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MULTICULTURALISMO E DIRITTI DI CITTADINANZA

2. Multiculturalismo e cittadinanza: un connubio problematico.

2.1 La cittadinanza alla prova delle migrazion

Ebbene, come già sopra accennato, il tema del rapporto tra multiculturalismo e diritti di cittadinanza – pur essendo risalente nel tempo, guardando a quelle esperienze nazionali che fin dagli arbori si sono trovate a dover regolare la convivenza di plurimi gruppi etnici all’interno dei medesimi confini territoriali – risulta essere tornata in auge, nonché essersi arricchita di nuovi significati negli ultimi anni. Soprattutto se si guarda al Vecchio Continente, la questione appare essersi proposta con forza nel panorama politico e giuridico a seguito dell’incremento del fenomeno delle migrazioni, facendo particolare riferimento ai flussi extra-Europei. Il cosiddetto “straniero” – inserendosi all’interno di una comunità prestabilita e ben delineata dal punto di vista valoriale e tradizionale – porta difatti con sé istanze che il legislatore (così come i giudici nazionali) non hanno potuto ignorare, trovandosi dunque chiamati a risolvere il dilemma del

307 In chiave negativa, la light citizenship deve essere intrepretata come il prodotto della società globale in cui lo Stato ha

finito per perdere di importanza nel panorama internazionale a vantaggio di altri organismi ed istituzioni internazionali. A fronte di ciò, inevitabile è apparso il declino della cittadinanza come status, ovvero sia come condizione giuridica che connette il singolo allo Stato, per andare invece a rinforzare l’intensità del legame sussistente tra i membri di una determinata comunità, sociale prima ancora che politica.

308 Per una lucida analisi si rinvia a: Christian JOPPKE, “The Inevitable Lightening of Citizenship”, in Archives of

European Sociology, LI, 1, 2010, pp. 9–32.

309 Christian JOPPKE, Citizenship and Immigration, Immigration and Society, Polity Press, 2010, pp. 146-147. 310 Andrea LOLLO, Eguaglianza e cittadinanza. La vocazione inclusiva dei diritti fondamentali, Giuffré editore, 2016,

p. 116.

311 Claudio PANZERA, Alessio RAUTI, Carmela SALAZAR, Antonino SPADARO (a cura di), Metamorfosi della

cittadinanza e diritti degli stranieri. Atti del Convegno internazionale di Studi di Reggio Calabria, 26-27 marzo 2015,

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legame tra diritti e status di cittadinanza. In ultima istanza, il compito cui la dottrina pare essere chiamata oggi è proprio quello di un eventuale ripensamento del concetto stesso di cittadinanza, così da renderlo maggiormente attuale e aderente alla realtà contemporanea.

Sempre più spesso, infatti, si assiste ad una interazione tra l’ordinamento statale precostituito e forme di diritto non statale affermate dai gruppi minoritari i quali si sono dotati di un qualche

livello di autonomia normativa e istituzionale tale da dar vita ad un modello di “interlegalità”312.

Diverse sono le aspettative e le pretese nonché le modalità di impostare e risolvere il rapporto tra

individuo e l’ordinamento giuridico-politico di ciascun gruppo313 per cui le soluzioni offerte dai

gruppi minoritari finiscono per affiancarsi e convivere, nella pratica, con quelle del gruppo maggioritario. La realtà fotografata è piuttosto complessa e policentrica, caratterizzata dalla pluralità di forme di diritto non statale che ad esso si aggiungono (se non proprio sostituiscono, in casi estremi). Tale coesistenza non è però di fatto sempre pacifica, posto che i vari gruppi possono facilmente non abbracciare una medesima concezione di bene comune e dunque indirizzare i proprio sforzi e impiegare i propri mezzi alla realizzazione di fini che - in alcuni casi - possono mal conciliarsi.

