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CAPITOLO TERZO L’ITALIA

2. Le politiche nazionali e i diritti civil

2.3 Il diritto all’istruzione

Ciò detto, un primo diritto sociale da poter essere preso in considerazione è certamente il diritto all’istruzione la cui portata universale emerge chiaramente dall’art. 34 Cost. ove si legge

che “la scuola è aperta a tutti”617. Avendo inoltre in mente le considerazioni di cui alle pagine

dovere di solidarietà dovrebbe essere impiegato e sfruttato non soltanto per ragioni di giustizia sociale – procedendo ad una ridistribuzione delle ricchezze – ma altresì per un armonico sviluppo della persona umana in un contesto di effettivo e sostanziale appagamento dei diritti sociali.

613 Alessandro MORELLI, “Il ruolo dei diritti sociali nella democrazia contemporanea”, Intervento al Seminario italo-

argentino su «I diritti sociali nello Stato contemporaneo. Costituzione, legislazione, amministrazione, politiche di

bilancio», Università di Messina, Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, 2 febbraio 2018, altresì pubblicato

online su Forum di Quaderni Costituzionali.

614 Andrea BASSI e Giuseppe MORO (a cura di), Politiche sociali innovative e diritti di cittadinanza, FrancoAngeli,

2015, pp. 26-27.

615 Corte Costituzionale, sent. n. 300 del 22 luglio 2005.

616 Elisabetta FRONTONI, Giovanna PISTORIO, “Immigrazione e diritti umani”, in Constantino DE ROBBIO, op. cit.,

pp. 64-65.

617 Principio che ha trovato ulteriore specificazione nella legge delega n. 53/2003 (Delega al Governo per la definizione

delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale) e dal D. Lgs. n.76/2005 (Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione).

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precedenti, deve potersi concludere come il diritto all’educazione scolastica sia da considerarsi libero da ogni condizionamento in merito allo status giuridico del discepolo. Lo stesso art. 38 del

D. Lgs. n. 286/1998618 riconosce ai minori stranieri – presenti sul territorio – l’obbligo

scolastico619 in condizioni di parità con gli altri alunni620. Ebbene, l’impiego del termine presenti

non può dirsi casuale quanto invece il frutto di un’accurata ponderazione del legislatore, il quale ha deciso di garantire tale diritto - fondamentale prima ancora che sociale - a tutti gli stranieri in

età scolare621, indipendentemente dalla cittadinanza ovvero dalla regolare residenza degli stessi

sul suolo nazionale622. Studi sociologici hanno peraltro rivelato la pluralità di significati che

l’accesso all’istruzione racchiude per i minori stranieri e per le loro famiglie: da mezzo per la conquista dei mezzi basilari di cittadinanza attiva a strumento e possibilità di riscatto sociale

nonché lavorativo e quindi socio-economico623. L’acquisizione di competenze linguistiche e la

frequentazione di un percorso scolastico permettono altresì una maggiore incorporazione e una più efficace integrazione nelle comunità locali del non-cittadino, il quale inizierà cosí il suo

percorso “da residente a cittadino”624.

La norma succitata prosegue poi prevedendo l’attivazione di corsi per l’insegnamento della lingua italiana nonché la promozione di attività di stampo inter e multiculturale. Peraltro, affrontando la tematica della lingua, deve rilevarsi come il proliferare di minoranze linguistiche non autoctone, ovvero non coperte - a prima vista - dalla garanzia costituzionale di cui all’art.

6625, abbia posto delle problematiche finora inesplorate, e probabilmente impensabili per la

618 Da leggersi congiuntamente all’art. 2 del T.U., che riconosce allo straniero i diritti fondamentali della persona umana

nonché la parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi

legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell'accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge (co. V).

619 Sulla portata dell’obbligo scolastico, si segnala l’ordinanza del Tribunale di Milano, sez. I civile, n. 2380 dell’11

febbraio 2008, con cui il Giudice di primo grado ha ricompreso anche la scuola materna nei servizi educativi di cui all’art. 38 T.U.

620 Art. 38 D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ovvero Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero: “I minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all'obbligo scolastico; ad essi si applicano tutte le disposizioni vigenti in materia di diritto all'istruzione, di accesso ai servizi educativi, di partecipazione alla vita della comunità scolastica”. Pari diritto è previsto altresì all’art. 14 della legge 47/2017, anche detta Legge Zampa, nei confronti dei minori stranieri non accompagnati.

621 Una spinosa questione si era posta in relazione allo straniero divenuto maggiorenne qualora in condizione di

irregolarità sul territorio italiano. Sul punto fondamentale si è rivelato l’intervento della giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sent. 1734/2007) quanto della Pubblica Amministrazione competente (note del MIUR del 7 giugno 2009 e del 13 giugno 2012), concordi nel ritenere il diritto dell’alunno di trarre vantaggio dal percorso di studi effettuato, accedendo agli esami finali e dunque ottenendo un riconoscimento ufficiale del positivo completamento degli stessi.

