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CAPITOLO TERZO L’ITALIA

4. Sui diritti politic

Il riconoscimento dei diritti politici ai non-cittadini risulta essere questione dibattuta per la sua complessità da tempo immemore. Nel Novecento, autori autorevoli avevano limpidamente rifiutato qualsiasi opzione di inclusione politica dello straniero, ritenendo che la democrazia potesse fondarsi unicamente sull’eliminazione dell’eterogeneo e sulla autentica omogeneità del

popolo700. L’asserita permanente validità della ricostruzione appare però oggi debole a fronte

dell’innegabile commistione sociale e del proliferare della mescolanza tra popoli, che impone dunque un ripensamento circa l’opportunità o meno di ammettere il non-cittadino all’esercizio e godimento dei diritti politici.

Per quanto riguarda l’Italia, l’ostacolo più evidente deve rintracciarsi nel testo costituzionale posto che l’art. 48 Cost. è lapidario nel riconoscere il diritto di voto attivo e passivo ai soli

697 Graziella ROMEO, op. cit., pp. 182-183.

698 Laura RONCHETTI (a cura di), op. cit. 2012, p. 53. 699 Andrea LOLLO, op. cit., p. 216.

700 Il riferimento è alla dottrina di Carl SCHMITT e in particolare al suo volume La condizione storico-spirituale

dell'odierno parlamentarismo (1923). Cfr. Antonino SCALONE, “Comunità, identità e omogeneità fra Schmitt, Heller E

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cittadini come pure il diritto di associazione partitica democratica di cui alla seguente

disposizione701; situazione che pare complicarsi ulteriormente qualora si tengano in

considerazione anche gli artt. 17 e 18 Cost che accordano il diritto di riunione e associazione ai soli cittadini. Non può comunque sottacersi come parte della dottrina abbia interpretato il combinato disposto dagli artt. 48 e 51 della Costituzione in chiave positiva, rintracciandovi unicamente una garanzia per cittadini e non una barriera per l’estensione dei diritti politici agli stranieri. È stato difatti argomentato come dal testo delle disposizioni non è possibile ricavare un divieto espresso di accordare il diritto di voto attivo e passivo ai non-cittadini, non potendosi rinvenire ermeneuticamente alcuna esplicita esclusione degli stranieri dal godimento da tale

gamma di diritti702.

Se dal legislatore nazionale non sembrano essere state portate avanti iniziative degne di nota nella materia, più attivo si è invece rivelato il legislatore locale, ovvero regionale. Esempi significativi – su cui la Consulta è stata chiamata ad interrogarsi nel merito – sono rappresentati delle previsioni normative di cui agli Statuti della Toscana, dell’Umbria e dell’Emilia Romagna con cui si é promossa l’estensione del diritto di voto agli immigrati (residenti, si specificava nel terzo caso), tentativi lungimiranti e ottimistici arrestati però dall’evidenza del dettato normativo

in vigore703. Le questionate disposizioni sono state infatti analizzate dalla Corte Costituzionale

in relazione agli artt. 1, 48, 117, 121 e 122 Cost. Nello specifico, le pronunce della Corte sono apparse piuttosto singolari, non tanto per l’iter argomentativo adoperato nel decidere sui diritti politici del non-cittadino quanto per l’esito finale complessivo. I giudici hanno in breve ritenuto che – sebbene ritenute legittime in qualità di espressione del ruolo politico delle Regioni anche in assenza di una competenza regionale in materia – le stesse disposizioni erano da considerarsi

prive di efficacia giuridica poiché unicamente programmatiche704. Ebbene, la Consulta, in modo

opinabile, é giunta ad accordare la piena legittimità alle vexatae disposizioni - seppur ribadendo la competenza esclusiva dello Stato nella definizione di quelle norme volte a disciplinare la

701 Si può a tale proposito riportare alla memoria il cosiddetto “Caso Jean Fabre” per cui – nel 1979 – il Presidente della

Repubblica Pertini si rifiutò di convocare a consultazioni il segretario del partito radicale poiché straniero (francese). Se difatti la legge non vieta allo straniero di iscriversi ad un partito, il Presidente ritenne che - per effetto del combinato disposto degli artt. 48 e 67 Cost. – allo straniero, seppure militante, non potessero essere riconosciuti i diritti politici espressamente riservati al cittadino.

