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La ricostruzione delle fonti effettuata tramite il quadro costituzionale e la constatazione della non diretta incisività della normativa comunitaria in seno alle amministrazioni appartenenti agli Stati membri dell’Unione Europea, possono illudere che l’ipotesi di lavoro dell’eGovernment all’italiana, quella fondata sul modello del federalismo informatico, sia perseguibile abbastanza facilmente.

Parrebbe infatti che, in base alla lettura degli artt. 117, lettera r, e 118 della Carta, lo Stato in prima analisi, e le regioni in seconda battuta, siano gli enti principali deputati all’emanazione di norme ad ampio respiro; naturalmente spetterà al primo l’individuazione anche degli strumenti di raccordo tra normativa statale e locale, ma comunque, a grandi linee, sembra che questo sia il quadro delle fonti.

Pare anche potersi rilevare che spetti alle regioni, nel loro ambito territoriale, un compito di raccordo, non dissimile da quello che è chiamato a svolgere lo Stato a livello nazionale, cioè non solo il compimento di quegli interventi mirati per avviare sulla strada digitalizzazione i vari enti operanti nel suo territorio, ma anche per introdurre strumenti idonei a far sì che questo processo avvenga in modo abbastanza uniforme su tutto il territorio regionale. Ed, infine, toccherà agli altri enti locali, ed in particolare ai comuni, quali enti privilegiati di questo processo in seguito alla costituzionalizzazione della sussidiarietà, il compito di erogare i nuovi servizi e, di conseguenza, emanare regole, essenzialmente regole tecniche, che spieghino concretamente come usare questi nuovi servizi. Tutto a posto dunque?

Parrebbe di si. Così come non dovrebbe sorgere, in apparenza, alcuna questione in relazione alle fonti da utilizzare: lo Stato e le regioni si esprimono tramite leggi, nelle quali, per tradizione, si trovano normative generali ed astratte, cioè ad ampio raggio; le norme tecniche di funzionamento di un certo servizio, diremmo attrattive, con espressione che richiama direttamente il profilo della effettività di una norma, rappresentano il campo operativo della fonte secondaria regolamentare, che è poi l’unica potestà normativa in capo agli enti locali diversi dalle regioni.

Tornando al dubbio, iniziale: il problema delle competenze può dirsi dunque archiviato? Niente affatto, perché la stessa Corte Costituzionale, con una nota sentenza, la n. 303 del 2003,290 ha contribuito a rendere labili i confini tra potestà legislativa e competenza amministrativa, prendendo atto, in questo caso specifico, dell’esistenza nel nostro sistema costituzionale di un fenomeno distorsivo che, in atto da tempo, ha preso negli anni sempre più corpo: la

290 Corte Cost., 303 del 2003, che ha collegato la competenza legislativa a quella amministrativa, rendendo indistinguibili, almeno in taluni casi, i confini tra potestà legislativa e regolamentare.

cosiddetta fuga dal regolamento291 o, per usare un’espressione più corretta, fuga dell’Esecutivo dal regolamento, talora ricorrendo all’uso di regolamenti “atipici”, altre volte trasfondendo regole di carattere puramente tecnico, come è accaduto a proposito della materia dell’eGovernment, non già nella fonte secondaria regolamentare, ma in atti come i decreti ministeriali che, per loro natura, dovrebbero avere un contenuto non normativo, ma che, a sorpresa, presentavano, inaspettatamente, proprio natura normativa.

Il fenomeno descritto non può dirsi espressione, come la terminologia indurrebbe a pensare, di un contenimento dei regolamenti, quanto piuttosto il tentativo del Governo di sottrarsi alle rigide procedure formali indicate nella legge n. 400/1988 per l’uso di detti regolamenti governativi, al fine di disciplinare in modo più agevole determinate materie che esso ritiene strategiche, cioè senza rispettare le rigide procedure di approvazione dei regolamenti contenute nella stessa legge n. 400/1988.

La conseguenza di questo modo di procedere è semplice: così operando il Governo esercita, di fatto, poteri di natura sostanzialmente normativa e di innovazione dell’ordinamento con l’uso di atti di natura non normativa, quali sono i regolamenti atipici e i decreti ministeriali, aggira rigide procedure formali, quelle per l’approvazione dei regolamenti ed infine, stortura finale, inserisce regole tecniche in fonti differenti dalla loro sede naturale.

