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di carattere centrale, presieduta dal re e composta da un vicepresidente, 3 presidenti di Sezione e 34 consiglieri, incaricata di dirimere le controversie nei vari settori dell’amministrazione, ed un’altra composta da una serie di giudici speciali, deputati a dirimere le eventuali controversie insorgenti tra privati ed Autorità, diventa per sempre un organo a funzione mista e comincia un lungo cammino di tutela sempre più efficace dei cittadini verso l’Autorità.

Spaventa si è inserito come un gigante nella evoluzione storica della giustizia amministrativa italiana in quanto, è storia arcinota, grazie al suo contributo, nel 1865 viene emanato il celebre decreto 20 marzo 1865, n. 2248, abolitivo dei giudici speciali con la conseguente attribuzione delle controversie, che dovessero insorgere con l’Autorità, in parte alla competenza del giudice ordinario, nella parte restante alla stessa Amministrazione.

Questo sistema risulta ovviamente carente perché, di fatto, lasciava i privati scoperti in quanto a tutela laddove la P. A. agisse come Autorità, cioè in quei casi in cui risultassero coinvolti gli interessi legittimi e solo con la istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato venti anni dopo con legge n. 5992 del 31 marzo 1889 dedicata appositamente alle controversie tra privati ed Autorità, si trovò una primordiale soluzione a questa esigenza di tutela degli emergenti interessi privati e quindi, in senso ampio, ad una crescente esigenza di trasparenza che il cittadino comincia a sentire verso i pubblici poteri. Però l’abolizione dei giudici speciali fu comunque un grandissimo passo avanti, per la prima volta le controversie sorgenti con l’amministrazione venivano affidate ad un giudice ordinario. L’afflato ideale che agita Spaventa è evidente nel celebre discorso112 preparato, ma mai effettuato, in occasione della prevista

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Silvio Spaventa aveva preparato un discorso di alto profilo etico e morale in previsione della inaugurazione, in forma solenne, della IV Sezione del Consiglio di Stato, istituita nel 1890 e della quale venne nominato Presidente. Tuttavia, questa orazione non venne in realtà mai pronunciata, perché l’inaugurazione di tale Sezione avvenne in 13 marzo 1889, in forma non solenne. Estratti di questo discorso sono reperibili on-line all’indirizzo

www.iisf.it, nel quale si legge, tra gli altri aspetti, con quanta passione lo statista si battesse per realizzare un’effettiva giustizia nell’amministrazione: “….Sarebbe, infatti, un errore grande il credere che la giustizia

amministrativa sia nata solo ai giorni nostri; poiché se,come è dimostrato razionalmente, essa è elemento essenziale d’ogni amministrazione pubblica, ha dovuto esistere in tutti i tempi, in cui vi fu qualche embrione di lavoro sociale che si chiami pubblica amministrazione. Senonché, spettava ai nostri tempi il compito di recare ad un punto più alto di vista, a più pieno sviluppo, ciò che ha esistito da secoli in una forma imperfetta. La giurisdizione di diritto amministrativo è parte della giurisdizione di diritto pubblico, comprendendo in questo il complesso delle norme giuridiche attinenti allo stato della cosa pubblica, ad “rei romanae statum”. La giustizia amministrativa, come è concepita ai nostri giorni, ed è stata principiata ad incarnare da noi nella nostra legge testo unico 2 giugno 1889 sul Consiglio di Stato, non è che un complemento della giurisdizione di diritto amministrativo, come fu attuata nelle nostre leggi 20 marzo 1865 e 30 marzo 1877 sull’abolizione del così detto contenzioso e sui conflitti d’attribuzioni. Quelle leggi deferirono ai tribunali ordinari il riesame e la cognizione di tutti gli atti e provvedimenti della pubblica amministrazione, impugnati per lesione di alcun diritto civile e politico, e formano il principale baluardo del diritto pubblico italiano. Come però questa difesa fosse insufficiente, e quale il complemento che essa ha avuto con la legge del 1889, dirò appresso…..”. Ancora più

lucido il riferimento esplicito al nuovo ruolo dell’amministrazione moderna e alla sollevazione, per la prima volta in assoluto, ad una esigenza di imparzialità dei comportamenti da parte dei pubblici poteri: “…..se

l’autorità amministrativa è, in generale, il potere esecutivo della legge,il suo compito nella vita reale (poiché la legge non può preveder tutto, né dar norma per ogni cosa) sorpassa il contenuto di quella, e si estende in molti punti dove, o la legge stessa o un diritto non scritto e consuetudinario, o, se non si vuole dir tale, un diritto, che non è meno nella coscienza pubblica, e deriva dall’essenza stessa del governo, lasciano a questo un campo assai

inaugurazione in pompa magna della IV Sezione del Consiglio di Stato, poi avvenuta solo in via informale.

