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L’esigenza di una legge sul procedimento amministrativo nasce in Italia in relazione alla scarsa attenzione che la Costituzione riserva al potere esecutivo. Questo ha determinato, dopo l’emanazione della Carta repubblicana, una situazione paradossale e contradditoria: da un lato vi sono le Disposizioni Superiori che introducono nel sistema giuridico italiano principi nuovi, soprattutto quelli che, per quanto riguarda questo lavoro sulla trasparenza amministrativa, ineriscono l’imparzialità e il buon andamento contenuti nell’art. 97 della Carta ma, d’altro canto, vi è una amministrazione che, in assenza di interventi del legislatore ordinario ed in presenza di troppo pochi principi dedicati nella stessa Carta alla funzione amministrativa, continua a comportarsi quasi come se nulla fosse accaduto, alzando in alto la bandiera del segreto, non motivando i provvedimenti amministrativi e dando corpo a procedimenti amministrativi senza contradditorio.

Emerge, sotto questo profilo, tutta la differenza di attenzione con la funzione giurisdizionale; basta uno sguardo all’art. 111 della Carta per rendersene conto. In esso, sin dalla versione originaria, entrata in vigore il primo gennaio 1948, vi è l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali e, in seguito alla modifica intervenuta tramite la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, si prevede altresì la costituzionalizzazione del principio del contradditorio per qualsiasi procedimento giurisdizionale, cioè l’introduzione, tra considerazioni opposte della dottrina, entusiaste154 da una parte e scettiche155 dall’altra, quella riforma che è meglio nota come giusto processo.

Non è certo questa la sede per soffermarsi sulla reale portata di novità di quella riforma, ma questa considerazione torna però utile per evidenziare la contradditorietà della situazione creatasi per l’amministrazione italiana con l’emanazione della Costituzione, che ha detto qualcosa, ma non completando il percorso: parla di imparzialità e buon andamento, ma non parla di partecipazione al procedimento e obbligo di motivazione degli atti da essa emanati.

In questo quadro, il dibattito sull’esigenza di una legge sul procedimento amministrativo prende corpo in modo deciso in Italia all’inizio degli anni ’50156

154 G. COSTANTINO, Il giusto processo di fallimento, in La tutela dei crediti nel giusto processo di fallimento, a cura di Didone e Filippi, Milano, 2002, p. 1 ss., in cui l’autore esalta la riforma e si lascia prendere dall’entusiasmo, parlando di “nuovi principi costituzionali” in grado di realizzare concretamente il nuovo modello processuale del giusto processo, in contrapposizione a quanto era accaduto nelle aule dei tribunali sino ad alloral caratterizzate da contese processuali assistite da “garanzie costituzionali minime”.

155

S. CHIARLONI, Il nuovo art. 111 della Costituzione e il processo civile, in Il nuovo art. 111 della

Costituzione e il giusto processo civile, a cura di Civinini e Verardi, Milano 2001, p. 13 ss., in cui l’autore

annichilisce la portata della riforma costituzionale in modo fulmineo, utilizzando l’espressione: “Niente di

nuovo”.

156

anche se, come è noto, fu Sandulli con la sua monografia, già nel 1940,157 a segnare quello che la dottrina contemporanea ormai riconosce come “un punto di svolta della dottrina italian.158”, e a conferire ai primordiali studi159 condotti in Italia sul procedimento amministrativo, un deciso cambio di marcia. Sandulli fu infatti il primo studioso italiano a costruire quella teoria del procedimento amministrativo che era fondata su un’analisi approfondita del concetto di atto presupposto, quale atto che nel procedimento amministrativo si pone come antecedente logico e funzionale oltreché temporale, rispetto a un provvedimento finale produttivo di effetti giuridici anche se, per amor di rigore storico giuridico, va senz’altro riconosciuto che l’origine della nozione stessa di procedimento amministrativo è riconducibile agli impulsi degli studi condotti da Tezner e dal celebre giurista austriaco Hans Kelsen160, in tempi ancora più risalenti. Del tema si è occupato lo stesso Sandulli, rilevando che l’origine della

157

A. M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940. L’opera è stata ripubblicata in seguito altre due volte, nel 1959 e nel 1964.