Le criticità di un mancato riconoscimento e rappresentazione della eterogeneità emergono dunque nettamente, tanto da poter arrivare ad affermare che l’esclusione dalla partecipazione pubblica (e quindi soprattutto politica) dello straniero comporti un impoverimento della

discussione circa la costruzione ed il raggiungimento del bene comune314. Risulta quindi

fondamentale che le società stesse si (ri)scoprano multiculturali, accettando l’alterità in esse insita e le differenze dei gruppi che le compongono, accordando diritti di cittadinanza che assicurino, in ultima istanza, un più elevato livello di uguaglianza sociale sia dal punto di vista

sostanziale che formale315. Naturalmente, non si parla qui di uno sterile riconoscimento dei

cosiddetti diritti etnici ovvero speciali, intendendosi quella gamma di libertà e diritti accordati unicamente al fine della preservazione dell’identità culturale minoritaria. Tali politiche, infatti, si prestano più facilmente ad essere declinate in chiave di marginalizzazione della alterità piuttosto che della sua inclusione, fuoriuscendo in tal modo dalle logiche democratiche ed integrative sopra delineate.

Spogliandola dunque da ogni residuo connotato valoriale nonché da ogni richiamo ad una

qualche affinità etnico-religiosa316, la comunità politica si fa luogo di incontro e di confronto a

312 Paola PAROLARI, op. cit., p. 221.

313 Fulvio CORTESE, Gianni SANTUCCI, Anna SIMONATI, Dallo status di cittadino ai diritti di cittadinanza,

Editoriale Scientifica, 2014, p. 241.

314 Laura ZANFRINI, Cittadinanze. Appartenenza e diritti nella società dell’immigrazione, Editori Laterza, 2007, p. 75. 315 Ivi, pp. 81-82.

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cui i singoli individui sono chiamati a partecipare semplicemente perché cittadini, indipendentemente dal loro bagaglio culturale. Emerge così la duplice dimensione della appartenenza e al contempo della dipendenza insita all’interno dello status di cittadinanza. Una volta estromessa dal discorso la coincidenza tra ethos ed ethnos, la cifra caratteristica di tale condizione appare infatti essere quella della pari sottomissione all’autorità dello Stato, incarnata dal rispetto della legge e del diritto. Invero sia l’autorità che la cittadinanza si sviluppano a partire dal medesimo assunto di partenza, ovvero quello dell’esistenza di una comunità all’interno della quale il soggetto singolo si sente membro e nei confronti della quale lo Stato esercita il proprio

potere sovrano317. Già lo stesso Jellinek riteneva, ad esempio, che “in forza della concessione di

pretese giuridiche positive verso lo Stato, il fatto di essere membro dello Stato si trasforma da un rapporto di pura dipendenza, in un rapporto avente un doppio carattere, in una condizione giuridica, cioè, che nello stesso tempo attribuisce facoltà ed impone doveri. Questa condizione è quella che viene designata come appartenenza allo Stato, come diritto di cittadinanza, come nationalité”318.

Il processo è pertanto inverso a quello portato a compimento nel corso dei secoli XVIII-XIX, per cui la cittadinanza non è più strumento di differenziazione culturale e etnologica tra i popoli - fondata sulla integrazione per condivisione di una medesima visione dei valori – quanto strumento neutro di integrazione singolare, per cui viene ad essere privilegiato e premiato il

processo di integrazione politica dell’individuo all’interno della comunità politica319. In tal modo,

quindi, si tende a dare preminenza all’effettiva e concreta realtà derivante dall’esperienza

quotidiana piuttosto che ad un’attribuzione giuridica artificiale320 quale quella nazionalista.

