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È qui opportuno sottolineare la differenza esistente tra il concetto di cittadinanza e quello di nazionalità. Quest’ultimo indica parimenti l’appartenenza di un soggetto ad una comunità ma il discrimine tra i due termini si gioca sulla natura di tale gruppo di riferimento. I connazionali infatti sono coloro che - aventi le medesime radici culturali, storiche, etniche nonché linguistiche – si riconoscono come tali. La “comunità nazionale” è dunque composta da coloro che condividono costumi, tradizioni e cultura loro tramandati e che sono accumunati dall’educazione

ricevuta, dalla legge cui sono soggetti e dal modo in cui si procurano i mezzi di sussistenza125.

La nazionalità è dunque null’altro che un istituto giuridico attraverso cui il singolo viene

ricollegato ad uno Stato, in modo originale e derivato126.

Codesto substrato socio-valoriale non necessariamente però si organizza, dando vita ad una struttura politica complessa quale quella statale. È qui infatti che si inserisce la nozione di cittadinanza che lega l’individuo ad una determinata entità statale. La nazione preesiste e resiste nonostante lo Stato; la cittadinanza esiste esclusivamente in relazione all’ordinamento statale, che decide a chi e con che modalità riconoscere la condizione giuridica. Se in molti casi le due categorie tendono a sovrapporsi, ciò non è però necessario, avendosi numerose esperienze – come la Svizzera e il Belgio – in cui diverse nazionalità e ceppi etnici convivono accumunati dalla medesima cittadinanza. All’opposto, vi sono altresì casi in cui gli appartenenti ad una medesima nazionalità posseggono stati di cittadinanza diversa (emblematico è l’esempio dei curdi). Diverso

123 In tal senso si sono espressi, ex multis, Rainer BAUBÖCK, Transnational citizenship: Membership and rights in

international migration, Edward Elgar Publishing, 1994 , p. 348 nonché T.H. MARSHALL, Citizenship and social class and other essays, Cambridge University Press, 1950, pp.11 e ss.

124 Noëlle MCAFEE, Habermas, Kristeva, and Citizenship, Cornell University Press, 2000, p. 182.

125 David J. SMITH, John HIDEN, Ethnic Diversity and the Nation State. National cultural autonomy revisited,

Routledge, 2012, p. 10.

126 Pablo Antonio FERNANDEZ SANCHEZ, “Cittadinanza, nazionalità e immigrazione” in Angela DI STASI (a cura

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ancora il caso della cittadinanza europea (di cui si dirà meglio più avanti), rapporto stante ad indicare l’appartenenza ad un’entità sovrastatale nonché ad una dimensione regionale, quale quella dell’Unione Europea appunto, ricomprendente ceppi etnici e linguistici differenti.

La cittadinanza guarda invero al popolo, terzo dei tre pilastri su cui si basa il concetto di Stato. Esso viene tradizionalmente impiegato per designare la comunità di tutti coloro ai quali

l’ordinamento giuridico statale assegna lo status di cittadino127. Tale riconoscimento implica

l’attribuzione di una serie di diritti e doveri che mettono in relazione il singolo con l’apparato

statale e presuppone la comunanza di valori128, interessi, ideali (il cosiddetto Volksgeist per

riprendere un’espressione della dottrina tedesca129) che rendono il singolo partecipe

dell’organizzazione e dell’indirizzo finalistico dello Stato di appartenenza.

Si ammette allora che tra i cittadini vi sia un comune sentire che attraversa la storia e i cambiamenti politici, in virtù della permanenza di un vincolo associativo che li faccia sentire

parte di una comunità territorialmente localizzata e unica nel suo genere130. È anche per tale

motivo che nel definire il vincolo di cittadinanza, le scienze giuridiche si intrecciano con le scienze sociali, volendo intendere tale concetto in senso ampio e non in senso ristretto, oggetto di interesse del giurista quanto del politologo.

Orbene, con l’apertura delle frontiere, con la circolazione di merci e persone nonché con l’intensificarsi dei fenomeni migratori, tale ricostruzione dello Stato - come monade nel panorama internazionale - non pare più adatto a descrivere la realtà contemporanea, animata da molteplici istanze provenienti da una società civile fattasi composita e variegata al suo interno. Viene dunque meno quella omogeneità e compattezza culturale di cui si disquisiva sopra, per fare invece spazio a realtà nuove, portatrici di interessi diversi e inediti. Vengono dunque a cadere gli assi cartesiani (territorio, popolo e sovranità) lungo cui era stato disegnato il concetto di

cittadinanza moderno131. Con tale termine, sempre di più, sembrerebbe indicarsi una condizione

atta ad assicurare il riconoscimento e godimento di determinati diritti, indipendentemente dal portato valoriale e culturale del soggetto. Nasce quindi quella che Kymlicka non ha esitato a

127 Temistocle MARTINES, Diritto costituzionale, Giuffré Editore, Milano, 2017, p.148.

128 Celebre, a tale proposito, è il pensiero di Peter HÄBERLE, racchiuso nel volume Costituzione e identità culturale

(Milano, Giuffrè, 2006), secondo cui la comunanza culturale rappresenta un’importante strumento di coesione ed integrazione sociale, paragonando l’identità culturale di uno Stato all’individualità costituzionale dello stesso per cui partecipando e condividendo le tradizioni e il portato culturale si finisce, in fondo, per accettare ed aderire all’ordine costituzionale e ai suoi valori.