158 M. E. SCHINAIA, Aldo M. Sandulli: il procedimento amministrativo in Aldo Maria Sandulli: (1915-1984):

attualità del pensiero giuridico del maestro a cura di Caravita, Milano, 2004, p. 331 ss.. Si tratta di un volume,

nel quale si analizza con attenzione la straordinaria importanza avuta dalla monografia del 1940 per gli sviluppi successivi della scienza amministrativa ed anche della giurisprudenza negli anni successivi. Schinaia infatti osserva che, ancora oggi, chiunque voglia, dopo oltre 70 anni da quella pubblicazione, occuparsi di procedimento amministrativo non può non assegnare importanza determinante a quel lavoro scientifico elaborato da Sandulli, invero in giovane età ma già maturo e fortemente innovativo per quei tempi antecedenti, esattamente 50 anni dalla legge n. 241 del 1990.

159 Si è soliti fare coincidere, quantomeno in ordine temporale, i primissimi studi condotti in Italia sul procedimento amministrativo, a U. FORTI, Atto e procedimento amministrativo, in Studi di diritto pubblico in

onore di Oreste Ranelletti, Padova, I, 1931, in cui l’autore parla di procedimento amministrativo, definendolo

una “serie di comportamenti consecutivi, legati in successione logica e legalmente necessaria”, da cui discende un effetto giuridico. Questi sono casi nei quali, secondo la ricostruzione di Ugo Forti, non si può più ragionare in termini di unità, ma occorre parlare di atto-procedimento.

160

Le origini della nozione di procedimento amministrativo si fanno, tradizionalmente, risalire agli studi F. TEZNER, “Handbuch des osterreichischen Administrativverfahrens”, Vienna, 1896, anche se, in realtà, probabilmente, la collocazione temporale più corretta della nozione di procedimento amministrativo è ancora più spostata indietro nel tempo e bisogna andare sino al 1875 in cui venne istituito il supremo tribunale amministrativo austriaco. E comunque, al di là di queste disquisizioni temporali importanti perché confermano, in qualche modo, l’idea che la nozione di procedimento amministrativo abbia un’origine in realtà processuale, il dato certo è che si è trattato di studi di fondamentale importanza, perché hanno permesso di seminare l’humus da cui sono nate le prime leggi, in assoluto, dedicate effettivamente ed esclusivamente al procedimento amministrativo, quelle emanate nella stessa Austria nel luglio del 1925, le quali, non a caso, vengono citate più volte nei suoi scritti da Benvenuti, come modello di civiltà e modernità a cui fare riferimento nel momento in cui, anche l’Italia, si fosse decisa di dotarsi di una legge sul procedimento. Tuttavia, in questo quadro sui contributi dogmatici e normativi all’elaborazione di questo nuovo istituto, non si può sottacere che tutti gli studiosi del procedimento amministrativo, anche quelli più risalenti, devono in qualche modo un ringraziamento al grande filosofo e giurista austriaco Hans Kelsen che ebbe, senza timore di smentita, una grande influenza sugli studi in materia, grazie ad una geniale intuizione. Kelsen, infatti, aveva capito che il procedimento amministrativo non poteva che fondarsi sulla partecipazione ma, soprattutto, aveva intuito prima degli altri che, assimilare e fare letteralmente coincidere l’istituto della partecipazione del cittadino alle varie forme di partecipazione politica, avrebbe potuto tradursi in un potenziale fattore di destabilizzazione della democrazia stessa. Kelsen aveva, cioè, intuito che la differenza principale tra il legislatore e l’amministrazione risiede nel fatto che solo quest’ultima, pur beneficiando di ampi spazi di discrezionalità, è vincolata al rispetto del principio di legalità, il che si traduce nella necessità di rispettare le scelte del legislatore stesso che, a sua volta, è l’espressione della volontà e della rappresentatività popolare. Per questo motivo, Kelsen giunse alla conclusione che la partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo avesse la reale ed intima ragion d’essere nella necessità di limitare gli spazi di discrezionalità dell’amministrazione e, dunque, fosse un qualcosa di assai diverso ed ulteriore, direi aggiuntivo, rispetto alla mera partecipazione del cittadino alla vita politica.

nozione di procedimento amministrativo va fatta risalire alla legge austriaca del 1875 che istituì il supremo tribunale amministrativo, assegnandogli il compito di annullare le decisioni pronunciate, senza rispettare le forme essenziali della procedura amministrativa161.

