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Due casi particolari: la cittadinanza nella colonia algerina e lo stato di emergenza Il passato coloniale ed espansionista francese impose al legislatore di effettuare scelte ed

CAPITOLO QUARTO LA FRANCIA

1. Sulla disciplina normativa della cittadinanza francese

1.1 Due casi particolari: la cittadinanza nella colonia algerina e lo stato di emergenza Il passato coloniale ed espansionista francese impose al legislatore di effettuare scelte ed

adottare politiche specifiche in punto di riconoscimento o meno della cittadinanza agli abitanti dei territori controllati. Oltralpe, la questione pare essere stata affrontata mediante la creazione di una terza categoria, a metà strada tra quella dello straniero e il cittadino, ovverosia dell’indigeno (indigène). Seppure tale distinzione fosse del tutto inesplorata nel codice civile del

761 Anne-Virginie MADEIRA, op. cit., p. 164. La situazione parrebbe inoltre ulteriormente complicata dall’entrata in

vigore – nel 2012 – del decreto n. 2010-725 del 29 giugno del 2010, il quale ha decentralizzato il procedimento di naturalizzazione oggi in carico ai prefetti delle regioni, andando così a moltiplicare gli orientamenti in materia, a seconda della sensibilità della singola autorità chiamata a decidere in merito a tali richieste.

762 Camera dei Deputati, Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera, L'acquisizione della cittadinanza, AC N.

103/XVI, Materiali di legislazione comparata, n. 9, 23/01/2009, pp. 59, https://documenti.camera.it/Leg16/Dossier/Testi/MLC16009.html.

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1804 che accordava la cittadinanza (e la nazionalità) francese ai soli nati all’interno dei confini francesi, pochi anni dopo – con l’emanazione del decreto del 5 aprile del 1848 – si decise di riconoscere i diritti politici agli indigeni, i quali restavano tali in forza del mantenimento del loro statuto personale. Non vi era dunque alcuna concessione di cittadinanza o di nazionalità: semplicemente agli individui originari dei territori sottoposti alla dominazione coloniale francese, veniva accordato il godimento dei soli diritti politici.

Terreno di prova si dimostrò essere l’Algeria. Il 14 luglio del 1865 venne infatti promulgato un Sénatus-consulte da parte del Ministero della Giustizia francese con cui si disciplinava lo stato e la naturalizzazione degli algerini. Nel fare ciò, netta era la ripartizione tra Francesi e cittadini francesi, disponendo che anche gli indigeni erano da considerarsi appartenenti alla prima

categoria764, pur continuando ad essere regolati dai propri statuti personali i quali cozzavano,

invece, con il riconoscimento della cittadinanza francese. L’indigeno avrebbe potuto essere ammesso al godimento dei diritti di cittadinanza solo su sua esplicita domanda e in base alla relativa decisione presa dal potere esecutivo; una risposta positiva in tal senso avrebbe determinato la soggezione completa dell’individuo alla legge francese. Di base, quindi, la popolazione francese veniva a suddividersi in due categorie intestine: da un lato, i francesi – dotati di pieni diritti di cittadinanza – e dall’altro gli indigeni a cui tale condizione era invece

preclusa765. Questi ultimi dovevano dirsi francesi non per le conseguenze giuridiche di tale

riconoscimento ma solamente poiché sostanzialmente assoggettati al controllo indiretto ed

immediato della Francia che dunque determinava il loro modo di vivere766.

La condizione degli indigeni risultava quindi divisa tra due mondi e soggetta a due padroni: lo Stato coloniale francese e la legge determinante lo statuto personale; l’uno determinante la nazionalità del soggetto, l’altra la sua cittadinanza effettiva767. In tal modo, si finì allora per

slegare ogni pretesa in merito sia ai diritti civili che politici alla nazionalità, posto che potevano dirsi governati dal codice civile solamente i cittadini e non i “francesi” largamente intesi. Le due figure potevano comunque ben riunirsi solo a seguito del completamento del procedimento di naturalizzazione dell’indigeno, possibilità prevista dal Senato-consulto stesso ma non menzionata come tale dal testo della norma.

