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Il principio di trasparenza quale libertà di manifestazione del pensiero

Il primo nucleo di norme costituzionali inerenti il principio democratico ruota soprattutto intorno all’art. 21 della Costituzione dedicato proprio alla libertà di manifestazione del pensiero e di stampa, anche se non si possono trascurare altre norme affini sul tema, quali l’art. 33 sulla libertà dell’arte e della scienza, l’art. 15 sulla libertà e segretezza delle comunicazioni e l’art. 19 sulla libertà religiosa. E’ senz’altro vero che l’art. 21 della Carta ha una fragilità intrinseca rispetto ad altri testi costituzionali93, così come è indubitabile che la libertà di manifestazione del pensiero si evolva nel tempo, nasce come un diritto esclusivamente individuale, diviene una prerogativa da esercitare nell’interesse generale e trova, dunque, una delle sue espressioni massime nel pluralismo a più ampio raggio dei mezzi di informazione. Ora, se la libertà di manifestazione del pensiero come indicatrice massima del principio democratico e quindi della trasparenza di cui esso è espressione, è così rilevante, ci si aspetterebbe una esaltazione da parte del legislatore ordinario proprio del sistema complessivo del mondo dell’informazione.

Però, così non sembra, almeno dall’esame della legge 29 aprile 2004, n. 112, recante “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione”, da cui risulta un sistema chiuso che sembra pregiudicare la massima libertà di informazione da parte dei cittadini, quella che si potrebbe definire trasparenza passiva.

Stesse sensazioni permangono, scorrendo il successivo Testo Unico sulla radiotelevisione, anche se è pur vero che nell’art. 3 garantisce il pluralismo informativo e la liberà di espressione94; ma si tratta delle classiche norme quadro, affermazioni di principio che, per essere veramente efficaci, avrebbero ben bisogno di un adeguato contenuto sanzionatorio.

E questa sfiducia si riflette anche nell’atteggiamento degli italiani che, pur privilegiando ancora la televisione come mezzo principe per informarsi,

93 La Legge fondamentale per la libertà di espressione della Repubblica federale di Germania, entrata in vigore il 23 maggio 1949, contiene l’art.5, che appare più solido rispetto all’art. 21 della Costituzione: “1. Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi senza impedimento da fonti accessibili a tutti. Sono garantite le libertà di stampa e d’informazione mediante la radio e il cinema. Non si può stabilire alcuna censura. 2. Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della gioventù e nel diritto al rispetto dell’onore della persona. 3. L’arte e la scienza, la ricerca e l’insegnamento sono liberi. La libertà d’insegnamento non dispensa dalla fedeltà alla Costituzione.

94 L’art 3 del Testo unico del 2005 in materia di radiotelevisione, tra le altre affermazioni, pone anche, tra i principi fondamentali: “la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale”.

percepiscono, in maniera sempre più diffusa, di essere male informati95. Eppure, se si va a vedere i report dell’Osservatorio permanente sui contenuti digitali96, non vi è dubbio che nonostante una continua crescita, la fonte più utilizzata per informarsi resti ancora la televisione anche se, per alcuni giornali di punta, si registra una continua crescita dei lettori on-line97. Ed allora, se ancora oggi, nel 2012, la televisione è per la maggioranza dei cittadini la rappresentazione della realtà98, non consola constatare, numeri alla mano, che il pluralismo informativo sia, in Italia, piuttosto carente. E’ evidente che una informazione omogenea ed equilibrata soddisferebbe il diritto ad essere informati e che, quest’ultimo non è altro che una articolazione in forma passiva della trasparenza.

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Tale è la sensazione che si ricava dall’ultimo rapporto Censis/Ucsi, quello del 2010, sullo stato dell’informazione in Italia, in cui i numeri sono implacabili: la cattiva informazione smorza l’ascolto, basti pensare che, tra settembre 2009 e giugno 2010 c’è stato un calo dei telegiornali serali nazionali superiore a 3 milioni di persone, l’ascolto medio è infatti passato da 18.333.000 a 14.968.000 spettatori medi coinvolgendo, inesorabilmente, entrambi i 2 telegiornali di punta, sia il Tg1 quanto il Tg5. Interessante il calo esatto del minutaggio concesso ai 2 principali partiti politici italiani: presso il Tg1 al Pdl è stato concesso il 35,8% del tempo totale, al Pd il 17,3%, quindi il doppio, sperequazione meno intensa, ma comunque consistente, anche presso il Tg5, 30,7% al Pdl contro il 23% al Pd.