Stretto è allora il legame che lega l’individuo (o meglio il cittadino) all’ordine politico di riferimento, posto che diversi sono gli ordinamenti e i diritti in essi previsti e di cui il cittadino di fa garante poiché aderente a tale progetto politico-giuridico. I diritti previsti in egual misura da tutte le differenti comunità saranno allora un numero molto limitato, ragion per cui l’argomento della difesa e del riconoscimento dei diritti umani a tutto tondo, universalmente intesi, non appare convincente né efficace, potendosi prendere in considerazione unicamente quelle libertà e diritti – quasi paradigmatici - rinvenibili a fondamento di ogni cultura e ordinamento.

317 Ivi, p. 94.

318 Georg JELLINEK, Sistema dei diritti pubblici subiettivi, Società Editrice Libreria, 1912, p. 127.

319 Per una dottrina sulla cittadinanza come status, ovvero come qualità personale e condizione giuridica che l’individuo

ha di fronte allo Stato a cui appartiene” si rimanda – ex multis - a Gaetano ARANGIO-RUIZ, Istituzioni di diritto

costituzionale italiano, Fratelli Bocca, 1913, pp. 235 e ss.

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In buona sostanza, quindi, appare evidente l’auspicata avanzata – almeno nelle società alla prova con il multiculturalismo – del concetto di demos, da intendersi quale comunità politica effettiva, rispetto alla conseguenziale recessione della dimensione tradizionale legata all’ethos,

ovvero la comunanza di radici storico-culturali321. All’asetticità del retaggio culturale comune e

della preservazione valoriale iure sanguinis, si preferisce piuttosto dare maggior risalto alla partecipazione e al reale contributo che ogni individuo apporta alla costruzione e preservazione dell’ordine socio-politico esistente.

Ebbene, la ricompensa e gratificazione per suddetto impegno debbono allora estrinsecarsi nell’attribuzione di diritti (con connessi doveri) all’individuo che viene infine ammesso al godimento dello status di cittadinanza.

La logica perseguita è quella di un connubio e compromesso tra la politica dell’universalismo e quella della differenziazione per cui, se da un lato si assiste alla esaltazione del principio di non discriminazione e pari riconoscimento umano, dall’altro appare imprescindibile impostare il discorso sui canoni della diversità culturale ove vengono affrontate le questioni derivanti dalla

convivenza multietnica322.

2.2. Sul riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali

Come sopra già detto, la cittadinanza sta a significare quel complesso di diritti e doveri che agisce in due direzioni: in senso orizzontale, unisce l’individuo ai consociati politicamente

organizzati; in senso verticale, lega invece il singolo allo Stato323. Tali diritti e doveri

rispecchiano, in fondo, i valori su cui si fonda la comunità stessa e che trovano la loro manifestazione materiale nella lettera dei principi costituzionali fondamentali. A tale proposito, di basilare importanza si rivelano essere i tre principi cardine della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà il cui rispetto ed osservanza debbono guidare il legislatore e indirizzare il diritto

stesso. Si afferma infatti la logica della cosiddetta “uguaglianza allocativa324” che detta non solo

i criteri per la ripartizione dei poteri statali ma anche – per l’appunto - l’allocazione stessa dei diritti, da riconoscersi alla persona in quanto tale, al di là della condizione di cittadino, ed avendo cura di verificare unicamente la partecipazione del singolo all’interno di una comunità di cui

diviene membro ed espressione325. Numerose sono invero quelle libertà e quei diritti che sono

321 Francesca BIONDI DAL MONTE, op. cit., pp. 271-272.

322 Pasquale GIANNITI (a cura di), I diritti fondamentali nell'unione Europea. La carta di Nizza dopo il trattato di

Lisbona, Zanichelli, 2013, p. 680.

323 In tal senso, Cfr. Eugenio BARSANTI, Voce “Cittadinanza”, in Enciclopedia Giuridica Italiana, Società editrice

libraria, 1913, p. 603.