E, tutto sommato, se si torna per un attimo indietro nel tempo e si va a verificare il comportamento del legislatore ordinario in materia di trasparenza, è pur vero che sino al 1990 l’Italia non ha avuto una legge in materia; tuttavia esiste qualche dato normativo, addirittura risalente all’Italia del periodo preunitario che segnala, al contrario, di un legislatore che deve avere sentito, in vari momenti storici, l’esigenza di disciplinare forme di partecipazione procedimentale, sia molto risalenti nel tempo,162 sia in tempi un po’ più vicini ai giorni nostri163.

In teoria, ci sarebbe potuto essere un appiglio normativo a livello mondiale per intervenire ben prima del 1990 solo che, questa fonte di diritto internazionale, sebbene abbia un valore simbolico altissimo, è pur sempre una normativa non vincolante: il riferimento è ovviamente all’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo164.

E comunque, la dottrina italiana continuò ad adoperarsi e così gli studi di Sandulli non rimasero certo isolati; se a questo giurista alcuni autori della

161A. SANDULLI, voce Procedimento, in Dizionario di diritto amministrativo a cura di Clarich e Fonderico, Milano, 2007, p. 515.

162 L’art. 3 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, abolitrice del contenzioso amministrativo, si occupa, in maniera abbastanza visibile, di partecipazione al procedimento e pubblicità amministrativa, laddove prevede che gli affari inerenti ad interessi legittimi siano “attributi alle autorità amministrative, le quali –ammesse le deduzioni e le

osservazioni per iscritto delle parti interessate- provvederanno con decreti motivati, previo parere dei consigli amministrativi, che nei diversi casi siano dalla legge stabiliti”. Come si può notare, la norma parla di deduzioni

e, forse ancora più rilevante, di osservazioni e quindi sembrerebbe ammettersi una prima forma collaborativa del cittadino, la possibilità di sindacare, in qualche modo, le scelte dell’amministrazione in una fase anteriore a quella contenziosa. Si era cioè in una fase normativa, per i tempi, piuttosto moderna, solo che passerà ben più di un secolo per avere la celebre legge n. 241/1990 e questo perché, in effetti, la società italiana dell’800 era conflittuale, pervasa da fortissime tensioni tra le classi sociali, e poi, entrando nel ‘900, si ebbe il ben noto ventennio fascista con una svolta autoritaria della società italiana, con un sensibile arretramento sul piano della libertà individuali e, naturalmente, ancor più sulla possibilità di sindacare in merito all’operato dei pubblici poteri, più che mai occulti e non certo materia di possibile discussione.

163 Altri casi falliti di un tentativo di introdurre nel sistema italiano una legge generale che sancisca il diritto ad essere informati sull’azione amministrativa, sono la proposta di legge “Lucifredi” del 1 settembre 1958, ma anche, ancora più vicini ai tempi della legge 241, i lavori della Commissione Bozzi per le riforme istituzionali che, in una relazione presentata nel gennaio del 1985, considerava come obiettivo fondamentale da raggiungere quello della “piena trasparenza della pubblica amministrazione e dei suoi procedimenti”. Sono importanti non tanto per il risultato che, in effetti, non venne raggiunto, ma perché segnalano la consapevolezza del legislatore emergente ad ondate in diversi momenti, della necessità di intervenire in materia.

164

La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, solo che non è coercitiva e quindi il contenuto delle singole disposizioni non ha alcun valore vincolante per gli stati membri; si tratta di norme manifesto, che auspicano che tutti gli stati che ad essa aderiscono, tra i quali ovviamente anche l’Italia, ad essa si conformino. In particolare l’art. 19 afferma: “Ogni

individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Per chi volesse consultare per esteso la Dichiarazione Universale si consiglia il sito

dottrina165 riconobbero il merito di una rigorosa costruzione del concetto di procedimento amministrativo, ad altri studiosi dobbiamo altrettanti approfondimenti di altissimo rilievo; in particolare fu Feliciano Benvenuti, in oltre 40 anni di riflessioni sul procedimento, ad analizzare, tra gli altri aspetti, nel modo più rilevante di tutti, il profilo della partecipazione166 ed a lamentare in più scritti, con toni forti e quasi sofferti, l’assenza di una legge italiana sul procedimento167.