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www.osservatoriocontenutidigitali.it, confrontando gli ultimi due dati disponibili, quello del 2009 con quello del 2011, sembrerebbe che ci si possa andare a toni di entusiasmo circa il rapporto tra gli italiani ed Internet. Infatti, se nel 2009, circa 28 milioni di italiani si collegavano ad Internet almeno una volta al mese e il 46,5% degli italiani accedevano alla Rete almeno una volta la settimana, nel IX rapporto Censis sulla comunicazione del Giugno 2011, quest’ultimo dato è cresciuto in modo notevole: accedono ad Internet almeno una volta ogni 7 giorni il 53,1% dei cittadini. Questo non muta, granchè, il quadro in merito alle difficoltà ancora irrisolte, rappresentate soprattutto dalla difficoltà di fruire di collegamenti veloci. Infatti, ad esempio, l’ultimo rapporto Eurostat, datato dicembre 2010, consultabile on-line sul sito www.puntoinformatico.it/news, condanna inesorabilmente l’Italia, la quale nonostante ripetute dichiarazioni evidentemente propagandistiche, è fanalino di coda in Europa quanto all’utilizzo della banda larga dove occupa un poco lusinghiero 23° posto complessivo, precedendo solo paesi ben più indietro dal punto di vista della industrializzazione, quali Grecia, Bulgaria e Romania con una diffusione della banda larga a livello europeo pari ad una media del 61%, addirittura raddoppiata rispetto al dato del 2006 con l’Italia ferma invece al 49%; il che attesta che ancora metà della popolazione non ha accesso ad Internet veloce. Non solo: se parliamo di meri accessi ad Internet anche senza l’ausilio della banda larga, Inghilterra, Germania Francia, ma anche i paesi scandinavi, l’accesso settimanale al World Wide Web supera abbondantemente il 70%, senza contare che il Report Censis del 2011 apre anche un grosso punto interrogativo in relazione al luogo di accesso, perché non chiarisce se quel 53,1% comprende solo accessi casalinghi o include anche quelli dai luoghi di lavoro e questo gonfierebbe ovviamente un quadro che, a leggere bene nei numeri, disegna, purtroppo un quadro italico di fortissimo ritardo rispetto ai grandi paesi europei, quasi una Caporetto digitale; se si riflette su un ultimo aspetto significativo, cioè che alcuni Stati, dalla Germania all’Inghilterra avevano superato la percentuale del 50% di accessi di utenti unici ad Internet già nel 2006, la realtà è che l’Italia è indietro di 5 anni secchi rispetto a queste nazioni.

97 Si riportano dati desunti dal raffronto tra il rapporto Censis/Ucsi 2010 e quello del 2011; dal penultimo report risulta che, per alcuni quotidiani, gli utenti Internet rappresentano una fetta di lettori ormai ragguardevole: il 19,6% per La Repubblica e il 15,1% per il Corriere della Sera. Questo trend trova una conferma nel rapporto Censis-Ucsi del 2011, da cui risulta che l’informazione sul cartaceo scende numericamente: il rapporto quantifica nel 47% la percentuale di italiani che acquistano un quotidiano. La televisione rimane ancora il mezzo informativo di riferimento, insieme alla radio, se è vero che vi è una percentuale di italiani pari addirittura al 28,7% che raccoglie il suo bagaglio di notizie solo tramite l’uso di questi 2 strumenti. A fronte di questi numeri, vi è anche da segnalare un dato virtuoso, sempre rapporto Censis 2011, di quel 48% di cittadini, comunque pari a meno della metà di quelli complessivi, che scelgono invece di sottoporsi ad una dieta mediatica completa in quanto si informano attraverso i 3 grandi segmenti oggi a disposizione: televisione, giornali e Internet.

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Il 7 febbraio del 2001, certo ormai dieci anni fa, ma l’inesorabile crescita dell’età media degli italiani, una delle più elevate del mondo, pari al 42,8% secondo il rapporto ISTAT 2010, e, nel contempo, l’elevato numero di soggetti ultrasessantacinquenni, pari al 20,2%, poco avvezzi a lasciarsi sedurre dalle nuove tecnologie, rende questa affermazione, tutto sommato, ancora attuale, il Presidente AGcom Corrado Calabrò, nell’Audizione alla camera dei Deputati disse testualmente: “la televisione è lo specchio in cui la società si riconosce”.

Sembra quindi potersi concludere che esiste uno scarto, ed anche abbastanza grande, tra le enunciazioni costituzionali e la disciplina vigente, emanata dal legislatore ordinario nel settore dell’informazione.

Occorre ora spostare la nostra attenzione verso gli altri due raggruppamenti di norme costituzionali rivelatrici del principio democratico, per cercare di trarre qualche conclusione in ordine alla presenza della trasparenza nella Costituzione, quale rappresentazione del principio democratico, e verificare poi il comportamento del legislatore ordinario per trarre qualche indicazione sulla limpidezza del sistema rispetto alla Costituzione.

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