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Il principio di trasparenza delle istituzioni cominciò ad affermarsi nell’Inghilterra della fine del ‘700, naturalmente in via consuetudinaria, come da tradizione giuridica del paese principe del common law, ordinamento giuridico basato sulla vincolatività del precedente giurisprudenziale in luogo dell’imperio dei codici scritti.

In particolare esso nasce e si afferma come diritto alla conoscenza degli atti e delle attività del Parlamento da parte dei cittadini. Tuttavia, esso trovò una sua prima ricezione espressa nella Costituzione statunitense del 18° secolo e in quella della Francia rivoluzionaria del 1791. In Italia la prima traccia codicistica di trasparenza è rinvenibile, invece, nello Statuto Albertino del 184872.

Venendo propriamente alla Costituzione repubblicana, si noti in prima istanza che il termine trasparenza è del tutto assente nel testo costituzionale e quindi il punto centrale su cui soffermarsi è quello di tentare di capire se il valore trasparenza è presente nella carta al di là del testo formale.

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Gian Domenico Romagnosi spiega questi convincimenti, in modo inequivocabile, nella Scienza delle

Costituzioni, pubblicata postuma nel 1849.

72 L’art. 57 dello Statuto Albertino, datato 1848, prevedeva che “Le Sedute delle Camere sono pubbliche”, principio generale che conosceva comunque una deroga che, alla prova della storia, risultò comunque utilizzata ben di rado e, generalmente, solo in quei casi in cui si dovesse deliberare di scendere in guerra o procedere all’approvazione dei bilanci di ciascuna Camera, e comunque, mai per approvare leggi. Si tratta, invero, di quella eccezione in base alla quale dieci parlamentari avrebbero potuto chiedere che le stesse Camere deliberassero in segreto.

Certo, sussistono una serie di norme che fanno pensare al valore trasparenza come fondante lo Stato democratico, dall’art. 64 che dispone che le sedute del Parlamento “sono pubbliche”, all’art. 73 sulla pubblicazione delle leggi, ed ancora gli artt. 97 e 98 sull’organizzazione della pubblica amministrazione ma, dell’attributo trasparenza, non vi è comunque traccia nel novero dei cosiddetti principi esplicitamente costituzionali di cui alle parti I e II della Carta e, tantomeno, in quei Principi fondamentali contenuti negli artt. 1-12 anche se, a rifletterci, l’imperio del segreto pare inadeguato sin dall’incipit della Carta73. D’altronde, è soluzione debole quella di limitarsi a ritenere la trasparenza quale valore certamente contenuto all’interno della Costituzione per il solo fatto che essa è citata espressamente nel Trattato sull’Unione Europea anche perché, da questa fonte, sembra potersi desumere un’applicazione di tale valore solo ed esclusivamente alle istituzioni comunitarie74.

Perché questo? Ogni soluzione giuridica è, inevitabilmente, figlia del proprio tempo e la Carta del 1948 non fa certo eccezione. Si suole infatti rilevare che i padri costituenti operarono con il bilancino, cioè uno stretto gioco di pesi e contrappesi tra i veri poteri dello Stato democratico repubblicano per evitare, per il futuro, che si ripetessero le derive autoritarie che portarono all’ascesa del fascismo con esiti finali rovinosi, come attesta la disgraziata partecipazione dell’Italia alla Seconda Guerra Mondiale, sulla scia della spinta emotiva e del fascino personale che il dittatore Hadolf Hitler esercitava su Benito Mussolini. In questo quadro, viene scritta una Costituzione culturalmente statica nella quale da un lato i cittadini erano titolari dei diritti di libertà di manifestare il proprio pensiero senza alcuna ingerenza del potere pubblico, da un altro canto, invece, i soggetti titolari di poteri di carattere pubblicistico esprimevano le loro decisioni all’interno del Parlamento in un quadro generale in cui un forte ruolo era svolto dai partiti politici, antecedenti sul piano temporale rispetto alla Costituzione75.

