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L’eGovernment italiano tra difficoltà organizzative, disinteresse governativo e spinte

Il quadro complessivo di inquadramento della situazione nella quale comincia il percorso dell’amministrazione italiana verso l’eGovernment può dirsi esaustivo solo se si approfondisce, almeno a grandi linee, il come è avvenuto il percorso dell’innovazione tecnologica in Italia. Se è vero che i nuovi principi che hanno trovato ingresso nell’amministrazione italiana hanno tutti l’elemento comune di essere fondati, latu sensu, sull’informazione e sulla comunicazione, è anche percepibile che sullo sfondo della sostituzione dell’accesso come strumento principale della trasparenza, si intravvede un percorso che ci condurrà, passando dapprima per un esame della legge n. 150/2000, primo vero tentativo di disciplinare organicamente attività e strutture dedicate allo svolgimento della funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, inevitabilmente ad analizzare, quale approdo finale, quegli istituti che sono contenuti nel codice dell’amministrazione digitale.

Bisogna, anche, dare conto del fatto che la funzione di comunicazione, soprattutto per il tramite delle nuove tecnologie informatiche, è passata attraverso un percorso tutt’altro che concluso, anzi tutt’ora pienamente in atto, quello dell’innovazione tecnologica, perché la funzione di comunicazione può compiersi efficacemente solo in presenza di tecnologie che consentano di renderla effettiva. Perché tutto questo?

C’è un legame indissolubile da evidenziare; inutile parlare di nuovi istituti giuridici legati alla comunicazione e ad un possibile nuovo volto della trasparenza, se non si evidenzia una realtà sinora solo sullo sfondo: l’innovazione amministrativa può poggiare solo su quella tecnologica e non è frase fatta o conclusione che può farsi oggi nel tempo dell’era informatica, ma è constatazione dell’esistenza di un legame che è stato evidenziato sin dalla parte finale degli anni ‘70 nel rapporto Giannini298. La questione, come sempre, è ancora più articolata di quanto non sembri, perché è vero che questa

298 Il noto giurista Massimo Severo Giannini, ministro per la funzione pubblica nel primo Governo Cossiga, operante dal 4 aprile 1979 al 4 agosto 1980, elaborò un documento noto comunemente come Rapporto Giannini che, in realtà si chiamava Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato, reperibile in Riv.

trim. dir. pubbl., 1982, p. 733 ss., in cui veniva messo in luce lo stato di notevole arretratezza in cui versavano le

amministrazioni italiane alla fine degli anni ’70 e si proponeva la costituzione di un centro per i servizi informativi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri deputata a monitorare, coordinare e supportare le amministrazioni per la stipulazione di contratti di acquisto di hardware e software, ma questi spunti vennero lungamente ignorati. D’altronde, tutto il quadro di sconfortante disinteresse per la materia è coerente con la stessa collocazione fisica dell’informatica di Stato, considerata una sottofunzione del Ministero del Tesoro- Provveditorato generale dello Stato ed era proprio quest’ultimo ad occuparsene. In pratica, si riteneva di avere a che fare non con una cruciale questione da affrontare strutturalmente e singolarmente, ma con una banale esigenza di acquisto saltuario di beni e servizi aventi carattere strumentale.

sollecitazione di Giannini era un grido di dolore più che giustificato299 ed insieme uno stimolo condivisibile a sviluppare l’informatica pubblica in Italia ma, sotto un altro profilo, già allora, alcuni studiosi300 avvertivano i possibili rischi che si sarebbero potuti palesare con un grande sviluppo dell’informatica pubblica, cioè il timore della sindrome da Grande Fratello, una pesante invasività dei pubblici poteri nella vita privata del cittadino, una capacità delle amministrazioni di controllare in maniera capillare i movimenti della vita dell’individuo, con conseguente inevitabile sacrificio di spazi di riservatezza, ponendosi già allora la questione del bilanciamento tra le due opposte esigenze. La realtà della storia dell’innovazione tecnologica italiana è molto semplice: lo Stato non ci credeva, aveva palesemente sottostimato il potenziale di crescita di questo settore, ignorato le molteplici opportunità; di conseguenza, erano scarsi gli investimenti, quasi inesistenti le competenze professionali in materia informatica nel pubblico impiego. Significativamente, negli anni ’70, il fulcro dell’informatica di Stato poggiava su un organismo, il Provveditorato Generale dello Stato, istituito presso il Ministero del Tesoro, a sottolineare il mero valore strumentale e secondario che si riteneva avesse l’informatica di Stato.

