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Dall’esposizione delle opinioni ad un esame critico della capacità di giudizio.

II. L’ ATTITUDINE SCETTICA : OSSERVAZIONE DI SÉ E INCOSTANZA DEL GIUDIZIO

III.4. Dall’esposizione delle opinioni ad un esame critico della capacità di giudizio.

Nonostante menzioni di rado l’identità degli autori che cita, Montaigne rivendica in modo costante la propria identità come soggetto enunciativo. Tanto che formula spesso discorsi in prima persona, pur inglobandoli in ampie cornici costituite da aneddoti e da citazioni altrui, dove fa continuamente trapassare i propri discorsi in prima persona a formulazioni in prima e terza persona plurali. Tuttavia, anche se questo trapasso perpetuo dal soggetto alla prima persona alle altre persone potrebbe sembrare il «paradosso maggiore»150 per «un libro consunstanziale al suo autore», in realtà esso costituisce il motivo della sua riuscita. Abbiamo già parlato del brano in cui Montaigne elenca le «parole che addolciscono e moderano la temerarità delle nostre dichiarazioni», e abbiamo parlato del particolare valore antidogmatico assunto da «Si dice». Adesso, però, portiamo l’attenzione su un’altra espressione:

«Parliamo di tutte le cose in forma precettiva e asseverativa. La procedura a Roma voleva che anche quello che un testimone deponeva avendolo visto con i propri occhi, e quello che un giudice stabiliva in base alla sua scienza più sicura, fosse espresso con questa formula: «Mi sembra». Mi si fanno odiare le cose verosimili quando mi vengono date per infallibili»151.

In questo passo Montaigne promuove un modo di parlare dove la soggettività del locutore, resa evidente da «Mi sembra», segnala la natura prospettica e contingente dell’enunciazione. Ma anche se può sembrare che il filosofo francese usi le espressioni «Io penso», «Io trovo», «Mi sembra» solo per dare valore dubitativo alle proprie enunciazioni, in realtà le usa per segnalare il passaggio fra due livelli diversi del discorso.

Pensiamo, infatti, che Montaigne articoli i discorsi dei Saggi su due livelli; che adibisca il livello superficiale dei propri discorsi all’esposizione di opinioni e di aneddoti propri o altrui; e che, a questo primo livello, nasconda la propria individualità camuffandosi da semplice porta-voce, o frammentandola nei continui cambiamenti di opinione.

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La formula è di Jules Brody, che riconduce l’aspetto polifonico della scrittura di Montaigne all’intenzione di costituire i capitoli dei Saggi come conglomerati di «isole dialogiche» in cui coinvolgere anche il lettore. Cfr. J.BRODY, Entre l’écrit et l’oral de l’art de conférer (III 8) , in ID., Nouvelles lectures de Montaigne, Parigi 1994, pp. 100-2.

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75 Parlando in prima persona, invece, Montaigne segnala il trapasso da questo livello superficiale ad un secondo livello, rispetto al quale il primo costituisce lo strato di nascondimento - esponendo opinioni altrui, il filosofo dissimula le proprie concezioni - e il pretesto - riflettendo sulle opinioni altrui, il filosofo presenta le proprie opinioni ad esse relative:

«Il giudizio è un utensile buono a tutto, e s’impiccia di tutto. Per questo, nei saggi che faccio qui, mi servo di qualsiasi occasione. Se c’è un argomento di cui non m’intendo affatto, proprio per questo lo saggio, sondando il guado molto da lontano; e poi, se lo trovo troppo profondo per la mia statura, mi tengo vicino alla riva. E questo riconoscere di non poter andare oltre è una manifestazione della sua efficacia, anzi, una di quelle di cui più si vanta. Talvolta, su un argomento vano e da nulla, provo a vedere se troverà modo di dargli corpo e di sostenerlo e puntellarlo. Talvolta lo porto su un argomento nobile e travagliato, nel quale non deve trovar niente da sé, poiché il cammino è tanto battuto che può procedere solo sulle orme altrui. Qui fa il proprio gioco indicando la strada che gli sembra migliore e, fra mille sentieri, dice che questo oppure quello è stato il migliore scelto. Prendo a caso il primo argomento. Tutti mi vanno ugualmente bene. E non mi propongo mai di trattarli per intero. Infatti non vedo il tutto di nulla. E non lo vedono nemmeno coloro che promettono di farcelo vedere. […]. Mi arrischierei a trattare a fondo qualche materia se mi conoscessi meno. Seminando qui una parola, là un’altra, scampoli staccati dalla loro pezza, slegati, senza disegno e senza promessa, non sono tenuto a trattare la questione fino in fondo. Né a tenermici attaccato, senza cambiare quando mi piace. E arrendermi al dubbio e all’incertezza e alla mia forma dominante, che è l’ignoranza»152.