Silvio Spaventa prende le mosse da una’altissima concezione dello Stato che non si concretizza certo nelle mutevoli maggioranze e nei Ministeri che lo rappresentano, ma costituisce invece, o almeno dovrebbe essere, un’autorità immanente che si pone sopra e al di fuori dei partiti per mantenere saldi ed incolumi, in mezzo alla lotta dei ceti e degli interessi, la libertà dei singoli ed il bene comune. Ma, se questo è lo Stato moderno, è inconciliabile un sistema di giustizia amministrativa che affidava al giudice ordinario e, soprattutto, alla stessa amministrazione il compito di dirimere i conflitti nei quali fossero coinvolti interessi legittimi dinnanzi alla P. A. che agiva con i consueti poteri autoritativi e con l’ampia discrezionalità dovuta a chi avesse l’alto compito di perseguire il fine pubblico. Questo punto è cruciale nel ragionamento del politico, è contrario all’esigenza di imparzialità che uno Stato moderno deve avvertire nei suoi rapporti con i cittadini, un sistema amministrativo giurisdizionale che affidi addirittura ad una parte in causa, la stessa amministrazione, il compito di dirimere le controversie che dovessero sorgere in relazione ad interessi dei cittadini.

Ecco il seme dell’imparzialità dell’amministrazione, gettato addirittura più di mezzo secolo prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e del nuovo parametro contenuto nell’art. 97.

Eppure, una volta entrata in vigore la Carta, la prima interpretazione conferita all’imparzialità è stata quella di un mero divieto dal tenere comportamenti partigiani, cioè esso era un criterio, una fonte avente una ridotta forza coercitiva: all’imparzialità si riconosceva la capacità di generare un dovere di astensione dei funzionari nelle questioni che li interessassero personalmente o, al massimo, largo di libera azione ed estimazione, per agire nel pubblico interesse e raggiungere i suoi fini. Le grandi amministrazioni moderne negli Stati non si costituirono, né han potuto vivere e prosperare, che a codesto patto. E qui, appariva necessariamente un nuovo aspetto del problema della giustizia amministrativa. Gli atti o provvedimenti, che l’amministrazione dello Stato compie in questa sfera, che ho detto di libera azione ed estimazione, nei suoi rapporti coi privati, devono intendersi nel senso, che, esclusi interamente ad ogni riesame o cognizione dei tribunali ordinari, vogliono essere lasciati tutti all’arbitrio delle stesse autorità amministrative? Ovvero, almeno per una parte di essi, nei quali è più facile e temibile e nocivo l’arbitrio, si può trovare nell’organismo dell’amministrazione stessa un controllo efficace, in modo da offrire qualche guarentigia di giustizia e d’imparzialità, desiderabile sempre in ogni sfera dell’amministrazione di un paese civile? Queste guarentigie di giustizia e d’imparzialità sono diventate oggi un bisogno tanto più imperioso, in quanto, essendosi il governo costituzionale, secondo la legge della propria natura, trasformato in governo di partito, l’amministrazione dello Stato vuol essere tutelata al possibile dagl’influssi dello spirito di parte, che ne corrodono le forze e ne alterano il fine più essenziale e benefico: quello di essere non più un’amministrazione di classe, ma eminentemente sociale e rivolata al bene comune. La nostra legge del 1865 non provvide sufficientemente a questo bisogno, né intese pienamente il problema di come soddisfarvi. Essa fu figlia di quell’indirizzo negativo accennato di sopra, che reclamava a giusta ragione la separazione della giurisdizione di diritto pubblico dall’amministrazione; ma si contentò di deferire ai tribunali ordinari tutti gli atti del potere amministrativo ed esecutivo, in cui si faccia questione di un diritto civile o politico, abbandonando all’amministrazione pura la decisione di tutti i reclami, nei quali si tratta di offesa ai semplici interessi, o non richiedendo altre guarentigie per questi, che il parere dei corpi consultivi posti accanto all’autorità che decide, e la motivazione dei suoi provvedimenti; lasciando, quindi, arbitro supremo il potere ministeriale…..”.

un obbligo di individuare dei criteri generali per evitare una serie di comportamenti che portassero i funzionari ad incorrere nel vizio di eccesso di potere.