Il percorso di crescita è lentissimo, il servizio pubblico effettua investimenti annuali in tecnologie avanzate che oscillano intorno ad un misero 5% annuo e la situazione non migliora sensibilmente neppure negli anni ’80, nonostante i primi segni di risveglio del legislatore, certificati dalla emanazione della legge 9 marzo 1983, n. 93301. Oltre alla scarsa fiducia, lo Stato centrale si era anche distinto per una politica di tipo assistenzialista302 nei confronti delle imprese che

299 Alla fine degli anni ’70 i computer in dotazione delle amministrazioni erano veramente pochi e scarsamente diffusi tra le amministrazioni, nel senso che si concentravano nella disponibilità materiale di poche importanti amministrazioni centrali: la Corte dei Conti e alcuni ministeri cioè le Finanze, il Tesoro, la Difesa, la Giustizia, le Poste e la Pubblica Istruzione. Inoltre, le risorse dedicate allo sviluppo dell’informatica pubblica erano la metà della media europea, circa il 5% contro una media annuale del 10% di altri paesi, tra cui la Germania e la Francia, e dunque, laddove si vada a cercare le ragioni dell’attuale arretratezza tecnologica dell’amministrazione italiana, bisogna proprio risalire alla seconda metà degli anni ’70, in cui questo percorso è cominciato, perché, evidentemente, a quell’epoca il governo italiano aveva sottostimato l’importanza dell’esplosione tecnologica dei tre decenni successivi e, quindi, non aveva considerato il settore dell’informatica pubblica un settore strategico e meritevole di considerevoli investimenti, non rendendosi conto delle facilitazioni e dei benefici che avrebbe potuto avere tutto il funzionamento della macchina amministrativa. Tutto questo si è verificato in Italia con una ulteriore conseguenza, il fatto che, se a quei tempi le competenze professionali nel pubblico impiego erano quasi inesistenti, ovviamente la formazione di personale qualificato e capace di muoversi con dimestichezza con i personal computer è avvenuto con notevole ritardo e in maniera diseguale tra le varie parti del Paese, rispetto a quelle che poi si sono rivelate le reali necessità. Si è scoperta, troppo tardi, l’importanza dell’informatica per l’amministrazione e, quando, negli anni ’90, hanno cominciato, seppur lentamente, a diffondersi gli strumenti informatici nelle amministrazioni, una consistente fetta del personale amministrativo non era pronto tecnicamente e culturalmente per questa rivoluzione.

300

S. RODOTA’, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973.

301 L’art. 27 della legge 9 marzo 1983, n. 93 affida al Dipartimento della funzione pubblica il compito di coordinare iniziative volte all’organizzazione dei nuovi servizi informatici e, esplicitamente a questo fine, il Dipartimento costituì, con decreto ministeriale 20 novembre 1984, la Commissione per il coordinamento normativo e funzionale dell’informatica nella pubblica amministrazione.

302 L’esempio più eclatante, in questo senso, risale all’accordo stipulato il 21 dicembre 1979 tra il Ministero dell’Industria e l’Olivetti, finalizzato a risolvere lo stato di crisi dell’azienda italiana, attraverso un innalzamento automatico e programmato delle commesse pubbliche.

operavano in questo settore e mancava invece totalmente una visione d’insieme che la guardasse come l’occasione per una modernizzazione complessiva dell’amministrazione.

Negli anni ’90 si assiste a dei miglioramenti, ma l’Italia è in ritardo rispetto ad altri paesi europei, come dimostrano vari aspetti a partire dal confinamento in soli cinque settori, che coprivano circa l’80% della spesa pubblica, degli investimenti in informatica: Finanze, Tesoro, Grazia e Giustizia, Pubblica Istruzione e Sanità. L’Italia risulta, ancora nel 1993303, indietro in tutti i parametri principali che vengono usati per valutare la penetrazione delle ICT nel settore pubblico nei vari paesi europei: le spese complessive erano inferiori rispetto ad essi rispetto alle spese complessive del paese, alla spesa complessiva, al PIL, al numero di addetti nelle amministrazioni, al numero di abitanti.