702 Silvia Antonella FREGO LUPPI, “Migrants’ voting rights: models of participation”, in Ennio CODINI and Marina

D’ODORICO, op. cit., p. 150.

703 Corte Costituzionale, sentenze nn. 372, 378 e 379 del 2004.

704 Renzo DICKMANN, “Le sentenze della corte sull’inefficacia giuridica delle disposizioni ‘programmatiche’ degli

statuti ordinari (nota a Corte Cost., 2 dicembre 2004, n. 372, e 6 dicembre 2004, nn. 378 e 379)”, in Federalismi.it, n. 3, 2005; Antonio RUGGERI, “Gli statuti regionali alla Consulta e la vittoria di Pirro”, in Forum di Quaderni Costituzionali, pubblicato online il 9 dicembre 2004 e Adele ANZON, “L’ ‘inefficacia giuridica’ di norme ‘programmatiche’”, in

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condizione giuridica dello straniero – escludendo però che le summenzionate norme aprissero di fatto ad una partecipazione effettiva dello straniero alla vita pubblica e politica locale.

Stessa cattiva sorte risulta altresì essere toccata agli Statuti comunali di Genova e Forlì nella parte in cui disciplinavano il diritto di voto degli stranieri alle elezioni locali. In tali casi, la questione è stata posta all’attenzione del Consiglio di Stato il quale, con pareri, ha sostenuto la non sussistenza di limiti di rango costituzionale - ex art. 48 e 51 Cost. - alla estensione del diritto

di voto tramite legge ordinaria705. Per completezza, appare infatti opportuno citarsi l’art. 8 del D.

Lgs. 267/2000706 - sulla partecipazione popolare - il quale esorta l’amministrazione comunale

proprio a favorire il coinvolgimento dello straniero regolarmente soggiornante alla vita pubblica

locale707. Il motivo per cui suddetti statuti dovevano comunque ritenersi illegittimi era invece da

individuarsi nella competenza esclusiva statale in riferimento alla legislazione elettorale dei comuni, ai sensi dell’art. 117 Cost, prevalentemente per ragioni di uniformità diffusa su tutto il territorio nazionale708.

Procedendo oltre, deve rilevarsi come accanto alla dimensione rappresentativa della democrazia, la Costituzione repubblicana – seppur implicitamente – apra ad un’ulteriore dimensione della vita politica: la democrazia partecipativa. L’art. 3. co. II e l’art. 118 ultimo comma Cost. infatti chiaramente delineano un ruolo attivo dell’individuo nella determinazione della politica nazionale, prevedendo l’uno che il pieno sviluppo della persona umana passi anche attraverso la partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese e l’altro che gli enti locali si adoperino per favorire l’iniziativa autonoma dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. Il testo della Legge fondamentale profila dunque chiaramente un terzo

profilo, accanto a quello del cittadino elettore/rappresentato e del cittadino

militante/rappresentante, ovvero quello del cittadino attivo, dovendosi con tale formula intendersi quei soggetti che in prima persona decidano di partecipare alla vita della comunità,

ponendosi in rapporto diretto con le istituzioni709. Il riferimento è pertanto a quelle forme di

associazionismo e alle iniziative di mobilitazione individuale volte alla sensibilizzazione delle

705 Consiglio di Stato, sez. I, adunanza del 16 marzo 2005.

706Art. 8 Decreto Legislativo 18 Agosto 2000, N. 267 - Testo Unico Delle Leggi Sull’ordinamento Degli Enti Locali: “Lo statuto, ispirandosi ai principi di cui alla legge 8 marzo 1994, n. 203 e al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, promuove forme di partecipazione alla vita pubblica locale dei cittadini dell'Unione europea e degli stranieri regolarmente soggiornanti.”

707 Sul punto, si rimanda al parere del Consiglio di Stato n. 11074/2005 che di fatto – nel negare la facoltà degli statuti

comunali di estendere l’elettorato agli stranieri per le elezioni dei consigli circoscrizionali - apriva invece alla possibile estensione del diritto di voto agli stranieri tramite l’azione del legislatore nazionale, per le elezioni locali.

708Renato FINOCCHI GHERSI, “Immigrati e diritto di voto nell’attività consultiva del Consiglio di Stato”, in Giornale

di Diritto Amministrativo, n. 5, 2006.