E d’altronde, non si può certo dimenticare che la giurisprudenza costituzionale ha avuto una iniziale tendenza ad assorbire imparzialità e buon andamento nell’ambito della legalità terzo brocardo contenuto nell’art. 97 della Carta, ma forse il più importante tra i 3 principi, di sicuro perché ogni orientamento è figlio dei tempi e certamente, negli anni ’50, la Corte era condizionata da un modello di amministrazione tradizionale di tipo autoritario113 e dunque poco propensa a sviluppare la portata innovativa dell’imparzialità quale canone esteso oltre il semplice significato della parità di trattamento. Considerazioni analoghe merita il buon andamento, interpretato genericamente come buona amministrazione o, ancor più vagamente, inteso quale sinonimo di efficienza nello svolgimento dell’attività amministrativa.

Anzi, le prime pronunce della Consulta ribaltano addirittura il concetto, nel senso che imparzialità e buon andamento sono i grimaldelli per giustificare, all’opposto, la disparità di trattamento di cui dovrebbero beneficiare coloro che operano nel pubblico impiego. Vi è di più, infatti la Corte ritiene che imparzialità e buon andamento, lungi dal meritare una dignità autonoma, siano invece dei criteri da utilizzare con profitto per assicurare il rispetto dei principi contenuti nel II e III e comma dell’ art. 97, parametri necessari per raggiungere il risultato di una razionale e ben organizzata distribuzione dei compiti all’interno delle amministrazioni114, oppure, anche in tempi molto più recenti,115 un limite alla pur ampia discrezionalità del legislatore nei criteri di scelta per introdurre un nuovo personale all’interno dell’amministrazione.

Sui rapporti tra imparzialità e discrezionalità si è speso con autorevolezza il maestro Umberto Allegretti, fornendo un contributo di rilievo decisivo nello

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G. ROEHRSSEN, La corte costituzionale e il diritto amministrativo, in Il diritto amministrativo degli anni

’80. Atti del 30° convegno di studi di Scienza dell’amministrazione, Milano, 1987.

114 Corte cost., 7 marzo 1962, n. 14, nella quale la Suprema Corte spiega che. nel primo comma dell’art. 97 della Costituzione non può ravvisarsi una semplice direttiva rivolta agli organi dell’amministrazione e neppure una mera riserva di legge, ma la disposizione va letta legandola al II comma che domanda che nell’ordinamento degli uffici si provveda ad individuare con precisione sfere di competenza e responsabilità dei funzionari, al fine di raggiungere il risultato di assicurare l’imparzialità ed il buon andamento dell’amministrazione. A tal fine le Disposizioni Superiori, intervenendo a proposito di una questione di legittimità costituzionale di una legge regionale siciliana, la dichiarano costituzionalmente illegittima, precisando che si avrebbe una elusione del precetto costituzionale in presenza di leggi che istituiscono nuovi servizi e nuovi uffici, rimandando però l’individuazione delle attribuzioni e dei compiti dei nuovi funzionari facenti parte della dotazione organica, ad una legge da emanare successivamente.

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Corte cost., 29 marzo 1983, n. 81, nella quale la Consulta continua nell’orientamento ombelicale restrittivo della imparzialità e trasparenza, visti come limiti alla discrezionalità amministrativa nello scegliere regole alternative a quelle del concorso, per provvedere alla selezione del personale da introdurre nell’amministrazione precisando, con particolare riferimento al buon andamento, che si tratta di un criterio che postula la necessità di inserire all’interno dell’amministrazione solo quei soggetti “i quali dimostrino convenientemente la loro generica attitudine a svolgere le funzioni che vengono affidate a chi deve agire per la p.a.” ed inoltre, con riguardo agli avanzamenti di carriera, lo stesso parametro deve essere la stella cometa per individuare, in modo esatto, soggetti che rivelino attitudini adeguate anche a svolgere le mansioni superiori.

spiegare che non si tratta di due anime inconciliabili ma di due facce della stessa medaglia. Anzitutto Allegretti mette a nudo il fatto che l’interpretazione di essa come un mero divieto di comportamenti partigiani è invero povero di ricchezza applicativa perché, alla fine, l’imparzialità apparirebbe ancora, in realtà, fortemente intrisa di parzialità perché comunque l’amministrazione, quand’anche tenuta a non parteggiare per uno dei configgenti interessi privati sul tappeto, inevitabilmente finisce per parteggiare per il proprio interesse di parte.