764 Tale previsione era stata in qualche modo anticipata da una sentenza della Corte di Alger del 24 febbraio 1862 con la

quale si asseriva che “gli indigeni musulmani o ebrei algerini erano francesi”.

765 Anne-Virginie MADEIRA, op. cit., p. 41.

766 Patrick WEIL, “Le statut des musulmans en Algérie coloniale. Une nationalité française dénaturée”, in Histoire de la

justice, n.16, 1/2005, pp. 93-109.

767 Parzialmente differente è il caso degli ebrei algerini ai quali – con il Décret Crémieux del 24 ottobre 1870 – venne

accordata la cittadinanza francese, così che il loro statuto civile e personale era da considerarsi regolato dalla legge francese. Cfr. Richard AYOUN, “Le décret Crémieux et l'insurrection de 1871 en Algérie”, in Revue d’Histoire Moderne

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Le contraddizioni insite all’interno di tali disposizioni cominciarono ad emergere solamente nei primi del Novecento, soprattutto a partire da un ragionamento più strutturato e profondo in merito al principio dell’uguaglianza e della sua applicabilità/valenza nei confronti del problematico binomio cittadino francese-indigeno. Tale principio non trovava infatti il proprio fondamento e ragione all’interno del Codice civile, applicabile ai soli cittadini, essendo invece uno dei cardini dello Stato stesso, valore rivoluzionario e pilastro del nuovo ordine repubblicano.

Nonostante ciò, imprescindibile per il riconoscimento della cittadinanza francese appariva essere il ripudio dello statuto personale da parte dell’indigeno, il quale – rinunciandovi – aderiva formalmente e fedelmente alla legge e ai valori nazionali francesi. Ecco dunque affacciarsi l’idea che – al fine della acquisizione della cittadinanza – fosse necessaria l’integrazione alla comunità, dimostrata dalla volontà di vivere insieme e di sottomettersi ad un insieme di regole espressione

di un condiviso progetto sociale e politico768 nonché culturale.

Fu comunque solamente nel 1944 che si giunse ad una riforma della materia segnando – con l’ordinanza del 7 marzo – un’evoluzione di quel terzo genere che era stato l’indigeno, riconoscendo ad alcuni algerini lo status di cittadini, senza però imporre loro di rinunciare al loro statuto personale. Nasceva così la speciale categoria dei cittadini francesi a titolo personale, poiché non sottoposti alle regole del diritto comune francese ma godenti dei medesimi diritti

politici769. Tale decreto aprì poi la strada ad ulteriori iniziative significative in materia, come ad

esempio la legge “Lamine Gueye770” con la quale si riconosceva la cittadinanza francese a tutti

gli abitanti dei territori d’oltremare (Algeria inclusa) allo stesso titolo che i residenti nella Francia

metropolitana771. La fissazione delle condizioni per l’esercizio di tale condizione giuridica veniva

poi affidata alla legge, lasciando dunque il compito di definire le modalità di esercizio dei relativi diritti al legislatore ordinario. Questo si dimostrò non troppo in linea con lo spirito che aveva portato alla approvazione della legge Lamine Gueye, adottando invece provvedimenti che di fatto mantenevano sostanziali differenze tra il cittadino francese continentale e quello delle colonie. Nello specifico, la discriminazione si faceva evidente in materia di esercizio dei diritti politici posto che la rappresentanza – tra i banchi dell’Assemblea nazionale - dei rappresentanti eletti nella colonia algerina era di molto inferiore numericamente rispetto a quelli eletti nella Francia

768 Anne-Virginie MADEIRA, op. cit., p. 45.

769 Bénédicte FORTIER, “L’indigène algérien: du sujet au citoyen (1944-1947)“, in Le Genre humain, n. 32, 1997, pp.

53-61.