73 L’art. 1, secondo comma della Costituzione, dice testualmente che: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Certamente stride con il principio della sovranità popolare l’imperio del segreto, il dominare degli “arcana burocratici” per oltre un secolo a causa dell’assenza della legge sul procedimento.

74 Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 dagli allora solo 15 Stati membri dell’Unione Europea, entrato in vigore il 1 maggio 1999, costituzionalizza, per la prima volta a livello europeo, il principio di trasparenza e i diritti ad essa collegati prevedendo, ex art. 255, il diritto di accesso per i cittadini europei ai documenti delle Istituzioni europee, Parlamento Europeo, Consiglio e Commissione, solo che il limite di questo riconoscimento fu il fatto che la trasparenza rimase confinata, quale valore indispensabile, per le sole istituzioni comunitarie.

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E’ appena il caso di ricordare qualche data: il più antico partito italiano, il PSI, Partito Socialista Italiano, nacque addirittura nel 1892, anche se poi assunse questa denominazione solo nel 1895. Invece, da una costola del Partito Socialista, un gruppo di scissionisti tra cui si distingue il pensatore, politico e storico Antonio Gramsci, diede vita al PCI, Partito Comunista Italiano nel 1920. Invece, di un anno più antico il PPI, Partito Popolare Italiano, fondato nel 1919 da Don Luigi Sturzo, insieme alla cooperazione di Giovanni Bertini, Giovanni Langinotti, Angelo Mauri, Remo Vigorelli e Giulio Rodinò, che ebbe invero una breve vita, consumatasi in appena sette anni, ma di fondamentale importanza per la prese di coscienza delle masse, tanto che, con un’espressione di certo enfatica ma significativa, lo storico e politico italiano Federico Chabod definì la comparsa del PPI “l’avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo.

Quindi Parlamento e partiti erano il fulcro del potere, il loro contrappeso era ovviamente rappresentato dal principio democratico che assicurava un controllo dei processi decisionali ai cittadini mediante l’esercizio del diritto di voto. Ed allora che la Costituzione, nella mente dei padri costituenti, non esprimeva, ma proprio perché non lo era ritenuto necessario e ancora meno indispensabile, l’esigenza di mettere a disposizione dei cittadini medesimi la più ampia quantità di informazioni detenute dai pubblici poteri. Si era anzi molto lontani dall’idea che rendere note informazioni inerenti l’attività dei pubblici poteri potesse diventare prima un’esigenza e poi un’attività obbligatoria, a cui facesse da contraltare un diritto ben preciso dei cittadini ad ottenere effettivamente quelle informazioni.

Questo in fondo un po’ stupisce perché, tutto sommato, se si pensa anche solo per un momento a cosa sia in realtà il potere, risulta indubitabile che esso s’identifichi, non da oggi, ma dalla notte dei tempi, con la conoscenza76.

E’ sufficiente detenere informazioni sconosciute ad altri, anche in via temporanea, per trovarsi in una posizione di privilegio. Oggi poi, che si è immersi nel mondo informatizzato, che offre nuove e stupefacenti possibilità di accedere al bene informazione, ma con il rischio, in apparenza paradossale, che l’eccesso di notizie crei sconcerto e confusione, perché poi, alla prova dei fatti risulta veramente difficile comprendere quelle notizie che sono realmente appetibili e qualitativamente credibili,

le informazioni di valore rappresentano ormai un bene talmente importante da essere, secondo alcuni studiosi, addirittura più prezioso della stessa forza lavoro77.

In realtà, come ben sintetizzato da uno degli autori che ha più studiato nel nostro paese questo principio di trasparenza, Gregorio Arena78, esso può intendersi in due modi diversi solo apparentemente in contrasto, ma in realtà così intimamente connessi da risultarne un quadro d’insieme che connota un principio dinamico: in una prima accezione la trasparenza è un concetto relazionale, nel senso che, siccome ciò che è trasparente consente di vedere attraverso un ostacolo, allora essa è un valore intermedio, cioè un mezzo per perseguire risultati ulteriori.