La confusionaria presenza di regole di natura tecnica in fonti diverse da quella regolamentare, crea una notevole confusione anche sul piano delle competenze, perché le regole tecniche sulla digitalizzazione, solo queste e non altre, oltre a dover essere opportunamente contenute in regolamenti, dovrebbero essere competenza della potestà normativa degli enti locali.

Conclusione: il fenomeno della fuga dal regolamento si aggiunge e sovrappone a quello della ricostruzione dei vari livelli di competenza in materia digitale, mischia le carte e rende ancora più difficile il percorso verso il supposto modello di federalismo informatico, che scaturisce soprattutto dalla disamina della Carta Costituzionale, ma anche dall’art. 12, I comma del codice dell’amministrazione digitale. Un esempio importante di fuga dal regolamento, forse il più noto in materia, è il decreto legislativo n. 39/1993 istitutivo dell’AIPA, emanato dallo Stato apparato e che, invece di concretarsi in una mera normativa di principio, contiene soprattutto regole di natura tecnica, anche se, l’AIPA prima ed il CNIPA poi, divenuto a sua volta l’attuale Digit-PA, sono in effetti enti tra i cui compiti vi è anche quello di coordinare a livello nazionale le politiche di

291 Per il punto su questo fenomeno, a cui ha tentato invano di porre rimedio la legge n. 400 del 1988, attraverso l’imposizione di forme tipiche e ben determinate della fonte di produzione normativa secondaria, con esiti che non sono andati oltre il lodevole intento, per via di un atteggiamento di ribellione del potere Esecutivo sempre più sfacciato, si consiglia di consultare: M. DOGLIANI, Procedimenti, controlli costituzionali e conflitti

nell’attività di governo, relazione presentata al Convegno annuale A.I.C. sul tema Decisione, conflitti, controlli. Procedure costituzionali e sistema politico, Parma, 29-30 ottobre 2010, in

digitalizzazione. Ammessa questa attribuzione di coordinamento conforme con il modello composito delle competenze ricostruito mediante la Carta, il pasticcio resta e mette in difficoltà chi voglia tentare di operare, in modo rigoroso e razionale, un riparto di funzioni tra i vari livelli . Ci sono regole tecniche, dove non ci dovrebbero essere, perché provenienti da una fonte statale.

Per quanto concerne, invece, il secondo grande ostacolo che, storicamente, si è frapposto alla qualificazione unitaria dell’eGovernment, cioè l’aspetto della dispersione e frammentazione delle molte normative che disciplinano il settore, almeno prima dell’avvento del codice dell’amministrazione digitale del 2005 che si pone comunque come punto di riferimento organico della materia, questo è osservabile sotto due aspetti: la scarsità dei principi e l’abbondanza di normative di settore. Per quanto concerne i primi, traghettandoci con la macchina del tempo anteriormente al 2005, questi erano riassumibili in due sole indicazioni di massima:

1) il primo principio, rintracciabile consultando il testo Unico in materia di pubblico impiego, il decreto legislativo n. 165/2001, che sanciva nell’art. 2, comma 1, lettera c, il “collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere di comunicazione interna ed esterna ed interconnessione mediante sistemi informatici e statistici pubblici”, poneva agli uffici pubblici l’obbligo di lavorare mediante l’uso di una rete interna informatica, la cosiddetta rete intranet;

2) il secondo, spia di una accresciuta attenzione del legislatore verso l’uso degli strumenti informatici, è contenuto invece nella legge generale sul procedimento, la n. 241/1990 che, nell’art. 3-bis aggiunto nel 2005, detta il principio dell’uso della telematica nello svolgimento delle consuete attività procedimentali: “per conseguire maggiore efficienza nelle loro attività, le amministrazioni pubbliche incentivano l’uso della telematica, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati”.

Come si può notare, nell’uno e nell’altro caso, si tratta di principi generalissimi, di affermazioni ad amplissimo raggio, che non bastano certamente per poter affermare che siano il segno di una politica governativa unitaria in materia di eGovernment.