324 Stefano RODOTA’, “Cittadinanza: una postfazione” in Danilo ZOLO (a cura di), op. cit., Laterza, 1994, p. 246. 325 Gaetano AZZARITI, “La cittadinanza. Appartenenza, partecipazione, diritti delle persone”, in AA.VV., Costituzione,

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assicurati all’individuo in quanto tale, facendo esclusivo riferimento alla “persona”, per cui

alcuna distinzione può essere operata ricorrendo al criterio della cittadinanza326. I diritti e le

libertà fondamentali debbono dunque essere garantite dallo Stato ospitante indipendentemente dal rapporto intercorrente con il singolo individuo, dal momento che tali prerogative ineriscono unicamente alla essenza ultima del suo fruitore, ovvero all’appartenenza al genere umano, unico criterio di titolarità. È però indubbio che tale obbligo per lo Stato non sussista qualora si fuoriesca dal perimetro stretto dei diritti universali. In questi casi, del tutto legittima appare pertanto la previsione di limitazioni – in capo alla straniero – ragionevolmente giustificabili poiché dettate da interessi pubblici quali la sicurezza, l’ordine pubblico o ancora vincoli di carattere

internazionale327. Qualora non manifestamente discriminatorie, appaiono allora legittime quelle

norme e quelle politiche volte alla differenziazione della situazione dello straniero rispetto a

quella del cittadino, stante la diversità di situazione e di legame con lo Stato stesso328.

Nello specifico, al di là della formulazione letterale, la dottrina e la giurisprudenza più recenti si sono trovati concordi nel ritenere che i diritti e i doveri degli stranieri siano da individuarsi facendo ricorso al criterio distintivo rappresentato dagli interessi generali che possono essere

soddisfatti unicamente dalla condizione di cittadino329. Qualora invece non possa tracciarsi una

linea distintiva tra le due condizioni, sarà necessario procedere ad una parificazione della posizione di cittadini e stranieri, indipendentemente dal testo della norma di riferimento. Grazie a tale lettura maggiormente estensiva, è stato più agevolmente possibile aprire al riconoscimento e all’applicazione delle garanzie costituzionali in punto di diritti fondamentali anche ai non- cittadini.

Orbene, in punto di trattamento dello straniero, guardando alla prassi ed alle varie esperienze nazionali, appare doveroso distinguere tra diritti civili, sociali e politici. Sebbene le Carte costituzionali, infatti, tendano al riconoscimento in via di principio dell’intero pacchetto di libertà

326 Sul punto, risolutiva appare la sentenza della Corte Costituzionale n. 148/2008 con cui i giudici della Consulta hanno

dichiarato: “lo straniero è titolare di tutti i diritti fondamentali che la Costituzione riconosce spettanti alla persona […]

ciò comporta il rispetto, da parte del legislatore, del canone della ragionevolezza, espressione del principio di uguaglianza, che, in linea generale, informa il godimento di tutte le posizioni”.

327 Andrea MARTELLI, “La condizione giuridica dello straniero”, in Luca MEZZETTI (a cura di), Diritti e doveri,

Giappichelli Editore, 2013, p. 635.

328 In tal senso significativa appare la spinosa vicenda dell’amissione degli stranieri extra-UE all’esercizio funzioni

pubbliche per cui continua ad essere generalmente previsto il criterio della cittadinanza. Sul punto, anche la stessa giurisprudenza si è rivelata essere particolarmente ondivaga e non concorde, arrivando in ultima istanza ad apporre come unico baluardo alla discrezionalità propria della Pubblica Amministrazione il rispetto del principio costituzionale di ragionevolezza, tale per cui di fatto deve ritenersi almeno potenzialmente possibile e legittimo continuare a limitare l’accesso alla funzione pubblica ai soli cittadini. Cfr. Matteo GNES, “L’apertura del pubblico impiego nel processo di integrazione europea”, in Giandonato CAGGIANO (a cura di), I percorsi giuridici per l’integrazione, Giappichelli editore, 2014, pp. 479-489.