770 Loi n° 46-940 du 7 mai 1946, tendant à proclamer citoyens tous les ressortissants des territoires d'outre-mer. 771 Il contenuto della legge venne poi trasposto all’interno della Costituzione del 1946 ove, all’art. 80, si leggeva: “Tous

les ressortissants des territoires d'outre-mer ont la qualité de citoyen, au même titre que les nationaux français de la métropole ou des territoires d'outre-mer. Des lois particulières établiront les conditions dans lesquelles ils exercent leurs droits de citoyens”.

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metropolitana772 o ancora non vi era equa redistribuzione dei seggi all’interno della Assemblea

territoriale algerina i cui membri erano eletti per metà da coloro in possesso dello statuto francese e per l’altra metà da coloro aventi statuto locale, nonostante questi ultimi costituissero la

stragrande maggioranza della popolazione773.

Le vicende a seguire furono principalmente legate alla Guerra di indipendenza che ebbe inizio nel 1954 e si protrasse fino al 1962, dando vita peraltro alla V Repubblica francese. Per quanto

riguarda la materia qui in oggetto, tramite l’ordinanza del 21 luglio 1962774, venne disposta la

conservazione della nazionalità francese per coloro la cui condizione giuridica fosse stata regolata dallo statuto civile di diritto comune francese, indipendentemente dalla loro situazione in relazione alla nazionalità algerina. Agli individui originari dell’Algeria e sottoposti allo statuto civile di diritto locale veniva invece revocata la nazionalità francese, fatta salva la possibilità per essi di vedersela riconosciuta ai sensi di quanto disposto nel codice della nazionalità, ovvero facendo ricorso al meccanismo della naturalizzazione.

La annosa vicenda algerina svela dunque chiaramente non solo la particolarità concettuale e semantica della distinzione tutta francese tra cittadinanza e nazionalità ma anche l’uso strumentale che è stato fatto negli anni di tale condizione giuridica, piegata molto spesso al raggiungimento di fini politici e di definizione sociale.

Ulteriore vicenda degna di nota per quanto riguarda la normativa francese in materia di cittadinanza ci riporta ai giorni nostri e trae origine dalla constatazione del legislatore – e prima ancora delle autorità di governo - di una situazione di emergenza tale da indurre alla dichiarazione

del cosiddetto “état d’urgence775” nel 2015.

La risposta alla emergenza dettata dai plurimi episodi di terrorismo di matrice islamica

verificatisi nei mesi precedenti all’interno dei confini della Nazione776, infatti, fu ricercata

dall’Esecutivo in un progetto di riforma costituzionale, materializzatosi nel Projet de loi

772 Loi du 5 octobre 1946. 773 Loi du 20 septembre 1947.

774 Ordonnance n° 62-825 du 21 juillet 1962 relative à certaines dispositions concernant la nationalité française, prises

en application de la loi n° 62-421 du 13 avril 1962.

775 Con tale espressione vuole indicarsi uno stato eccezionale in cui il Ministro dell’Interno ed i Prefetti sono autorizzati

a prendere provvedimenti particolarmente limitativi anche delle libertà civili, quali quella di movimento o di residenza nel Paese. Lo stato di emergenza è ancora oggi regolato dalla legge n°55-385 du 3 avril 1955 instituant un état d'urgence

et en déclarant l'application en Algérie, in cui all’art.1 chiaramente si sostiene come esso possa essere applicato sul scala

nazionale ovvero con riferimento ad aree specifiche della Nazione ed inoltre come la finalità sia quella di rispondere a “péril imminent résultant d'atteintes graves à l'ordre public, soit en cas d'événements présentant, par leur nature et leur gravité, le caractère de calamité publique”. Cfr. Francis Lamy, “Les attaques terroristes et l’état d’urgence en France”, in Wolfgang HEUSELJEAN, Philippe RAGEADE (edited by), The Authority of EU Law, Springer, 2019, pp. 291-300, nonché Giovanna DE MINICO, Costituzione. Emergenza e terrorismo, Jovene, 2016, pp.360.