Si domanda dunque, principalmente al soggetto che lavora nell’ente pubblico, perché storicamente è indubbio che la prima affermazione di questo principio si

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Sul legame strettissimo tra potere e trasparenza si consiglia, F. RIMOLI, G. SALERNO, Conoscenza e potere.

Le illusioni della trasparenza, Carocci, Roma, 2006.

77 Illuminanti, in proposito, le riflessioni del grande economista statunitense, grande pensatore, oltreché leader internazionale del pacifismo e delle cause ambientaliste, J. RIFKIN, La fine del lavoro, Milano, Mondadori, 1997, L’era dell’accesso, Milano, Mondadori, 2000.

78 Per un’analisi precisa della trasparenza, da intendersi sia come mezzo che come fine, e quindi per una ricostruzione del principio in senso dinamico, si consiglia G. ARENA, voce TRASPARENZA

AMMINISTRATIVA, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da Sabino Cassese, Giuffrè, Milano, 2006 p. 5945

sia avuta nei confronti del potere pubblico79, di tenere un comportamento lineare, limpido e trasparente per raggiungere i più svariati risultati: controllo democratico o il soddisfacimento di pretese riconducibili ad interessi legittimi o, ancor più pregnante, a diritti soggettivi. Primo risvolto: trasparenza come mezzo che, consentendo di arrivare alla conoscenza, è lo strumento ideale per soddisfare legittimi diritti e altrettante pretese.

Invece, in una seconda accezione, in realtà solo in apparenza incompatibile con la prima, la trasparenza è un fine, un modo di essere e d’agire a cui sono tenuti i soggetti che operano nella pubblica amministrazione.

Le due accezioni sono, in realtà, intimamente connesse e così si apre il campo ad una ricostruzione del principio dinamica, e questo per più ragioni: essa è variabile perché può consentire di soddisfare pretese molteplici e che, inevitabilmente variano con il cambiare dei tempi e delle istanze della società, variabile perché il soggetto che si osserva può subire e risentire di condizioni esterne o interne, è multiforme, perché alla trasparenza si può addivenire con mezzi svariati, anzi con strumenti sempre in evoluzione, in parallelo alla tecnicizzazione della società grazie al massiccio uso di strumenti informativi sempre più sofisticati.

Certo è che, a partire dalla rivoluzione industriale, la trasparenza è diventata una garanzia di massimo rilievo anche nei rapporti tra privati in quanto, siccome nel mercato del lavoro alcuni protagonisti, si pensi alle imprese a titolo di esempio, hanno ottenuto una forza sempre maggiore, per tutelare i lavoratori, contraenti deboli, i legislatori dei paesi liberali hanno ideato una serie di strumenti per garantire loro idonea tutela dai soprusi e questi meccanismi hanno come obiettivo proprio il fine di assicurare rapporti limpidi e trasparenti tra le due parti.

Così oggi, possiamo affermare che la trasparenza è un valore che fonda sia i rapporti tra soggetti pubblici e privati, ma anche gli stessi rapporti che intercorrono tra i privati medesimi.

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La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, datata 1789, punto di riferimento per le Costituzioni attuali, prevede questo aspetto molto chiaramente in quanto, solo in un momento successivo, si arrivò a concepire l’idea che la trasparenza fosse un valore che intercorresse anche nei rapporti tra privati; ab origine, invece, vincolava solo i soggetti pubblici nei confronti dei privati cittadini beneficiati. Così si esprime l’art. 14 : “Les citoyens ont le droit de constater, par eux-meme ou par leurs representants, la nécessité de la contribution publique, de la consentir librement, d’en suivre l’emploi, et d’en déterminer la quotité, l’assiette, le recouvrement et la duréé”. Ancora più lapidario l’art. 15 nella sua asciutta brevità: “La societé a le droit de demander compte à tout agent public de son adminastration”.

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