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Il Codice dell’amministrazione digitale: la digitalizzazione degli enti pubblici diventa

La coerenza sistematica dei numerosi interventi legislativi che enfatizzano l’importanza della trasparenza quale modo nuovo di essere dell’amministrazione, così come sembrerebbe dal tenore letterale della riforma del 2005, innestata sulla 241/1990, per porla quale principio generale dell’azione amministrativa proprio nel momento in cui ne riduce lo spazio di operatività, complicando l’esercizio di quello che, sino a quel momento, era stato il principale strumento, cioè il diritto di accesso, non può cogliersi, se non guardando altrove. Solo volgendo l’attenzione verso fonti differenti dalla legge sul procedimento, si può sperare di ricondurre questa affermazione di principio ad un qualcosa di più solido, rispetto ad una vuota dichiarazione di manifesto. Come coniugare allora la legge n. 15 del 2005, che fa della trasparenza un obiettivo centrale dell’azione amministrativa, con la disciplina contenuta nella medesima legge e nel successivo decreto attuativo, il DPR 184 del 2006, che sembrano, invece, suggerire l’idea di un’amministrazione quale casa dai vetri oscurati?

Ed ancora, come regolarsi nel tentativo di cercare di ricondurre le linee legislative ad un disegno unitario, tenendo conto della legge 150/2000 che sembrerebbe anch’essa, a leggerne l’art. 1, diretta ad assicurare l’efficacia, ma anche e soprattutto la trasparenza dell’azione amministrativa? E come spiegare anche il successivo intervento del 2009, quello che prende il nome di riforma Brunetta, dal nome dell’ex ministro proponente, sia attraverso la legge n. 15 che attraverso il successivo decreto legislativo n. 150 del 2009, ed ancora, e soprattutto, con la successiva legge n. 160 del 2009, che prende il significativo nome di Operazione trasparenza, nel momento in cui si assiste alla massima crisi del diritto di accesso?

Pur con tutte le contraddizioni e le incertezze del caso, l’unica via è allontanarsi dalla legge sul procedimento e indirizzare l’attenzione verso un nuovo strumento ed istituti diversi che disegnano rinnovate dinamiche di conoscibilità, quelle contenute nel decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, il Codice dell’amministrazione digitale335 che, entrato poi in vigore il primo gennaio 2006,

335 Secondo gli studi compiuti da professor Duni, l’espressione amministrazione digitale assume in Italia importanza giuridica rilevante, proprio a seguito del nome prescelto dal Governo per detto codice: G. DUNI,

sembra configurare, in prima approssimazione, almeno due nuovi strumenti volti al fine della trasparenza: la disponibilità di informazioni e l’accessibilità dei servizi informativi on-line. La tecnica legislativa seguita non è affatto nuova, riassumibile nella scelta della emanazione, ancora una volta, di un codice di settore336 che modifica e precisa una parte dell’impianto normativo che, a partire dagli anni ’90, si è avuto in tema di informatizzazione.

Tuttavia, alcuni aspetti che il CAD avrebbe potuto e dovuto disciplinare vengono completamente ignorati, a partire dalla decisiva questione dell’eliminazione del digital divide337, senza trascurare il fatto che la stessa compiuta realizzazione di un progetto nazionale telematico richiederebbe anche attenzione al profilo del raccordo tra enti centrali e locali, in particolare quelli regionali; ma, anche su questo versante, il codice si rivela inappagante, limitandosi sostanzialmente, da un lato ad incorporare quel Sistema Pubblico di Connettività338 che dovrebbe essere l’architettura informatica in cui tutte le amministrazioni si scambiano vicendevolmente dati utili, da un altro canto ad introdurre istituti che dovrebbero contribuire a costruire un sistema informativo a carattere informatico che presenti il requisito della unitarietà. E’ il caso delle discipline previste per i “dati territoriali”, per la “base di dati di interesse nazionale” e, soprattutto, per “l’indice nazionale delle anagrafi”.