776 Si porta qui alla memoria il discorso dell’allora Presidente della Repubblica Hollande il quale solennemente affermava

alla Nazione “nous sommes en guèrre”, disponendo contestualmente l’état d’urgence così come disciplinato dalla legge 55-385. In quella stessa occasione il Presidente palesava già la volontà di operare una modifica della Carta fondamentale volta alla costituzionalizzazione dello stato di emergenza.

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constitutionnelle de protection de la Nation n. 3381/2015 sottoposto all’Assemblea Nazionale il 23 dicembre 2015. Tale proposta verteva di base sulla costituzionalizzazione della disciplina

emergenziale di cui alla legge n. 385 del 1955, modificando l’art. 36 della Legge fondamentale777.

Il progetto prevedeva inoltre l’immissione di un nuovo art. 3-1 in Costituzione con il quale si

sarebbe sancita la revoca della nazionalità francese778 a tutti i cittadini – nati in Francia e aventi

doppia nazionalità (di cui quindi quella francese era stata acquisita tramite il meccanismo del doppio ius soli) – condannati in via definitiva per aver commesso crimini lesivi dei fondamentali

interessi della Nazione o di atti di terrorismo779. La riforma non riuscì comunque a vedere la luce,

abortita dalla discussione parlamentare per le criticità emerse sia circa la formulazione testuale

dello stato emergenziale780 sia in punto di revoca della cittadinanza che avrebbe potenzialmente

trasformato in apolidi gli individui dotati di un solo passaporto.

L’esito nefasto della tentata riforma del 2015 è in parte espressivo della sensibilità di fondo del legislatore nazionale, il quale aveva pressoché contemporaneamente portato avanti altri interventi in materia di cittadinanza, meno incentrati sul filone dello stato emergenziale e con un approccio sensibilmente differente rispetto alla guardinga chiusura dimostrata nei confronti dello straniero in ottica securitaria.

Nello stesso periodo, infatti, su impulso del Primo Ministro francese Valls, veniva costituito – in data 6 marzo 2015 - un comitato interministeriale sull’uguaglianza e la cittadinanza (à l'égalité et à la citoyenneté - CIEC), incaricato di elaborare delle misure volte alla riaffermazione dei valori repubblicani nel quotidiano. Il progetto prese il nome di "La République en actes" e si componeva di circa sessanta disposizioni, volte a reprimere le disuguaglianze e le

discriminazioni. Il 13 aprile del 2016 veniva poi depositato un progetto di legge781 in cui venivano

trasposte e prolungate alcune di tali misure, decisione motivata dalla riscontrata necessità di

777 Art. 36 Constitution 1958: “L'état de siège est décrété en Conseil des ministres. Sa prorogation au-delà de douze jours

ne peut être autorisée que par le Parlement.”

778 Per quanto concerne la revoca della cittadinanza è opportuno sottolineare come il Codice civile francese chiaramente

distingua tra la retrait de la nationalité française (di cui agli artt. 23 – 23-9 c.c.) e la déchéance de la nationalité (artt. 25 – 25-1 c.c.). La prima può essere disposta nei soli confronti dei cittadini francesi di origine, qualora il suo comportamento non sia in linea con la fedeltà alla Repubblica; mentre la seconda interessa unicamente coloro che abbiano acquisito la cittadinanza dopo la nascita, per una serie di ipotesi disciplinate dalla legge tra cui la commissione di particolari crimini. Deve comunque rilevarsi come entrambe possano essere disposte unicamente nel caso in cui non derivi una situazione di apolidia per l’individuo privato della cittadinanza francese.