622 Principio peraltro confermato all’art. 45 del D.P.R. N. 329/1999 recante le norme di attuazione del T.U. Lo stesso

articolo fissa poi le norme in materia di iscrizione del minore straniero anche in assenza di documentazione anagrafica, prevedendo inoltre una serie di tutele per il minore straniero volte ad evitare fenomeni di discriminazione e promuovendo invece la integrazione e favorendone l’apprendimento. Si ricorda inoltre che l’art. 10 bis T.U. (Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato) non è applicabile nei confronti del minore di età.

623 Maddalena COLOMBO, “I giovani migranti nelle scuole italiane: percorsi formativi, disuguaglianze, risorse”, in

REMHU - Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, Ano XXII, n. 42, jan./jun. 2014, pp. 159-170.

624 Ibidem.

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costituente del 1946. Parte della dottrina ha difatti ritenuto possibile, e anzi auspicabile, una applicazione estensiva del summenzionato art. 6 in modo da ricomprendere anche le minoranze formate da stranieri, poiché parimenti configurabili come gruppo sociologicamente riconoscibile

come tale626, indipendentemente dallo status giuridico dei suoi componenti. Ebbene, stante la

natura eminentemente sociologica del concetto di minoranza, per cui i membri della stessa non necessariamente debbono godere della cittadinanza dello Stato con cui si trovano a raffrontarsi, le garanzie e tutele costituzionali in punto di lingua paiono ben riconoscibili anche ai non- cittadini. Ciò risulta ancora più vero nel caso in cui si tratti delle lingue parlate da comunità

stanziali e diffuse sul territorio in modo pressoché stabile, ossia da diverse generazioni627. Anche

in queste ipotesi, come per quello delle minoranze tradizionali, ci si trova a dover regolare una situazione di conflitto tra gruppo maggioritario e gruppo minoritario nella quale quest’ultimo

richiede il riconoscimento di tutele positive e di garanzie628 volte alla preservazione dei tratti loro

caratteristici. Se da un lato, dunque, pregevole appare lo sforzo del legislatore e della pubblica amministrazione per quanto concerne l’attivazione di corsi di italiano – così da permettere una maggiore ed effettiva integrazione dello straniero nel contesto comunitario italiano – dall’altro appare miope, alla luce dell’inarrestabile evoluzione storica e sociale, il mancato riconoscimento delle libertà e dei diritti delle minoranze anche dal punto di vista linguistico, stante l’opportunità di riconoscere pari dignità a quei gruppi minoritari sorti dalla stabilizzazione di fenomeni migratori.

Inoltre, la questione del multiculturalismo pare essersi posta in relazione all’istruzione in

termini di libertà religiosa, o meglio di laicità all’interno degli edifici scolastici629. Seppur non

espressamente menzionato all’interno del testo costituzionale, infatti, il principio di laicità dello Stato italiano è desumibile dalla lettura congiunta degli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost. da cui si ricava non una indifferenza della Repubblica nei confronti della questione religiosa quanto la garanzia per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e

626 Alessandro PIZZORUSSO, Le minoranze nel diritto pubblico interno, Giuffré, 1967, p. 165.

627 Cfr. Valeria PIERGIGLI, “Rileggendo l’opera di Alessandro Pizzorusso sulle minoranze linguistiche: le “nuove

minoranze” tra identità e integrazione”, in Nomos – Le attualità nel diritto, vol.1, 2019.

628 Si cita qui il pensiero di Luigi Ferrajoli secondo cui: “La democrazia è una costruzione laboriosa, faticosa e di

lunghissimo periodo che consiste, essenzialmente, nella costruzione di garanzie e di istituzioni di garanzie”. Luigi FERRAJOLI, “Universalismo dei diritti fondamentali e differenze culturali”, in Giulio M. SALERNO, Francesco RIMOLI (a cura di), Cittadinanza, identità e diritti. Il problema dell’altro nella società cosmopolitica, Grafica Editrice Romana, 2008, p. 56.

629 Ulteriore questione problematica risulta essere quella dell’insegnamento per sé della religione cattolica, per cui si

rimanda brevemente a Alessandro ODDI, “L’ora infinita. L’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica”, in Rivista AIC, n.00, del 2 luglio 2010, consultabile al https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/Oddi01.pdf e Rita BENIGNI, “La via stretta dell’educazione religiosa nel diritto e nell’azione del Consiglio di Europa. Tra competenza degli Stati ed opzione laica”, in Rivista AIC, n.4, 2012, pubblicato online il 2 ottobre 2012.