La genesi del codice risiede nell’art. 10, comma 1, della legge n. 229 del 2003 che, a sua volta, rappresenta nient’altro che un’attuazione della legge di semplificazione del 2001 che ha delegato il Governo a predisporre il riassetto della disciplina in “materia di società dell’informazione”. Si noti che il legislatore ha atteso l’ultimo momento per l’approvazione del codice, quasi in concomitanza con lo scadere della delega339. Il contenuto della delega è in realtà molto più ampio dei confini del Codice dell’amministrazione digitale, in quanto Amministrazione digitale, in Enc. Dir., Annali, Milano, 2007, p. 14. Tra le fonti di commento al CAD si

consigliano, in particolare la consultazione di AAVV., Codice dell’amministrazione digitale, a cura di Carloni, Rimini, 2005, ed ancora, AA.VV., Codice dell’amministrazione digitale, Roma 2008.

336 Per avere un quadro relativo alla problematica dei codici di settore, si consiglia la lettura di N. IRTI, <<Codici di settore>>: compimento della <<decodificazione>>, in Dir. e Soc., p. 131 ss; secondo la tesi espressa da Irti, i codici di settore e quindi anche il CAD, non sarebbero leggi speciali perché, per esserlo, non dovrebbero presupporre altre norme, ma contenere essenzialmente leggi specializzate la cui emanazione si impone per tenere testa alla continua evoluzione dell’assetto economico-sociale.

337 Sul complesso percorso che ha portato alla emanazione del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, si consiglia la lettura di M. PIETRANGELO, La società dell’informazione tra realtà e norma, Milano, 2007, in cui lamenta l’eccessivo uso di affermazioni manifesto, non accompagnate da norme precettive che consentano di attuare il grande numero di principi che esso contiene.

338 F. MARTINI, Il sistema informativo pubblico, Torino, 2006, p. 217 ss.; il testo in esame approfondisce le problematiche relative al progetto di creare una rete federale, volta a collegare tutte le amministrazioni e gli enti pubblici e anche tutte le reti operative nelle Regioni italiane.

339 La delega contenuta nella legge n. 229 del 2003 aveva una durata di 18 mesi e scadeva il 7 marzo del 2005: ebbene, il legislatore ha emanato il CAD il 5 marzo del 2005, appena due giorni prima della scadenza! Forse è questa la vera ragione dell’entrata in vigore posticipata al 1 gennaio 2006, cioè la consapevolezza di avere legiferato solo negli ultimi istanti utili, cogliendo tutti di sorpresa, e poi il fatto di avere esercitato la delega in modo frazionato, con l’istituzione del Sistema Pubblico di Connettività pochi giorni prima dell’emanazione dello stesso CAD, suscitando in questo modo un senso di comprensibile smarrimento presso l’interprete, costretto a tenere conto di una pluralità di fonti sulla materia.

è relativo all’adozione di un complesso variegato di provvedimenti che avevano come scopo comune quello di favorire l’adozione e lo sviluppo delle tecnologie informatiche nella società, a diretto beneficio dei cittadini e delle imprese, con l’obiettivo ultimo di farne un elemento determinante per avviare una nuova stagione di rapporti all’insegna della semplificazione.

La delega non è stata, però, esercitata in modo organico e questo è ben visibile dall’osservazione del quadro delle fonti. Infatti, contemporaneamente al CAD, è stato emanato il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 42, istitutivo del Sistema Pubblico di Connettività, e questo ha reso da subito l’intervento disarticolato; infatti è stato necessario attendere, in un secondo tempo, l’emanazione del decreto legislativo correttivo 4 aprile 2006, n. 59, che ha tardivamente innestato la disciplina del SPC all’interno del CAD, abrogando finalmente il decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 42. Non è tutto: si è rivelata quanto mai difficile anche la convivenza con il Testo Unico sulla documentazione amministrativa, cioè il Decreto Presidenziale n. 445 del 2000, tutt’ora in vigore seppur, ad essere sinceri, da avventuroso sopravvissuto, lacerato dall’abrogazione di molte norme, anch’esse confluite nel CAD.