Questi contributi proseguirono, negli anni a venire, in modo fecondo da parte di più autori della dottrina italiana sino ad arrivare, finalmente, al dato normativo nel 1990. E d’altronde, la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ben prima del 1990 ha affermato, in più occasioni che, per il tramite dell’art. 21 della Costituzione già analizzato, si possa configurare l’esistenza nel nostro ordinamento di un diritto autonomo all’informazione168. Fatte queste doverose premesse, il primo aspetto da approfondire e chiarire per questa ricerca sulle modalità di realizzazione della trasparenza da parte del legislatore ordinario è il seguente: quali sono i modelli comparati a cui si è rifatto?

Quali le influenze che hanno poi determinato il modello di conoscibilità pubblica contenuto nella legge n. 241/1990?

Sul punto è necessario operare una divaricazione piuttosto netta ed affermare che esiste una differenza notevolissima tra le conclusioni ed il disegno di legge scaturito quale punto d’approdo dei lavori preparatori della Commissione presieduta da Mario Nigro169, da quello che è stato poi il risultato finale

165 M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo, vol. II, cit., p. 831, in cui l’autore così afferma, a proposito dell’opera di inquadramento giuridico e dogmatico, compiuta da Sandulli sul procedimento amministrativo:

“Sembrava non solo aver fatto recuperare il tempo perduto, ma addirittura aver posto la dottrina italiana in una posizione avanzata nello stesso tema”.

166 B. SORDI, Istituzioni e storia nel pensiero di Feliciano Benvenuti, in Jus, 2000, 3, p. 426. Per un quadro più esaustivo sul pensiero di Feliciano Benvenuti in merito alla partecipazione procedimentale, si consiglia anche la voce on-line: www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Carlotti, in cui l’autore dello scritto coglie il punto di evoluzione degli studi di Benvenuti, rispetto a quelli compiuti da Sandulli; infatti, se quest’ultimo ha il merito di aver intuito che il procedimento amministrativo è una fattispecie a formazione progressiva, Benvenuti coglie l’aspetto aperto e dialettico del procedimento, cioè la dimensione aperta che esso deve avere e che si realizza compiutamente soltanto mediante il contradditorio tra cittadino e amministrazione e, spingendosi oltre, arriva idealmente anche ad ipotizzare una struttura normativa ben precisa che questo dovrebbe avere, cioè esprime una chiara preferenza per un modello di tipo processuale.

167 Tra i molti scritti in cui il professor Benvenuti affronta il tema di una mancata legge italiana sul procedimento, si possono, ad esempio, citare: “Mito e realtà nell’ordinamento giuridico italiano”, (pubblicato in “L’unificazione amministrativa e i suoi protagonisti”, Vicenza 1969, p. 67 ss.), in Scritti giuridici, III, Milano, 2006, p. 2750 ss.; “L’attività amministrativa e la sua disciplina generale”, (pubblicato in Atti del

Convivium regionale di studi giuridici, Trento, 1957, p. 49 ss.), in Scritti giuridici, II, Milano, 2006 p. 1509 ss..

168

Corte cost., 15 giugno 1972 n. 105 in cui, a proposito della libertà di manifestazione del pensiero, si afferma che questa tutela, sia pure indirettamente “l’interesse generale all’informazione che, in un regime democratico,

implica pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”.

169

In realtà, quella che è passata alla storia comunemente come Commissione Nigro, è soltanto una delle tre Sottocommissioni che, in quei tempi, siamo negli anni 1983-1984, si preoccuparono di studiare come modernizzare l’amministrazione italiana; la Commissione principale, infatti, era quella presieduta dal professor Massimo Severo Giannini. A sua volta, questa Commissione si articolava in altre tre Sottocommissioni delle quali una, quella diretta dal professor Sabino Cassese, si occupava di abrogazione di complessi normativi ormai

contenuto nella legge n. 241 licenziata dal legislatore del 1990, la quale si continua a chiamare legge sul procedimento, quando forse sarebbe più corretto affermare che si tratta di un corpo di disposizioni concernenti, più in generale, le modalità di esercizio dell’attività amministrativa. Giova sottolineare che il professor Mario Nigro aveva un’idea di amministrazione immersa a 360 gradi nel tessuto connettivo della società170, che però si è scontrata con un legislatore pronto alla rivoluzione, ma non del tutto per tacere di istinti reazionari o giù di lì emersi nel 2005 sui quali, inevitabilmente, si tornerà con la dovuta attenzione per capire quali sono le eventuali criticità della disciplina attualmente vigente in Italia.