129 Su tutti, circa la dottrina organica e storicistica dello Stato, uno dei contributi maggiori si deve a Von Savigny, F.K., e

alla sua opera System des heutingen röminschen Rechts (Sistema del diritto romano attuale) datata 1840.

130 Temistocle MARTINES, op. cit., pp. 150-152. 131 Carlo LUCIONI, op. cit., p.51.

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definire la cittadinanza multiculturale132. In essa, infatti, accanto al classico rapporto tra

individuo e Stato, basato sul riconoscimento di diritti civili, politici e sociali in funzione dell’inclusione del cittadino nella gestione della res publica, trovano infatti asilo rivendicazioni nuove che indentificano il soggetto non in quanto singolo ma in quanto membro e parte di una

collettività che si riconosce in determinate pratiche culturali133. Il futuro della cittadinanza – in

realtà come quelle appena descritte – sembrerebbe allora essere votato alla neutralità e all’abbandono di ogni retaggio delle peculiari comunità di riferimento, in favore dell’affermazione della superiorità della dignità umana universale. Solo così parrebbe potersi superare la frammentazione e la divisione intestina alla popolazione, generate dal discorso multiculturale134.

In ogni caso, nonostante le trasformazioni cui il concetto di cittadinanza pare andare incontro, deve sottolinearsi una costante che rappresenta la vera cifra distintiva e di valore dello status di cui si parla. È vero infatti che l’attribuzione di diritti (e doveri) sottintende la partecipazione alla

definizione delle sorti dello Stato stesso, ovvero il conferimento del potere sovrano al popolo135

(e dunque dai cittadini) ed espresso nonché esercitato mediante la fruizione dei diritti politici, primo fra tutti quelli elettorali (sia di voto attivo che passivo). Lo studio della cittadinanza riguarda in fondo l’analisi delle dinamiche sussistenti tra autorità e libertà all’interno dei confini statali.

Ad oggi, però, la situazione appare altresì più complessa, posto che – per influenza del diritto internazionale e grazie alla diffusione di standard minimi universalmente (o quasi) accettati – i diritti sempre meno risultano essere riconosciuti in base al rapporto di cittadinanza. I diritti umani fondamentali vengono, ad esempio, ricondotti a Dichiarazioni Universali che prescindono dal rapporto di cittadinanza dell’individuo con lo Stato in cui si trova a vivere, avendo dunque una fonte extranazionale che ne garantisce il riconoscimento all’umanità in quanto tale, all’essere umano di per sé considerato. Sorgono pertanto problematiche prima sconosciute che impongono una riflessione sul contenuto residuo del rapporto di appartenenza che distingue il cittadino da chi non lo è136.

132 Tale concetto è stato ampiamente sviluppato in Will KYMLICKA, Multicultural Citizenship: A Liberal Theory of

minority Right,Clarendon Press, Oxford, 1995. In realtà l’Autore fa proprie due diverse sfumature di significato per cui il

termine “multiculturalismo” viene impiegato per descrivere le differenze culturali ed etniche mentre il vocabolo “cultura” viene impiegato al fine di indicare una nazione, nel senso di popolo (p. 18).

133 Si pensi a tale proposito alla dottrina di Häberle secondo cui la Costituzione incarna non soltanto l’ordinamento

giuridico ma anche il mezzo attraverso cui il popolo si autorappresenta, esprimendo la propria cultura ed identità. Il concetto è rinvenibile in Peter HÄBERLE, op. cit., Giuffré, 2006, p. 11.

134 Antonia BARAGGIA, op. cit.

135 In questo passo, chiaro è il riferimento, ex multis, alla Carta costituzionale Italiana che all’art. 1 co. II recita: “La

sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

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Ulteriore questione è quella che parrebbe mettere in dubbio il binomio cittadinanza-Stato nazione. Se infatti si parte dall’assunto per cui la Nazione costituisce una comunità in cui vige l’unità degli intenti e dei valori, tale assioma risulta essere sconfessato nella realtà contemporanea. L’intensificarsi dei fenomeni migratori e la consequenziale trasformazione delle società in chiave sempre più pluralista e multiculturale fanno sì, infatti, che il patrimonio valoriale condiviso e monolitico si disgreghi, pressato da esperienze altre e da modelli culturali differenti. Il panorama qui delineato apre allora ad interrogativi e riformulazioni sia circa il concetto di cittadinanza stesso quanto in merito alle modalità per potere accedere/concedere tale status e dunque partecipare al potere statale.