Infine, il sistema ha dovuto sopportare anche la contemporanea vigenza di normative settoriali su tematiche che, ancora una volta, sarebbero potute e dovute confluire nel CAD. E’ il caso, ad esempio, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, che ha disciplinato, per la prima volta, l’istituto della Posta Elettronica Certificata (PEC), poi modificata più volte con normative che, ancora oggi, camminano per conto loro; questo è il caso della legge 28 gennaio 2009, n. 2, relativa a tanti profili, tra i quali merita attenzione l’obbligo fatto a professionisti iscritti ad albi di comunicare, a decorrere di un anno dalla legge stessa, ai rispettivi ordini o collegi, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata; oppure, di particolare rilievo, l’obbligo per le amministrazioni di comunicare, parimenti, indirizzo di PEC per ciascun registro di protocollo. Sembra poter affermare che la richiesta formulata dal Consiglio di Stato340 di avere a disposizione un testo completo e leggibile, sia stata disattesa. Nonostante tutti questi rilievi, vi è un punto fermo che è indispensabile mettere in luce, quello che emerge espressamente dall’art. 12, comma I, del CAD, così

340 Un commento generale sul parere del Consiglio di Stato in merito all’emanazione del CAD si può trovare alla voce on-line: www.giurdanella.it, in cui l’autore va a ritroso e ricorda che la Suprema magistratura amministrativa aveva già espresso in altre occasioni parere favorevole, sia ad un intervento, ma anche a un complessivo riordino della materia dell’informatica nelle pubbliche amministrazioni. E’ il caso, soprattutto, dell’adunanza del 30 agosto 2004, parere 7904/04, in cui il Consiglio di Stato, ricordando che il legislatore aveva già in passato peccato di disorganicità, perché si era limitato alla mera sostituzione della RUPA con il SPC, affronta per la prima volta il tema del Codice dell’amministrazione digitale, esprimendo un parere sullo schema di decreto legislativo che il Governo si apprestava a licenziare di lì a pochi giorni e sottolinea che un compiuto esercizio di delega, di quanto previsto nell’art. 10 della legge n. 229 del 2003, può esservi solo se l’emanazione del CAD avviene con un contestuale rinnovo di tutta la materia. Dello stesso tenore infatti altri due pareri, il 6786/04 e il 7903/04, rispettivamente sull’indice nazionale delle anagrafi e su disposizioni inerenti l’utilizzo della posta elettronica certificata.

come modificato dall’art. 9, comma I del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235, in base al quale le amministrazioni “utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione, nonché per la garanzia dei diritti dei cittadini e delle imprese, di cui al capo I, sezione II, del presente decreto”. Questa norma di principio, secondo l’impostazione di professor Carloni341, è di notevole importanza perché riconduce, nel suo scarno contenuto, tutto il sistema a coerenza: si precisa infatti che le opportunità offerte dalle nuove tecnologie non devono avere altro scopo che la realizzazione di tutti gli obiettivi generali dell’azione amministrativa e, tra questi prospetti rientra, a pieno titolo, la trasparenza. Si torna quindi ad effettuare un collegamento che, già insito nell’attuale legge sul procedimento, almeno a livello di affermazioni di principio, individua la trasparenza tra gli obiettivi di qualsiasi attività di un ente pubblico; l’unica novità è il vincolo di avvalersi di tecnologie telematiche ed informatiche per raggiungerla. La norma, infatti, utilizza il termine “obiettivi”, ma in realtà siamo dinnanzi ad altrettanti principi, quali sono quelli contenuti nell’art. 1 della legge 241342, con l’unica eccezione del mancato riferimento nell’art 12 al principio di efficienza che pare abbastanza comprensibile, perché se la 242 pone principi inerenti l’attività, cioè rivolti al profilo squisitamente operativo, l’art. 12 pone una norma più di carattere organizzatorio.

Un altro aspetto di importanza fondamentale contenuto nella norma è quello, per così dire, della proiezione organizzatoria, nel senso che l’art. 12 del CAD proietta sull’organizzazione quello che l’art. 1 della 241 pone sul piano dei principi: “nell’organizzare autonomamente la propria attività” è l’incipit della disposizione, le amministrazioni fanno uso delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Il salto di qualità è ormai compiuto: esse non riguardano più questo o quel settore, ma acquistano valenza generale, le ICT diventano un modo di essere di tutta l’amministrazione343.