Tra l’altro, i lavori della Sottocommissione Nigro, finalizzati ad affermare il principio dell’efficienza nell’azione statale e di garantire, nel contempo, il cittadino attraverso un’attività amministrativa efficiente, ma anche e soprattutto chiara e limpida, avevano avuto un importante antecedente storico nei tentativi compiuti nel 1972 dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, Massimo Severo Giannini, il quale presentò alle Camere, ma invano, diversi disegni di legge finalizzati ad introdurre una legislazione sul procedimento amministrativo. Tra i punti qualificanti dei lavori della Sottocommissione Nigro, volta ad elaborare proposte di revisione dei procedimenti amministrativi, ed autrice di due schemi di disegni di legge, uno concernente la partecipazione dei cittadini all’azione amministrativa, l’altro riguardante il diritto di accesso, quello che ha un’incidenza più immediata per queste investigazioni sulla trasparenza è senz’altro il secondo in materia di accesso. Anche perché, è inutile girarci intorno, lo strumento per eccellenza volto a realizzare la trasparenza è proprio il diritto di accesso171 anche se abbiamo visto, riflettendo a fondo sull’ampiezza

vetusti e superati, quindi, più in generale, di regolare ed orientare un corretto svolgimento del fenomeno della delegificazione; una seconda, quella presieduta da Franco Piga, aveva approfondito i temi dell’ordinamento della Presidenza del Consiglio e dei controlli; infine, una terza, era diretta dal professor Nigro e presieduta da Renato Laschena e si occupava, rispettivamente, del procedimento amministrativo e del diritto di accesso ai documenti da un lato, dei problemi e di possibili riforme del processo amministrativo, da un altro canto. Per indicazioni ancora più dettagliate sulle attività svolte da ciascuna delle 3 Sottocommissioni si consiglia di consultare C. FRANCHINI, La relazione governativa sulla delegificazione e sulla modernizzazione delle istituzioni, in Riv.

trim. dir. pubbl., 1985, pp. 304-310;

170 M. NIGRO, Amministrazione pubblica (organizzazione), in Enc. Giur. It., 1988, p. 5 ss., in cui si sostiene la tesi secondo la quale l’amministrazione moderna ha contatti sempre più intensi e profondi con la società civile, talmente intrecciati che “tende a costituirsi, anzi, come una delle forme di organizzazione e di espressione di

questa società...” e si afferma a chiare lettere che l’amministrazione ormai non può prescindere dal valore

pubblicità: “la nazionalizzazione dello Stato esige il massimo di pubblicità della vita amministrativa e che né

rappresentanza, né partecipazione hanno effettivo valore senza la più piena pubblicità non solo degli atti, ma delle informazioni in possesso dei pubblici poteri”.

171

Dello stesso avviso anche la Consulta: Corte cost., 17 marzo 2006, n. 104, in cui nel quadro di un’analisi a più ampio respiro, perché indirizzata a cogliere il risvolto e la derivazione costituzionale del principio di pubblicità dell’azione amministrativa “che deve ispirare anche il procedimento per l’elezione dei membri del parlamento europeo, configurato dalla legge come un procedimento amministrativo, in quanto dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, ha assunto il valore di un principio generale (art. 1) che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell’amministrazione; esso costituisce un principio di patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei, stabilito, tra l’altro, dall’art. 253 del Trattato

della trasparenza, che sarebbe riduttivo e fuorviante considerarlo l’unico deputato alla missione.

Certo, vi sono anche posizioni estreme da ricordare; infatti vi sono autori della dottrina che ritengono, addirittura, che la trasparenza coincida e si esaurisca con l’accesso medesimo172; non è un puro caso che la legge sul procedimento amministrativo del 1990 venga anche conosciuta, nel linguaggio comune, come legge sulla trasparenza. In realtà, secondo certa parte della dottrina, soprattutto Virga, che scrive alcune riflessioni sul punto in tempi immediatamente antecedenti l’emanazione della legge 241/1990,173 la ragione principale per la

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