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culturale630. Vero è però che – nonostante l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana – continuino ad avere valenza i decreti regi nn. 965/1924 (art. 118) e 1297/1928 (art.119) con i quali viene prescritta, come arredamento scolastico, la presenza obbligatoria del crocifisso all’interno delle aule. Se tali disposizioni non avevano originato alcun dibattito al momento della loro adozione, ovverosia in un’epoca in cui la società italiana era ancora di fatto omogenea e assestata su paradigmi culturali, tradizionali e religiosi uniformi, più di recente esse hanno animato il dibattito non solo dottrinale ma altresì giuridico. Senza poter scandagliare nel dettaglio

le plurime vicende giudiziali che si sono susseguite sulla tematica631, le doglianze propugnate dai

ricorrenti sono converse generalmente sulla lesione del principio di laicità e di libertà religiosa a fronte della esposizione coatta del simbolo religioso cattolico all’interno degli istituti. Il crocifisso avrebbe infatti rappresentato la estrinsecazione materiale dell’adesione implicita dello Stato ai valori propri di una sola frangia della popolazione (quella cattolica), dovendosi invece ritenere preferibile la scelta di non esporre alcuna raffigurazione religiosa nel pieno rispetto del

pluralismo e dell’imparzialità delle istituzioni scolastiche632.

Ebbene, non solo le Corti italiane ma anche quelle sovranazionali si sono attestate su posizioni piuttosto caute e conservatrici, sostenendo la non lesione di alcun principio costituzionale ovvero

del catalogo dei diritti contenuti all’interno della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo633.

I giudici hanno difatti posto l’accento sulla interpretazione del crocifisso quale simbolo634 non

esclusivamente riferibile al culto cristiano-cattolico quanto veicolo di valori tradizionali e costituzionali. In un ambiente laico, quale quello scolastico, esso andrebbe infatti a caricarsi di una valenza educativa al pluralismo e alla tolleranza, alla difesa della dignità umana e al rispetto dell’altro in termini di uguaglianza, tutti principi ben compatibili con – se non addirittura fondanti

630 Corte Costituzionale, sent. n. 203/1989. Per una panoramica sulla laicità nello Stato italiano si rimanda a Giuditta

BRUNELLI, “La laicità italiana tra affermazioni di principio e contraddizioni della prassi”, in Rivista AIC, n.1, 2013, pubblicato online l’8 marzo 2013.

631 Ex multis, Tribunale Di L'aquila, ordinanza 23 ottobre 2003, TAR Veneto, sezione III, 17.03.2005, n.1110, Consiglio

di Stato, n. 556, 13.02.2006.

632 Invero, anche nel rispetto della libertà religiosa negativa, cioè di non aderire e professare alcuna religione.

633 Nel caso di specie, il riferimento è alla sentenza della Corte EDU, Grande Camera, sent. 28 marzo 2011 n. 30814 nel

caso Lautsi e altri c. Italia II, in cui i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che l’esposizione del crocifisso in aula non fosse da ritenersi lesivo dei diritti di cui agli artt. 9 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e 2 Prot. 1 (Diritto all’istruzione) CEDU. La controversia era stata in realtà già affrontata dalla seconda sezione della Corte la quale si era espressa in modo opposto alla Grande Camera, rilevando la violazione dei due summenzionati articoli in quanto l’esposizione del crocifisso poteva turbare la libertà di coscienza e religione degli studenti. La Grande Camera ha invece osservato – richiamando il margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati membri della Convenzione – come si trattasse di un simbolo essenzialmente passivo, ovvero incapace di condizionare e ledere il sentimento altrui. Cfr. Fioravante RINALDI, “‘Il segno della croce’. il caso dell’affissione del crocifisso nella scuola di Abano terme in Lautsi e altri c. Italia ii ed il problema del ‘trapianto’ della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel nostro ordinamento”, in Rivista AIC, n. 1, 2012, pubblicato online il 28 marzo 2012.

634 Sul simbolo religioso si rimanda a Claudia Bianca CEFFA, “Sensibilità costituzionale e salvaguardia dei valori

giuridici interni nella giurisprudenza italiana in tema di diversità religiosa nel contesto della società multiculturale”, in

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- quello di laicità dello Stato635. Si é fatto quindi ricorso all’argomento della laicità positiva,

ovvero della apertura dell’ordinamento italiano – e di riflesso del sistema scolastico – a tutte le religioni e credo, posto che non è previsto alcun divieto di esposizione dei simboli da parte degli allievi, i quali possono ben indossare croci e coprire il capo con un velo. A fronte di ciò, quindi,

la rimozione del crocifisso sarebbe stata illegittima636.

È stato altresì rilevato dalla giurisprudenza come suddetti principi prescindano dal grado di laicità dello Stato e siano invece riferibili alla coscienza individuale, cuore pulsante della dignità personale, alla cui difesa e tutela è volto l’ordinamento costituzionale personalista, ovvero incentrato sulla protezione del singolo in quanto uomo e alla sua realizzazione. Per non sfociare in un uso distorto della laicità positiva, potenzialmente incline a trasformarsi in “laicità

asimmetrica637”, parrebbe quindi preferibile una valorizzazione del singolo e dell’individuo in

quanto tale piuttosto che del simbolo, così da potersi rivalutare l’affermazione per cui non

esistono valori dello Stato laico ma solamente valori dello Stato costituzionale638, maggiormente

funzionale nonché confacente alla gestione del complesso quanto mutevole fenomeno del multiculturalismo. Legare la convivenza ai simboli finisce inevitabilmente per favorire un gruppo a discapito dell’altro, il quale difficilmente potrà smettere di associare tali segni ed emblemi con la cultura tradizionalmente di riferimento.