329 Paolo CARRETTI, Giovanni TARLI BARBIERI, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, Giappichelli Editore,

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e diritti allo straniero330, la legge ordinaria – e tramite essa il legislatore politico – segnano una

netta linea di distinzione, ammettendo di norma il non-cittadino al solo godimento dei diritti civili e sociali.

Sulla carta, quindi, al migrante ovvero allo straniero risultano essere riconosciuti tal tipo di diritti soprattutto nel momento in cui la loro presenza sul territorio si arricchisca di un certo grado di stabilità determinata dalla permanenza della residenza. La distinzione tra straniero residente in maniera stanziale o non appare di fondamentale importanza per i fini che qui ci occupano. Innanzitutto, è infatti ravvisabile un dovere in capo allo Stato di riconoscere determinati diritti a quegli stranieri che si trasferiscano in modo definitivo all’interno del territorio nazionale posto che tale stabilità potrebbe ragionevolmente condurre – col passare del tempo – al riconoscimento dello status stesso di cittadino (si pensi ad esempio al ricorso all’istituto della naturalizzazione). Inoltre, non può nemmeno sottacersi come i governi siano tenuti allo stesso tempo a curarsi di coloro che – pur non essendo cittadini – sono non di meno interessati dalle politiche nazionali e

dalle azioni intraprese a livello statale331. Al migrante economico (migrant) si accompagna

peraltro un sentimento di precarietà e temporaneità della propria condizione che non è invece riscontrabile nell’animus del migrante (immigrant) che abbia stabilmente abbandonato il proprio

Paese con l’intenzione di ricrearsi una nuova vita altrove332. Per tali ragioni, allora, nel prosieguo

della trattazione (ove non specificato), pur parlando di straniero in modo generico, dovrà più correttamente intendersi l’individuo non cittadino oramai situato stabilmente all’interno dei confini di una Nazione altra rispetto alla propria madrepatria. Il riconoscimento dei diritti ai migranti temporanei risulta invece ancora piuttosto problematico, soprattutto in relazione alla novità del fenomeno ed alla transitorietà della loro condizione, sia giuridica che sociale. È vero infatti che l’ammissione alla categoria dei cittadini presuppone la sussistenza di un nesso stretto ed intimamente percepito tra lo Stato e il soggetto, legame la cui esistenza deve escludersi nel

caso del migrante temporaneo333. Il passaggio intermedio e prodromico rispetto alla richiesta

330 Ad esempio, è stato correttamente rilevato come gran parte delle disposizioni costituzionali francesi facciano

indistintamente riferimento a “tous”, “chacun”, “nul”, “tout homme” e “tout travailleur” nel sancire obblighi e libertà, rendendo di fatto tali previsioni normative applicabili indistintamente a tutti, cittadini e non. A contrario, invece, la Costituzione della V Repubblica francese mancava di tale tensione all’universalità tanto da potersi affermare che “lo straniero era il grande assente del testo costituzionale”. Cfr. Elena Valentina ZONCA, op. cit., pp. 63-64.

331 Rainer BAUBÖCK, “Temporary migrants, partial citizenship and hypermigration”, in Critical Review of International

Social and Political Philosophy, 2011, Vol. 14:5, pp. 665-693.

332 Nella stessa ottica deve leggersi ed interpretarsi la parte della Comunicazione della Commissione Europea dell’anno

2000 in punto di “cittadinanza civica” che così recita: “The legal status granted to third country nationals would be based on the principle of providing sets of rights and responsibilities on a basis of equality with those of nationals but differentiated according to the length of stay while providing for progression to permanent status. In the longer term this could extend to offering a form of civic citizenship, based on the EC Treaty and inspired by the Charter of Fundamental Rights, consisting of a set of rights and duties offered to third country nationals” (COM (2000) 757 final: 21)

333 A tale proposito, appare opportuno citarsi la definizione di popolo fatta da Robert Dahl nel 1989, secondo cui: “the

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della cittadinanza deve allora individuarsi nella residenza di lungo corso334, attestante un periodo

di tempo tale per cui lo straniero possa essersi inserito all’interno della comunità e abbia cominciato a farne parte e a parteciparvi attivamente.