709 Gregorio ARENA, “La cittadinanza attiva nella costituzione”, in Fulvio CORTESE, Gianni SANTUCCI, Anna

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autorità e della collettività riguardo ad un tema di interesse comune. Motivato è allora il richiamo al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost, facendo riferimento ad un’accezione maggiormente pluralista e paritaria del termine, volto a valorizzare le potenzialità insiste nella convergenza degli sforzi e delle azioni portate avanti sia dai soggetti pubblici che da quelli privati

nel perseguimento di interessi generali710.

La cittadinanza attiva, quindi, risulta essere epurata da ogni tradizionale residuo ontologico atto a richiamare alla mente i connotati classici della cittadinanza, quali l’appartenenza e la rappresentanza, per farsi invece artefice di un nuovo modo di intendere tale status giuridico, basato sulla cura e definizione degli interessi e del bene comuni e alla gestione solidale e partecipata della vita pubblica, perciò aperta alla inclusione dello straniero.

Tale venatura che attraversa il granitico testo costituzionale, appare però essere passato in secondo piano e non completamente sfruttato e valorizzato dal legislatore nazionale nel definire quelle politiche inerenti il riconoscimento dei diritti politici del non-cittadino. Deve difatti insistersi sul fatto che gli artt. 48 e 49 Cost. riservino chiaramente il diritto di elettorato attivo e passivo nonché la militanza partitica al cittadino, ergendo una barriera testuale alla partecipazione politica dello straniero, escluso in toto dalla possibilità di prendere parte alla vita politica nazionale.

A livello locale, come per il diritto di voto, il “paziente” sembrerebbe godere di migliore salute, stante probabilmente la maggiore prossimità tra governante e comunità. In ossequio

all’articolo 2 del T.U. – che prevede la partecipazione dello straniero alla vita pubblica locale711

- sempre più frequentemente si è fatto ricorso all’adozione di meccanismi che tendano ad

includere il non-cittadino nella vita politica locale712, andando così a creare una duplicità di

sistemi – locale e statale – in cui lo straniero vive una doppia vita lungo i binari dell’inclusione/esclusione dalla partecipazione politica. Ne sono un esempio gli strumenti di democrazia indiretta costituiti dalle Consulte per gli immigrati e dal Consigliere aggiunto (con

titolo a partecipare senza diritto di voto alle sedute del Consiglio Comunale)713, deboli palliativi

ad un problema di mancanza di rappresentanza e inclusione politica sicuramente più profondo.

710 Ivi, p. 246-247.

711 In realtà il d.d.l. Turco - Napolitano prevedeva il diritto di elettorato attivo e passivo allo straniero detentore di regolare

carta di soggiorno. Tale disposizione venne però epurata in sede di approvazione tanto da essere rielaborata nella più ampia e sfumata formulazione attuale. Deve altresì menzionarsi la mancata ratifica da parte dello Stato italiano del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale. Tale capitolo dichiara infatti: “La Convenzione agevola la creazione di organismi consultivi a livello locali eletti da stranieri residenti, in comunità locali aventi sul loro territorio un significante numero di stranieri residenti.”

712 Beniamino CARAVITA DI TORITTO, “I diritti politici dei ‘non cittadini’: ripensare la cittadinanza”, in Associazione

Italiana dei Costituzionalisti, op. cit., p. 144-145.

713 Paolo COLASANTE, “L’attribuzione del diritto di voto ai non cittadini: prospettive di riforma e fonte competente”,

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Ardua questione, alla quale né la dottrina né la giurisprudenza hanno saputo fornire una soluzione unitaria, risulta essere quella della partecipazione dello straniero alla consultazione referendaria. Da un lato, infatti, in un’ottica di inclusione e integrazione tramite la partecipazione attiva alla vita locale, sembrerebbe opportuno permettere anche al non-cittadino di esprimersi in sede di referendum consultivo; dall’altro, però, la partecipazione dello straniero diviene più controversa qualora di tratti di referendum abrogativi o approvativi di norme elaborate da organi

alla cui elezione essi sono di fatto esclusi per legge714.

In conclusione, emerge quindi chiaramente come ancora oggi vi sia una resistenza al riconoscimento dei diritti politici allo straniero che finisce però per cozzare con i principi stessi

della rappresentanza democratica715. Escludendo una fetta consistente della compagine sociale

dai circuiti democratici, infatti, si rischia di arrestare le potenzialità rappresentative del Parlamento e degli altri organi legislativi, non riproducendo a pieno e fedelmente i reali interessi, idee e istanze che animano e fermentano nella collettività di riferimento.