779 Chiara D’ALESSANDRO, “Revoca della cittadinanza, (primo) successo di Salvini, l’insuccesso di Hollande”, in

Associazione DPCE, pubblicato online il 27 settembre 2018, consultabile al www.dpce.it/revoca-della-cittadinanza- primo-successo-di-salvini-l-insuccesso-di-hollande.html.

780 Nello specifico, il Conseil d'État aveva sollevato una questione prioritaria di costituzionalità nel dicembre del 2015

proprio lamentando l’assenza – nel testo della norma - di un nesso giustificante la dichiarazione emergenziale in relazione al singolo episodio in cui fossero state applicate misure repressive. Chiamato ad esprimersi sul punto, il Conseil

Constitutionel ritenne – con la Decision n. 2015-527 QPC del 22 dicembre 2015 – la legittimità di tali previsioni facendo

ricorso all’argomento della cosiddetta “necessità operazionale”; decisione aspramente criticata posto che l’estrema cautela dei giudici finiva per lasciare molti punti in sospeso ed interrogativi ancora aperti.

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istituzionalizzarle per via legislativa per poterne apprezzare i risultati sul lungo periodo. Suddetta proposta di legge si componeva di tre titoli: il primo relativo alla cittadinanza e all’emancipazione dei giovani, puntando – tra le altre – sullo studio dell’educazione civica; il secondo volto invece ad accompagnare i giovani verso l’autonomia, promuovendo la mescolanza sociale e l’uguaglianza di possibilità nell’accesso alla edilizia popolare; il terzo infine dedicato all’uguaglianza reale, prevedendo azioni di repressione dei crimini di stampo raziale e di promozione della formazione professionale, soprattutto in alcuni quartieri prioritari per la complessità della situazione concreta. A seguito di una lunga discussione parlamentare, il testo n. 878 venne finalmente approvato dall’Assemblea nazionale il 22 dicembre 2016 per essere poi sottoposta al Conseil Constitutionnel il quale - rendendo un giudizio di parziale conformità - rilevava la illegittimità costituzionale di alcuni articoli della legge per salvaguardarne invece degli altri782.

Tenuto conto di detta pronuncia, il Parlamento francese procedeva alla promulgazione della

legge n.86 nel gennaio del 2017783 e ad oggi la sua implementazione è ancora in atto, considerato

che l’applicazione della stessa passa attraverso il canale necessitato dell’adozione di misure regolamentari a firma del Governo. Di fondo, il testo della legge riproduce fedelmente quello che era lo spirito – e in parte il testo – delle misure del 2015, lo scopo ed obbiettivo principali, ovvero lo sviluppo della fratellanza, della coesione sociale e della eterogeneità sociale. Proposito certamente pregevole, se non fosse che lo straniero trova asilo nella legge solamente in relazione al titolo I del Capitolo I in rapporto al servizio civile e alla cosiddetta réserve citoyenne. Le altre disposizioni paiono difatti avere come interlocutore privilegiato il cittadino, il francese in quanto tale.

In aggiunta a ciò, all’interno del quadro normativo rappresentato dal Codice di entrata e

soggiorno dello straniero e del diritto di asilo (CESEDA784) e a seguito delle modifiche apportate

al sistema con la legge 29 luglio 2015, veniva altresì promulgata la legge n. 274 del 7 marzo 2016 la quale – oltre a disciplinare nuove ipotesi di allontanamento e permanenza del cittadino di uno Stato terzo sul territorio francese – fissava delle regole significative a proposito dell’acquisto

della cittadinanza francese tramite dichiarazione di nazionalità785.

Di fatto la legge instituisce due nuove modalità di acquisto della cittadinanza attraverso tale canale dichiarativo. La prima (art. 21-13-2 c.c.) riguarda le persone che abbiano abitato

782 Conseil constitutionnel n° 2016-745 DC du 26 janvier 2017.

783 LOI n° 2017-86 du 27 janvier 2017 relative à l'égalité et à la citoyenneté. 784 Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asile.