In secondo luogo l’autore, ricordando evidentemente la genesi dell’imparzialità quale esigenza dell’agire amministrativo che porta alla nascita della IV sezione del Consiglio di Stato, la prima a carattere giurisdizionale, spiega che l’imparzialità nasce da una esigenza di giustizia nell’amministrazione e giustizia significa operare per contemperare gli interessi di tutti i cittadini toccati dalle azioni dell’amministrazione ed allora ecco che, sotto questo profilo, la discrezionalità non si contrappone più all’imparzialità perché l’agire con discrezionalità per contemperare tutti gli interessi pubblici o privati in gioco, deve comunque avvenire secondo imparzialità, cioè in modo conforme ad esigenze di giustizia. Ecco un grande arricchimento che supera il divieto di comportamenti partigiani, imparzialità criterio capace di orientare e guidare le scelte discrezionali dell’amministrazione.

Tuttavia, nonostante questo deciso passo avanti, la strada evolutiva è stata lunga e lenta. In particolare, ce lo dice la Consulta ancora nel 1990116, sembrerebbe che l’imparzialità sia un pur importante pilastro ma che, alla fine, esaurisca la sua ricchezza ermeneutica in due principali profili: parrebbe anzitutto che essa si configuri come un mero corollario del III comma della norma che individua il concorso come meccanismo principe di accesso agli enti pubblici, precisando che gli impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. In secondo luogo, se un'altra funzione vuole rinvenirsi nel principio per vivificarlo, parrebbe che lo si possa utilizzare come criterio eminentemente rivolto al momento organizzativo dell’attività amministrativa, cioè canone indicativo della necessità di predisporla in modo imparziale e così, a titolo esemplificativo, risulta naturale che cospicue tracce della giurisprudenza costituzionale usino l’imparzialità come frangiflutti avverso casi di ineleggibilità e incompatibilità amministrative117.

116 Corte cost., 26 settembre 1990, n. 453, in cui ancora emerge il carattere meramente dell’imparzialità, quale principio meramente organizzativo in forza del quale l’accesso all’amministrazione avviene tramite il concorso pubblico. Certo, la sentenza è importante perché fa cenno ad un profilo di valore essenziale, la distinzione tra politica e amministrazione, ma a questa distinzione viene conferito solo un valore strutturale, inteso come capacità delle strutture amministrative di darsi un’organizzazione in piena autonomia ed indipendenza. Detto in altri termini: lo strumento dei concorsi per reclutare nuovo personale è il meccanismo più evidente attraverso il quale si determina l’indipendenza delle amministrazioni sul piano organizzativo.

117 Corte cost., 4 gennaio 1977, n. 44, che interviene sulla normativa che preclude l’elezione a sindaco di chi abbia ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado, che siano titolari dell’ufficio di segretario comunale. La Consulta, in questo caso, invoca proprio buon andamento e imparzialità dell’amministrazione per sancire la legittimità costituzionale della prescrizione restrittiva e conferma la valenza,

Eppure, che imparzialità e buon andamento meritino una interpretazione più ricca ed evolutiva pare chiaro immediatamente leggendo le ragioni complessive che hanno giustificato l’introduzione dell’art. 97, cioè avere “un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti”118; il che impone una sua rilettura che tenga conto del fatto che all’amministrazione è affidato il compito di realizzare una parte cospicua dei diritti individuali del cittadino; imparzialità significa anzitutto tutela dei diritti e delle libertà fondamentali come, ad esempio, si può significativamente ricordare, per la libera consultabilità della documentazione storica,119 la quale, a sua volta, non può che ricollegarsi alla libertà della ricerca scientifica sancita dall’art. 33, I comma della Costituzione con sullo sfondo il parametro della imparzialità e quindi, il dominio necessitato del principio di trasparenza.