Come Defaux, pensiamo che la scrittura dei Saggi si articoli su un «doppio registro»; che al primo livello Montaigne scriva con un’intenzione meramente espositiva; e che al secondo livello - implicito e intellegibile solo ai «lettori perspicaci» - manifesti le tracce della propria riflessione sulle idee precedentemente esposte153. E, infine, riteniamo che il filosofo moltiplichi il numero delle opinioni che espone, per esercitare il proprio giudizio su un piano discorsivo non intellegibile ai lettori comuni.

152 Saggi I 50, pp. 537 e sg.

153 G.DEFAUX, Readings of Montaigne, trad. ing. da J.A. Gallucci ,«Yale French Studies», LXIV (1983), pp. 73-92; cfr. soprattutto pp. 88-91. Per uno studio sulle funzioni della prima persona singolare nei Saggi, cfr. F. JOUKOVSKY, Qui parle dans le livre III des “Essais”, cit., p. 820-7, dove l’autore considera la menzione del pronome personale Je e l’uso del presente come contrassegni del passaggio al piano della riflessione soggettiva e contingente. Per il valore auto-relativizzante del pronome Je, cfr. A.TOURNON, La glose et

76 Rileggendo il passo del capitolo Riflessione su Cicerone, notiamo, peraltro, una certa consonanza con la protesta contro lo studio di libri diretto al solo esercizio della memoria:

«Il giudizio è un utensile buono a tutto, e si impiccia di tutto. Per questo, nei saggi che faccio qui, mi servo di qualsiasi occasione. Se c’è un argomento di cui non m’intendo affatto, proprio per questo lo saggio, sondando il guado molto da lontano; e poi, se lo trovo troppo profondo per la mia statura, mi tengo vicino alla riva. […]. Talvolta lo porto su un argomento nobile e travagliato, nel quale non deve trovar niente da sé, poiché il cammino è tanto battuto che può procedere solo sulle orme altrui».

«Meditare è uno studio potente e pieno per chi sa tastarsi e impegnarsi vigorosamente. Io preferisco foggiare la mia anima che guarnirla. […]. La lettura mi serve mi serve in special modo a svegliare con diversi oggetti il mio ragionamento, a far lavorare il mio giudizio, non la mia memoria»154.

Ma considerando le opinioni antiche come mera materia di esercizio, Montaigne accentua la propria disattenzione nei confronti delle citazioni che effettua, e all’indifferenza per i dati filologici e storiografici aggiunge quella per il loro contenuto:

«Mi importa poco della materia, e le opinioni per me sono tutte uguali, e la vittoria dell’argomento pressappoco indifferente»155

.

Nell’Apologia di Raimond Sebond, inoltre, Montaigne porta alle estreme conseguenze quest’indifferentismo tematico, al punto da livellare tutte le opinioni antiche a esercizi di pirronismo dissimulato:

«[Per Quanto riguarda la riflessione dei filosofi dogmatici] si tratta, in realtà, di un pirronismo sotto forma risolutiva. […]. Crisippo diceva che quello che Platone e Aristotele

154 III 3, p. 1515.

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77 avevano scritto della logica, lo avevano scritto per gioco e per esercizio; e non poteva

credere che avessero parlato seriamente di una materia così vana».

«La maggior parte delle arti sono state disprezzate dallo stesso sapere. Ma essi [i filosofi

dogmatici] non hanno pensato che fosse fuori proposito esercitare e divagare il loro spirito

con cose nelle quali non c’era alcun solido profitto».

«Hanno un modo di scrivere dubitoso nella sostanza e il loro proposito è indagare piuttosto che ammaestrare, sebbene intercalino al loro linguaggi cadenza dogmatiche»156.

Perciò, alla luce di questa estremizzazione provocatoria, intendiamo riconsiderare le ragioni per le quali Montaigne rifiuta di contrapporsi alle opinioni antiche, per scoprirne le intenzioni scettiche nascoste. E, in particolar modo, intendiamo collocarle in seno ad un più ampio progetto, teso alla composizione di discorsi zetetici.

Pensiamo, infatti, che Montaigne si senta all’altezza del confronto con i grandi autori, e che eviti di contrapporre la propria alle loro opinioni per scampare alla constatazione della loro equivalenza e alla conseguente cessazione della ricerca. Ancor più precisamente, riteniamo che, ammettendo che nessuna opinione rappresenti la realtà, egli trascuri il contenuto di ognuna di esse; e che, considerandole solo per l’effetto provocato dalla loro accumulazione, ammassi opinioni e citazioni per porre il lettore al cospetto di un numero indefinito di prospettive fra cui oscillare senza giungere a decisione definiva.

156 Saggi II 12, p. 919-923. Nella postilla al capitolo II 12, Fausta Garavini parla di «cripto-pirronismo»; cfr. Saggi, p. 2380. Il corsivo fra parentesi quadre è mio.

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