I cambiamenti più significativi si sono avuti all’inizio del nuovo millennio, anche perché, nel frattempo, si sono verificati importanti fatti di diritto interno e internazionale: in linea generale, si può affermare che è inesorabilmente cresciuta l’attenzione per questa questione a livello governativo, prova ne siano alcuni interventi molto importanti come lo spostamento del nucleo organizzativo della telematica pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri304. Ancora, pur con tutte le pecche già rilevate in questo intervento, è un chiaro segno di questa rinnovata attenzione del legislatore, l’istituzione dell’AIPA con Decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, operante mediante la predisposizione di piani triennali aggiornati annualmente, la quale mira principalmente a colmare le carenze infrastrutturali telematiche delle amministrazioni italiane, agendo prevalentemente su due leve: aumento delle postazioni informatiche e realizzazione di una rete telematica che colleghi le amministrazioni tra di loro. Alle stesse conclusioni si può pervenire anche riflettendo sulla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 settembre 1995, avente ad oggetto l’istituzione della defunta RUPA, la Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione, fondata sull’idea che dovesse esserci uno strumento di coordinamento che consentisse a ciascuna amministrazione di mettersi in contatto facilmente con un’altra, al fine di poter accedere ad informazioni utili per svolgere al meglio la propria attività. Alla RUPA ha fatto seguito, molto più recentemente, l’istituzione del SPC, il Sistema Pubblico di Connettività mediante decreto legislativo 42/2005; ciò che non muta è l’idea di base, bisognava creare un’infrastruttura di interconnessione permanente delle amministrazioni. Tra gli ambiti di intervento di diritto interno merita di essere almeno menzionato anche quello che concerne la possibilità, per le

303 Sono i risultati scaturenti dal rapporto stilato per l’anno 1993 dall’European Information Technology

Observatory, (EITO), rinvenibile in Informatica pubblica, 1994, 3, p. 31 ss.

304 Il d. P. C. M. 15 febbraio 1989, emanato per coordinare le iniziative in materia di informatizzazione e per pianificare i relativi investimenti, ha attribuito al Dipartimento della funzione pubblica poteri di indirizzo, controllo preventivo e intervento, lasciando al Provveditorato generale dello Stato la sola valutazione tecnica dei progetti di informatizzazione.

amministrazioni, di effettuare i pagamenti e, più in generale, tutte le operazioni contabili, mediante procedure informatiche305 e, infine, quello settoriale che non ha ancora avuto la penetrazione e l’impatto attesi, ma potenzialmente rivoluzionario, avente ad oggetto l’istituzione della carta d’identità elettronica con la legge n. 127/1997, art. 2, comma 10; questa disposizione è stata più volte modificata sino alla disciplina contenuta attualmente nella legge 31 marzo 2005, n. 43306.

Questi interventi di diritto interno, più o meno riusciti, ma comunque utili, perché la strada della informatizzazione degli enti pubblici è stata per davvero percorsa anche se è ancora in pieno svolgimento, non ci sarebbero probabilmente stati se non fossero state attuate continue politiche comunitarie ormai risalenti nel tempo, datate la prima metà degli anni ‘90 che, pur non direttamente vincolanti presso le amministrazioni degli Stati membri, sono state importanti perché hanno stimolato il formarsi della società dell’informatizzazione307.

Questo è il caso della direttiva settoriale 99/93 del 13 dicembre 1999 sulla firma elettronica308, di programmi ad obiettivi ad ampia mandata che venivano periodicamente stilati dall’Unione, come i piani e-Europe 2002309 e il successivo

305

Decreto presidenziale 20 aprile 1994, n. 367, per il cui esauriente esame si consiglia la voce scientifica: E. SANNA, Il mandato di pagamento informatico dal d. P. R. 367/1994 all’attuazione concreta, in Il diritto

dell’informazione e dell’informatica, 2002, p. 603 ss. Il legislatore ha scelto, in questo caso, la strada della

razionalizzazione e della semplificazione a tutto tondo, perché ha deciso che le procedure di spesa debbano essere accentrate solo presso un dirigente persona fisica, materialmente responsabile.

306 Gli ultimi dati disponibili sono ormai risalenti: è stato calcolato che, a far data dal 31 dicembre 2009, le carte d’identità elettroniche emesse in Italia siano state circa 1.800.000. Un successo? Al momento certamente no, le cause tante: ritardi dei singoli comuni ad adeguarsi alla normativa, costi di rilascio, visto che il nuovo documento costa 25 euro, assenza sino al 2004 delle apparecchiature disponibili per rilasciarla, soprattutto nei comuni più piccoli non in grado di sopportare i costi per comprare i nuovi macchinari, e infine, mancanza di attitudine nella gente a recepire realmente la novità. Per tutte queste ragioni, questo strumento si diffonde ancora molto lentamente. Infatti, il cuore della carta d’identità elettronica è un microprocessore che consente all’utente di identificarsi, in maniera sicura, presso sistemi automatici e che, a sua richiesta, è anche in grado di contenere indicazioni strettamente personali, come il gruppo sanguigno, dati biometrici con la sola esclusione del DNA, dati sanitari e inoltre qualsiasi indicazione in grado di semplificare l’erogazione dei servizi al cittadino; solo che, di fatto, molti di questi nuovi contenuti, strettamente legati a una facilitazione dell’attività delle amministrazioni e della vita degli utenti, devono essere, ad oggi, ancora creati e, quindi, in realtà si tratta di una scatola semivuota. Al momento, si è in attesa che essa venga effettivamente riempita di quei contenuti utili al cittadino, che ne accelerino la relativa diffusione e che rendano conveniente anche il maggiore esborso economico per dotarsene.