Infatti, se supponessimo che le amministrazioni degli enti pubblici che gestiscono gli archivi documentali non ne garantissero il libero accesso, ma concedessero la visione di tali dati solo a soggetti dotati di certe convinzioni politiche ed ideologiche e ne escludessero altri, a venire lesa sarebbe l’imparzialità e, di converso, il principio costituzionale implicito di trasparenza. E d’altronde, non sempre la dottrina, anche autorevole120, ha sottolineato con la necessaria intransigenza quanto sia importante avere un’ amministrazione realmente imparziale, quale presupposto indispensabile per realizzare effettivamente i diritti di tutti i cittadini.

In effetti, la sottovalutazione della sua forza è evidente laddove si rifletta sul fatto che, di fronte ad un legislatore libero di esercitare un amplissimo potere discrezionale in quei casi in cui determinate normative introdotte nel sistema giuridico avessero un contenuto così vago ed indeterminato da non essere in

preminentemente organizzativa, da conferire all’imparzialità, un canone di funzionamento efficiente e razionale dell’amministrazione.

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L’intero repertorio degli Atti dell’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, composta di 556 deputati, eletta il 2 giugno 1946 e riunitasi in prima seduta il 25 giugno nel palazzo Montecitorio ed operativa sino al 31 gennaio 1948, giorno della chiusura dei lavori, è liberamente consultabile on-line all’indirizzo:

http://legislature.camera.it. Durante questo periodo, si tennero 375 sedute pubbliche, di cui 170 dedicate alla discussione e all’approvazione della nuova Costituzione. In particolare, l’affermazione che richiama alla necessità di realizzare un’amministrazione che si svincoli dai partiti e si dedichi ad una gestione oggettiva della cosa pubblica è ascrivibile alla II Sottocommissione, Sez. I, il 14 gennaio 1947. Vi è da precisare che, naturalmente, in seno all’Assemblea Costituente venne individuato un nucleo di persone più ristretto, la famosa Commissione dei 75, una commissione speciale presieduta da Bartolomeo Ruini, noto Meuccio, già presidente del Consiglio di Stato, incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione repubblicana, la quale cominciò i lavori il 15 luglio 1946 per concluderli il 1° febbraio 1947. Successivamente, l’Assemblea costituente iniziò la discussione sul progetto di Costituzione il 4 marzo 1947, per esaurirla il 22 dicembre dello stesso anno. 119

L’art. 122 del Codice dei beni culturali, rubricato archivi di Stato e archivi storici degli Enti Pubblici, stabilisce il principio della libera consultabilità dei documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici delle regioni, degli enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico, con limitate eccezioni stabilite dalla stessa disposizione.

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T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 1986, p. 434 ss.. L’autore svaluta la portata del principio di imparzialità e, con severità, afferma che l’imparzialità dell’amministrazione sia un mito sorto in età liberale e comunque, lasciando una porta aperta ai sogni irrealizzati, sostiene che sia importante, quantomeno, la sua concettualizzazione teorica. Anzi, dalle pagine del manuale, sembra evincersi che l’autore, in uno slancio di ottimismo, ritenga che sia possibile realizzarla.

grado di impedire, tramite il loro contenuto precettivo, arbitrii o discriminazioni, si preferiva affermare che vi era stata una violazione del principio di uguaglianza, lasciando l’imparzialità in panchina quale mero spettatore passivo121.

A questo si deve aggiungere l’ulteriore rilievo filosofico della scarsa attenzione del costituente alla pubblica amministrazione; a volte anche la quantità pesa ed allora solo due disposizioni costituzionali che si occupino di amministrazione sembrano il segno della secondaria importanza attribuita dall’Assemblea Costituente alla P. A.. Infatti, quando ci si rende conto che esiste un’esigenza di limitare l’amplissima discrezionalità legislativa, lo si fa mossi da una esigenza di tutelare le libertà o, ancor più dei diritti costituzionali, assai meno dinnanzi ad uno sparuto fantasma per decenni privo di qualsiasi tutela, qual è l’interesse legittimo privato.

Infine, l’argomento forse più rilevante per spiegare le difficoltà incontrate dall’imparzialità ad arricchirsi di significati più pregnanti rispetto alla mera non discriminazione, è di carattere strettamente processuale; infatti sarà compito solo del giudice amministrativo quello di valutare se, nella situazione concreta, ci si

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