai, Lione, 1983, pp. 18-58. In particolare per il passo analizzato, penso opportuno parlare della reinterpretazione, definita a pp. 45-52. Infatti, Montaigne sembra riconsiderare le precedenti affermazioni anti-erudite alla luce della posteriore riflessione sulle citazioni, sviluppando contenuti imprevisti alla lo stesura primitiva.
58 filosofo francese afferma di leggere per imparare ad esprimersi meglio e a dare un ordinamento alla propria vita interiore; dunque, non dobbiamo stupirci che, giudicando la perizia filologica e storiografica irrilevante ai fini della formazione, egli non rispetti senso né sintassi iniziali delle citazioni, né che ometta di indicare le loro fonti. Tanto meno, dobbiamo credere alla sincerità dei passi dove attribuisce modificazioni e inesattezze delle citazioni alla propria inferiorità intellettuale, alla propria negligenza e alla propria smemoratezza.
Riguardo all’opportunismo con cui Montaigne nasconde dietro la propria presunta incompetenza la volontà di manipolare le citazioni, abbiamo già ricordato il brano del capitolo Dell’educazione dei fanciulli, dove il filosofo ammette di torcere una sentenza per adattarla a sé piuttosto che modificare il corso dei propri pensieri per rispettare il suo senso originario115. Inoltre, nel brano tratto da Dei libri che stiamo analizzando, Montaigne consiglia di valutare il proprio modo di citare non dal materiale verbale che ripete - se riproduce in modo più o meno esatto l’enunciato originale -, ma dal modo in cui lo usa - se ha saputo scegliere l’enunciato più appropriato116
-, come a reclamare il proprio valore e la propria autonomia.
Nonostante la portata inequivocabile di questi brani, nei Saggi ci sono pochi altri passi dove Montaigne dichiara apertamente la propria attitudine competitiva verso gli autori che cita, mentre sono molto più consuete le dichiarazioni di gratitudine e di soggezione intellettuale. Perciò, per rintracciare altri indizi a favore dell’intenzionalità critica dell’omissione delle fonti e della deformazione delle citazioni, occorre soffermarci su un altro tipo di dichiarazioni, cioè quelle riferite alla negligenza e alla smemoratezza.
Infatti, Montaigne attribuisce modifiche, inesattezze e lacune a smemoratezza e negligenza. Tuttavia pensiamo difficile credere all’imbarazzo dichiarato nel seguente brano:
«Mi aiuto a perdere quello che tengo particolarmente custodito. La mia memoria è il ricettacolo e l’astuccio della scienza: avendola molto difettosa, non ho troppo da lagnarmi se non so molto. So in genere il nome delle arti, e ciò di cui trattano, ma niente di più. Sfoglio i libri, non li studio. Quello che me ne resta, è cosa che non riconosco più essere d’altri. Di
115 Saggi I 26, p. 311. 116 Cfr. J.S
TAROBINSKI, Montaigne. Il paradosso dell’apparenza, cit., pp. 148 e sgg. Secondo Starobinski rivendicazione della capacità di soppesare le citazioni e modificazione di senso e sintassi originali servono a Montaigne a ristabilire un rapporto paritario con gli autori citati.
59 questo soltanto il mio giudizio ha fatto profitto: i ragionamenti e le idee di cui s’è imbevuto.
L’autore, il luogo, le parole e altre circostanze le dimentico subito. […]. Chi volesse sapere di dove sono tratti i versi e gli esempi che ho ammassato qui, mi metterebbe in imbarazzo per dirglielo. Eppure non li ho mendicati che a porte conosciute e famose, non contentandomi che fossero ricchi, se non venivano anche da mano ricca e onorevole: l’autorità vi concorre quanto la ragione. Non c’è molto da meravigliarsi se il mio libro segue la sorte degli altri libri, e se la mia memoria si lascia sfuggire tanto quello che scrivo quanto quello che leggo, e quello che do quanto quello che ricevo»117.
se lo confrontiamo con quest’altro:
«Non gli chieda [il precettore al ragazzo] conto soltanto delle parole della sua lezione, ma del senso e della sostanza, e giudichi del profitto che ne avrà tratto non dalle prove della sua memoria, ma della sua vita. Ciò che avrà imparato glielo faccia esporre in cento guise e adattare ad altrettanti soggetti diversi, per vedere se l’ha anche afferrato bene e fatto veramente suo. […]. È segno d’imbarazzo di stomaco e d’indigestione rigettare il cibo come lo si è inghiottito. Lo stomaco non ha compiuto la sua operazione se non ha fatto cambiare aspetto e forma a quello che gli si era dato da digerire. La nostra anima non si muove che sulla parola altrui, legata e costretta dalla brama delle fantasie di altri, serva e prigioniera sotto l’autorità del loro insegnamento. […]. Infatti, se abbraccia le opinioni di Senofonte e di Platone per suo proprio ragionamento, non saranno più le loro, saranno le sue. Chi segue un altro, non segue nulla. Non trova nulla, anzi non cerca nulla. Non siamo sottoposti a un re;
ognuno disponga di se stesso. Che almeno, egli sappia che sa. Bisogna che assorba i loro
umori, non che impari i loro precetti. E che dimentichi pure arditamente, se vuole, ma che sappia appropriarseli. La verità e la ragione sono comuni a ognuno, e non sono di chi le ha dette prima più di chi le ha dette poi»118.
Rivolto all’amica Madame de Foix in attesa di un bambino, Montaigne consiglia un tipo di educazione improntato all’appropriazione e all’elaborazione personale, dove la modificazione delle parole altrui è pratica da incoraggiare piuttosto che da correggere, ché segnala che l’apprendimento è avvenuto nel modo giusto. L’errore più grave che Montaigne imputa all’acculturamento erudito è, infatti, di affollare la memoria di enunciati
117 Saggi, II 17, pp. 1207 e sg.
118 Saggi I 26, pp. 271 e sg. Il corsivo fra parantesi quadre è mio. Il corsivo è Seneca, Epistole 33. In nota, Garavini segnala una modificazione grammaticale da parte di Montaigne.
60 autorevoli invece di sollecitare la capacità di comprenderli e giudicarli in modo critico; perciò, quando il filosofo si scusa di aver dimenticato autore, luogo e parole dei pensieri assorbiti dai libri letti, in realtà sta proclamando se stesso come l’ideale pedagogico da realizzare. E, nondimeno, quando dice di leggere solo per esercitare il giudizio e non la memoria119, ha come bersaglio polemico proprio tale cultura pedantesca, che ha fatto della lettura un’«occupazione languida e fiacca»120
che non reca alcun beneficio allo spirito. Alla luce di questi confronti testuali possiamo, perciò, considerare smentite le giustificazioni di inferiorità, negligenza e smemoratezza, - che sono quelle grazie alle quali Montaigne descrive il proprio modo particolare di citare -, e possiamo sgomberare il campo alle vere motivazioni dell’emprunt.
119 Saggi III 3, p. 1515.
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