Tuttavia, la piena comprensione della portata dell’art. 12 si coglie effettuandone una lettura sinergica con l’art. 15, perché la norma consente di superare definitivamente quell’idea in auge almeno dagli anni ’70, sino all’inizio del

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AAVV, Codice dell’amministrazione digitale, cit., p. 135 ss..

342 L’art. 1 comma 1, della 241 dispone testualmente, in notevole assonanza con l’art. 12 del CAD che: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.

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Un altro aspetto di interesse notevole è la scelta terminologica del legislatore con riguardo al Codice e, in particolare, l’utilizzo del singolare anziché del plurale, cioè la dicitura usata è Codice dell’amministrazione digitale e non delle amministrazioni digitali, per il semplice fatto che si vuole cogliere nelle tecnologie digitali un elemento nuovo unificante, un profilo che deve riguardare l’amministrazione come un blocco unitario, rifuggendo da qualsiasi deriva pluralista, anche sul piano lessicale; perché è vero che la Costituzione dal 2001 esalta il pluralismo amministrativo, ma è anche vero che, dal punto di vista dell’ingresso delle nuove tecnologie, è più importante uno sforzo unificante, in modo che queste penetrino nel modo più uniforme possibile in tutta l’amministrazione, da qui questa voluta scelta terminologica.

nuovo millennio, secondo la quale l’organizzazione degli apparati pubblici era considerata elemento estrinseco rispetto al processo di informatizzazione e non una delle sue componenti. Infatti, non a caso, l’art. 15 sottolinea che la “riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni” passa proprio attraverso “il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Questo significa che sono proprio le nuove tecnologie ad essere il fattore di impulso, che contribuiscono in modo determinante al rinnovo dell’amministrazione. In pratica, dalla sola lettura dell’art. 12 non era possibile cogliere pienamente a che livello queste nuove opportunità dovessero operare in seno agli enti pubblici, con l’art. 15 si può apprezzare il fatto che la profondità è la più elevata possibile, cioè sono elemento determinante di una nuova organizzazione degli enti. Il primo ente che aveva avuto questa visione dinamica del valore degli strumenti informatici era stato l’AIPA, oggi DigitPA, fin dalla sua istituzione nel 1993, ma i tempi non erano ancora maturi e, vi era comunque una normativa incauta perché, in ossequio al principio dell’autonomia organizzativa, gli enti pubblici erano liberi di scegliere tempi e modi attraverso cui effettuare questo passaggio.

Con il CAD cambia tutto: il legislatore del 2005, constatato il fallimento di politiche affidate a libere manifestazioni di volontà degli enti, ha parzialmente contraddetto l’art. 12, che sembra ispirato al principio di autonomia organizzativa, per disporre che la riorganizzazione delle amministrazioni, tramite le tecnologie informatiche, debba avvenire in modo vincolante, viene imposta dall’alto. In questo senso, nonostante l’art. 15 non utilizzi incautamente i termini “imposizione” od “obbligo”, si deve ritenere che la norma abbia un valore cogente e non certo di mera disposizione di principio, quantomeno dal punto di vista degli interventi in materia del legislatore statale.

Le amministrazioni non possono scegliere, sono obbligate a dotarsi delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione. Infine, dall’art. 15 si può ricavare l’esistenza di un continuo stato d’allerta per le amministrazioni, quella che il professor Carloni definisce in modo felice “tensione permanente344”, nel senso che non possono certo ritenere che la loro missione possa dirsi esaurita con un singolo intervento di innovazione e aggiornamento. Questo per il semplice fatto che si tratta di tecnologie volatili, soggette a cambiamento ed innovazione continua e, pertanto, gli enti pubblici dovranno avere cura, per quanto possibile, di seguire questo processo di rinnovamento, dotandosi periodicamente di nuove tecnologie che siano aggiornate con i tempi.

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