307

Tra i più risalenti interventi dell’Unione Europea in materia informatica, vi è il rapporto Bangemann del 1994, dal nome del politico tedesco, sia ministro nel suo paese che commissario europeo, che ha ispirato il documento della Commissione Europea intitolato “L’Europa e la società dell’informazione globale”.

308 L’introduzione di questa normativa scatenò un acceso dibattito a livello comunitario, in merito al valore formale da attribuire alle semplici e-mail e soprattutto all’esatto significato da conferire alla “electronic

signature”, le firme elettroniche, confermato da uno studio che la Commissione Europea commissionò

all’Università di Leuven intitolato “The Legal and Market Aspects of Electronic Signatures”, i cui esiti sono stati presentati davanti alla Commissione Europea nell’ottobre del 2003, che evidenzia le differenti impostazioni legislative che gli Stati europei seguirono nel recepire la direttiva sulla firma elettronica. L’intero documento è reperibile via Internet: http://skilriki.is/media/skjol/electronic_sig_report.pdf.

309 Gli obiettivi fissati da e-Europe 2002 erano: assicurare l’accesso on-line ai servizi pubblici di base, semplificazione dei procedimenti amministrativi, sviluppo di una strategia idonea e coordinata per valorizzare le informazioni pubbliche e promozione, nell’era dell’unione, dell’uso delle firme elettroniche.

e-Europe 2005310, che avevano il merito di fissare obiettivi generali, che poi gli Stati membri dovevano impegnarsi a perseguire con idonea legislazione di diritto interno.

Non è un caso che, sulla base di questi impulsi e, dopo una serie di iniziative normative limitate ad aspetti o settori specifici, fatta eccezione forse il decreto legislativo 39/1993 di istituzione dell’AIPA, che si arrivi nel 2000 all’adozione del primo piano generale d’azione italiano per l’e-Government che, focalizzato su una serie combinata di servizi telematici da offrire ai cittadini e alle imprese, non ebbe in realtà troppa fortuna perché adottato a fine legislatura e venne presto sostituito con uno diverso dal governo successivo; l’importante non è il contenuto di questi due piani e di quelli successivi, ma il fatto che ormai il percorso di crescita del settore poteva dirsi terminato: da profilo meramente strumentale che si esauriva nella necessità che lo Stato avvertiva in modo estemporaneo di acquistare di tanto in tanto apparecchiature informatiche, si era arrivati nel 2000311 ad un piano d’azione unitario e concertato.

L’eGovenment era diventato grande, si era finalmente capito la sua importanza strategica e si cercava di disciplinarlo come un fenomeno complessivo: questo è certamente un punto d’arrivo, altro discorso sono gli esiti.

E’ evidente che il cammino sia tutt’ora in corso per molteplici ostacoli difficili da superare; essi vanno dalla formazione di personale altamente qualificato, alle risorse finanziarie disponibili, alle difficoltà che spesso ci sono state nell’instaurare un rapporto corretto e proficuo tra le amministrazioni pubbliche e le imprese che offrono i servizi ICT, ma quello che conta in questa sede è sottolineare che il 2000 segna una data di svolta proprio perché, per la prima volta, venne presentato un piano d’azione unico avente ad oggetto iniziative generali e di ampio respiro sulla telematica nelle amministrazioni.

310

Il programma e-Europe 2005 ha come obiettivo il perseguimento delle iniziative già fissate con il precedente

e-Europe 2002 e fissa ulteriori obiettivi: il collegamento di tutte le amministrazioni mediante un sistema

infrastrutturale di reti a banda larga, la promozione di servizi a livello europeo, mediante l’interoperabilità, l’interattività per i servizi pubblici essenziali, l’adozione di interventi normativi per regolare gli appalti pubblici in rete.

311 Gli obiettivi fissati in questo piano d’azione erano: realizzazione di una rete nazionale in grado di connettere tra loro i servizi informativi centrali e locali, sviluppo di servizi amministrativi accessibili on-line, attivazione di un sistema di portali nazionali di informazione e di servizio, integrazione delle anagrafi, diffusione della carta d’identità elettronica e della firma digitale.

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