785 Décret n. 2016-872 du 29 juin 2016 relatif aux modalités de réception et de l’instruction des déclarations de nationalité

souscrites en application des articles 21-2, 21-13-1 ou 21-13-2 du code civil qui prévoit (art.9) l’entrée en vigueur des

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stabilmente sul suolo francese dall’età di sei anni, che ivi abbiano frequentato un percorso di istruzione scolastica pubblica obbligatoria e che abbiano un fratello o una sorella a cui sia stata

riconosciuta la cittadinanza francese in applicazione degli artt. 21-7 o 21-11 del Codice civile786.

Tale meccanismo di acquisizione della cittadinanza necessita però di essere attivato su impulso dell’interessato, chiamato a presentare una dichiarazione autografa presso l’autorità amministrativa competente. La seconda opzione (art. 21-13-1 c.c.) concerne invece gli adulti che abbiano compiuto almeno i sessantacinque anni i quali abbiano vissuto regolarmente e abitualmente in Francia per un periodo minimo di venticinque anni precedenti alla richiesta di riconoscimento della cittadinanza e che siano ascendenti diretti di un cittadino francese. La norma non pone inoltre alcuna preclusione sul modo in cui i discendenti in questione abbiano acquisito la cittadinanza francese, potendo ben trattarsi di casi di naturalizzazione come di dichiarazione dell’autorità a ciò preposta. Unica condizione prevista è quella della presentazione di documenti attestanti il possesso delle caratteristiche prescritte dalla norma nonché la sottoposizione dell’interessato ad un colloquio volto a valutare la sussistenza di elementi che possano ostacolare il riconoscimento dello status civitatis, quali ad esempio l’indegnità e la

mancanza di assimilazione nella società per ragioni ulteriori rispetto alle carenze linguistiche787.

Anche tale recente modifica appare dunque improntata a quella che è la cifra caratteristica della gestione del fenomeno multiculturale in Francia, ovvero la necessitata assimilazione dello

straniero alla società locale788.

2. Le politiche nazionali e i diritti civili

Se è vero, come è stato detto, che le politiche di cittadinanza sono soprattutto politiche concernenti la nazionalità, deve concordarsi sul fatto che la normativa francese suesposta ben incarna e trasmette l’approccio francese alla nazionalità, detto civico. Adottando tale angolo prospettico, la appartenenza civica deve farsi derivare dalla volontà soggettiva dell’individuo,

786 Il richiamo è ai casi di acquisizione della cittadinanza da parte del figlio nato in Francia da genitori stranieri che – al

compimento della maggiore età – divenga automaticamente francese ovvero che acquisti tale condizione giuridica a sedici anni tramite dichiarazione anticipata.

787 GISTI, Droit des étrangers en France. Ce que change la loi du 7 mars 2016, Expressions II, 2017, pp.88-89. 788 Sulla assimilazione valoriale come requisito necessario per la concessione della cittadinanza ai sensi dell’art. 21-4 c.c.

si rimanda alla sentenza del Conseil d’État del 27/06/2008, n.286798, con la quale non veniva riconosciuta la cittadinanza ad una donna straniera sposata con un francese la quale era solita – per motivi religiosi – indossare stabilmente il burqa. Nel testo della sentenza i giudici argomentarono quanto segue: “Si la requérante possède une bonne maîtrise de la langue française, elle a cependant adopté une pratique radicale de sa religion, incompatible avec les valeurs essentielles de la communauté française et notamment avec le principe d'égalité des sexes ; elle ne remplit pas la condition d'assimilation posée par l'article 21-4 du code civil et le gouvernement a pu légalement fonder sur ce motif une opposition à l'acquisition de la nationalité française par l'intéressée. Le décret lui refusant la nationalité française pour défaut d'assimilation n'a ni pour objet, ni pour effet de porter atteinte à sa liberté religieuse”, consultabile al https://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriAdmin.do?idTexte=CETATEXT000019081211.