In realtà, se vogliamo essere corretti sino in fondo nel valutare l’operato del legislatore, dobbiamo anche rammentare che vi era stato nel sistema un primo seme che faceva presagire la sua aspirazione ad un intento unitario ma, dati i tempi molto anticipati rispetto alla successiva emanazione del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) e, in fondo, rispetto alla stessa effettiva diffusione dell’informatica negli enti pubblici, pur trattandosi della normativa più organica dell’epoca, questo intervento, pur apprezzabile, non era ancora in grado di cogliere e risolvere tutte le problematiche che sarebbero emerse in futuro. Il riferimento è evidentemente al già citato decreto legislativo n. 39/1993

di istituzione della defunta AIPA (Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), poi diventato CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) ed infine l’attuale DigitPA (Ente Nazionale per la Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione).

In effetti, questa fonte contiene riferimenti che tradiscono uno sforzo notevole di organicità nel trattare l’informatica; si parla infatti di “miglioramento dei servizi, trasparenza dell’azione amministrativa, potenziamento dei supporti conoscitivi per le decisioni pubbliche, contenimento dei costi”, tutti profili che guardano ad una connotazione unitaria della telematica pubblica, così come emerge chiaramente dalla stessa costituzione di un’autorità tecnica quale l’AIPA, autonoma rispetto all’indirizzo politico, anche se non indipendente, che aveva non solo la funzione di organo consultivo in ordine alla stipulazione di contratti per l’acquisto di apparecchiature informatiche292, ma anche quella di formulare pareri sull’emanazione di normative tecniche del settore informatico e infine, naturalmente, quella di coordinare tutta l’attività telematica degli enti.

Come si può intuire dalla rapida fissazione delle principali attività dell’AIPA, non mancavano certo difetti, su tutti proprio la mancata indipendenza totale dal potere politico e quindi il rischio di una pericolosa commistione tra aspetti tecnici e politici; l’AIPA, a ben vedere, finiva con l’occuparsi più di questioni tecnico organizzative, su tutte quella della stipula di contratti per acquistare elaboratori informatici, che preoccuparsi di realizzare nuovi contenuti e nuove opportunità che sfruttassero in pieno le potenzialità di queste apparecchiature, sia sul piano della semplificazione dell’attività amministrativa che su quello di un nuovo tipo di rapporto con i cittadini utenti. Essendo ancora il 1993, i tempi forse non erano ancora maturi per cogliere in pieno tutte queste nuove possibilità.

La legislazione sull’informatica è proseguita negli anni in maniera disorganica: un altro esempio di questa natura è il Decreto Presidenziale n. 445/2000, meglio noto come Testo Unico sulla documentazione informatica, ancora oggi inspiegabilmente in vigore seppur ormai a ranghi ridotti, perché molte delle norme in esso contenute sono poi confluite, anche se non in prima battuta, nello stesso CAD.

Il T.U.d.a. (Testo Unico sulla documentazione amministrativa) nasce dalla fusione incauta di norme primarie e secondarie, di leggi e regolamenti, e tenta di disciplinare insieme la formazione e la conservazione dei documenti amministrativi, nell’ottica di una futura digitalizzazione di questo enorme patrimonio di dati.

292 Gli artt. 8 e 12 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, prevedevano rispettivamente che l’AIPA avesse il potere di dare pareri sugli schemi di contratto e di predisporre capitolati contenenti le “clausole generali dei contratti, che le singole amministrazioni stipulano in materia di sistemi informativi automatizzati”.

La disciplina si è rivelata debole per due ragioni, la prima risulta forse chiara dal quadro delle fonti; come pretendere infatti di imporre coattivamente ad enti locali, dotati di autonomia regolamentare, di effettuare progressivamente questo passaggio alla digitalizzazione, rendendo obbligatorie proprio fonti secondarie, che sono da sempre il cuore della capacità di autonoma produzione normativa di detti enti? Naturalmente, e ciò non deve affatto stupire, moltissimi enti pubblici, ritenendola una sorta di invasione indebita nel loro spazio di autonomia normativa, non si sono conformati a questo Testo Unico privandolo, nei fatti, di effettività.

Altra criticità rilevabile è l’assenza di un ente centrale di riferimento avente poteri di coordinamento e di vigilanza; si è rivelato, in sede di valutazione della disciplina, un grave errore di valutazione quello di affidare solo a libere manifestazioni di volontà delle singole amministrazioni interessate, mediante l’istituzione sul territorio di appositi uffici, il compito di effettuare progressivamente la digitalizzazione; occorreva un organo centrale di impulso verso questo processo.

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