Ciò chiarito, se da un lato si ha una garanzia dei diritti sociali e civili a cui, però, - in alcuni casi – non corrisponde una effettiva capacità di farli valere, situazione molto più comune è quella rappresentata dall’estromissione dello straniero dalla vita politica e quindi dal dibattito pubblico,

cifra caratteristica dello status di cittadinanza335. Deve quindi rilevarsi come, in fondo, siano

proprio quei diritti attraverso i quali il processo di inclusione comunitaria diviene possibile a non essere accordati al non-cittadino. L’integrazione dello straniero residente stabilmente in un

determinato territorio dovrebbe difatti passare anche attraverso l’esercizio del diritto di voto336

attivo e passivo, tale per cui l’esclusione dal processo politico diviene un vero e proprio fattore

di estraneazione dello straniero. Non trovando dei canali e circuiti di rappresentanza337 legali,

attraverso i quali dare voce alle proprie diversità ed istanze di matrice culturale, il non-cittadino finisce per ricercare nella identità originaria e nel gruppo culturale di appartenenza primaria la

propria matrice esclusiva338.

In merito alla tematica dell’esclusione dal godimento di determinati diritti, appare comunque opportuna una precisazione circa una recente tendenza anche in punto di diritti sociali, registratasi a seguito dell’inasprirsi della crisi economica mondiale. Infatti, in particolare in relazione ai diritti sociali che – assicurando prestazioni ed interventi assistenziali – rappresentano un costo per il sistema Paese ospitante, l’orientamento assunto dai legislatori nazionali appare essere quello di adottare politiche limitative nei confronti dei non-cittadini e di una regressione degli Stati verso politiche restrittive. Significativo in tal senso è, nel panorama italiano, l’emergere di soluzioni improntate ad una politica penalizzante nei confronti dello straniero

qualora si tratti di diritti cosiddetti costosi339. Sul tema, di diverso avviso, appare comunque

l’opinione maggioritaria fatta propria dalla giurisprudenza – sia di merito che di legittimità -, a parere della quale la limitatezza delle risorse economiche disponibili non può giustificare una

illegittima riduzione della spesa pubblica nei confronti di determinate categorie sociali340.

334 Ibidem.

335 Laura ZANFRINI, op. cit, p. 21.

336 Per un approfondimento sul diritto di voto si rimanda a Fulco LANCHESTER, “Voto (diritto di) (dir. pubbl.)”, in

Enciclopedia del diritto, XLVI, Giuffré, 1993.

337 Sul concetto di “rappresentanza politica” e le sue evoluzioni e prospettive si rimanda a Sandro STAIANO, “La

rappresentanza”, in Rivista AIC, n.3, 2017; Ilenia MASSA PINTO, “Rappresentanza”, in Rivista AIC, n.3, 2017 e Francesco BERTOLINI, “Rappresentanza politica e forma di governo parlamentare”, in Rivista AIC, n.3, 2017.

338 Tecla MAZZARESE, op. cit.

339 Claudio PANZERA, Alessio RAUTI, Carmela SALAZAR, Antonino SPADARO (a cura di), op. cit., p. 47.

340 Sul punto, di fondamentale importanza risultano essere gli interventi della Corte Costituzionali intercorsi all’incirca

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Ancora, sempre a parere dell’organo giudiziale, la rimodulazione della spesa pubblica non può certamente tradursi in una discriminazione tra i beneficiari delle prestazioni sociali in base al

livello di radicamento territoriale341. È infatti la stessa costituzione ad optare per un modello

universalistico342, favorevole alla inclusione progressiva dello straniero nella comunità ed al suo

pari accesso al godimento dei servizi pubblici essenziali343. Naturalmente, stante l’innegabile