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Digitalizzazione come fattore in grado di attenuare gli effetti del pluralismo

Il principio costituzionale del pluralismo amministrativo, che rende ciascuna amministrazione un corpo a se stante, un ente unico ed irripetibile, non può certo far dimenticare, sotto altro verso, quello altrettanto indefettibile, della reductio ad unum, rappresentato dal perseguimento dell’interesse pubblico, governato dall’art. 97 della Costituzione per il tramite del principio di legalità.

Inoltre, la differenziazione organizzativa non può indurre a trascurare quei profili costituiti dalla positivizzazione, da ormai oltre 20 anni, da parte del legislatore ordinario, di tutta una serie di parametri comuni a cui fare riferimento per raggiungere al meglio questo interesse. Si fa evidentemente riferimento a quelle linee guida di effettività, economicità, efficienza ed efficacia le quali, trasfuse in legge dall’art 1 della legge 241/1990, rubricato non a caso “principi generali dell’attività amministrativa”, affondano in realtà le loro radici molto più in profondità, perché vengono da lontano. Esse, infatti, non paiono altro che un’applicazione concreta del disposto di quell’art. 97 della Costituzione repubblicana, che prescrive agli enti le strade da seguire per esercitare, in maniera temperata, perché incanalata nella legge, i poteri autoritativi di cui sono dotati.

Cosa cambia nell’era informatica alla luce della differenziazione organizzativa e del pluralismo amministrativo? Da questo punto di vista proprio niente, lo scopo di ciascun ente resta sempre ovviamente quello di tentare di assicurare il soddisfacimento del bene comune, anche i parametri sono sempre quelli. Sotto questo punto di vista, il quadro tracciato dalle fonti e dalla giurisprudenza costituzionale rivela una notevole coerenza intrinseca. Infatti, preso atto del fatto che le quattro grandi aspirazioni delle amministrazioni di svolgere le proprie attività con effettività, economicità, efficienza ed efficacia sono sempre le medesime, quantomeno da oltre vent’anni, ma in realtà da molto più tempo ragionando in termini di principi costituzionali, ciò che muta radicalmente sono solo i mezzi a disposizione per raggiungerle, molto più incisivi ed invasivi rispetto a quell’epoca, neppure troppo lontana temporalmente, ma diversissima da questa, di quel mondo in cui, l’attività di informazione pubblica di raccolta, conservazione ed elaborazione dei dati, avveniva per il tramite esclusivo della carta288.

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Giova sottolineare, in questa sede, che non vi è alcuna fonte normativa che affida espressamente alle amministrazioni il compito di raccogliere, elaborare e trasmettere informazioni; si tratta, infatti, di quello che viene comunemente definito potere implicito, nel senso che è connaturato e necessario per svolgere proprio quelle funzioni che la legge affida alle medesime amministrazioni pubbliche; solo in qualche caso specifico, il più eclatante è forse quello dell’ISTAT, l’istituto statistico nazionale di ricerca; il fine per cui l’ente è costituito, è proprio quello di svolgere attività di ricerca e divulgazione di informazioni di interesse generale. Si parla, in tal caso, di enti di ricerca strumentale che, a loro volta, vanno ulteriormente distinti da quelli di ricerca non strumentale; si pensi, a titolo esemplificativo, al Centro Nazionale di Ricerca (CNR); inoltre, si deve ulteriormente tenere distinte le prime due fattispecie, dalle strutture d’informazione tecnica, rispetto alle quali vi

La differenziazione organizzativa e il pluralismo amministrativo non possono incidere sotto questi aspetti, e non potrebbe essere altrimenti. Ecco perché la soluzione della potestà legislativa esclusiva statale, in materia di coordinamento informativo ed informatico, è quella più convincente; infatti, se si ragiona in termini di scopo comune, interesse pubblico e linee guida ugualmente comuni, economicità, effettività, efficienza ed efficacia, tracciate dal legislatore ordinario in applicazione dell’art. 97 della Costituzione, il pluralismo amministrativo, tradotto nella possibilità teorica degli enti pubblici di agire in piena autonomia per dotarsi di strutture informatiche, avrebbe finito con il portare a risultati di sviluppo informatico in seno agli enti ancora più disomogeneo, di quanto non lo sia già attualmente. Questa è la realtà, come certifica in modo difficilmente contestabile l’esistenza di un notevole divario digitale in seno alle varie amministrazioni italiane.

Il pluralismo amministrativo e la connessa differenziazione organizzativa incidono, semmai, ed in modo assai pervasivo, sulla qualità dei risultati e sui tempi di raggiungimento dei medesimi. Si vuole cioè evidenziare che questi esiti diversi non sono una conseguenza immediata e diretta di questo pluralismo inteso come capacità di normazione autonoma della materia in capo agli enti pubblici, ma sono soltanto effetti mediati e indiretti dell’autonomia organizzativa di cui sono dotati. Solo sotto questo diverso profilo, il pluralismo incide, e stavolta in modo determinante, perché sotto questo versante risaltano le politiche più convinte di taluni enti verso la digitalizzazione, grazie a maggiori risorse economiche che corroborano queste politiche o semplicemente per maggiore convinzione o sensibilità, e il ritardo di altri. Ipotizzando solo per un momento una diversa soluzione delle competenze, cioè immaginando l’autonoma capacità degli enti di muoversi a tutto campo sul fronte della capacità di produrre tutta la normativa informatica di cui necessitano, combinando questa ipotesi con la riflessione circa la disomogeneità del risultato che comunque si è raggiunto, nonostante la potestà legislativa esclusiva statale della materia, è difficile negare che, probabilmente, il risultato finale sarebbe stato il caos.

Tralasciando le differenze sul piano degli esiti e provando a considerare l’informatizzazione amministrativa come un fenomeno sviluppatosi in modo unitario, è ovvio che, sul piano logico, a mezzi estremamente maggiori, dovrebbero corrispondere, almeno potenzialmente, semplificazioni assai maggiori nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, almeno in capo a quegli enti che, più di altri, hanno potuto, o voluto, percorrere questa strada.

Vale tuttavia la pena anticipare, facendo una considerazione inerente le incognite connesse a questa nuova era, che questo è vero solo in parte, perché l’informatica tanto aggiunge ma qualcosa toglie, nel senso che apre certamente

è, ancora una volta, una forte prevalenza, anche qui non strumentale, dell’attività di trasmissione ed elaborazione di informazioni, è il caso del servizio meteorologico.

nuove delicate questioni. Si pensi solo per un attimo, per rendersi immediatamente conto che la telematica non è la panacea di tutte le difficoltà quotidiane degli enti pubblici, al problema della sovrainformazione, un eccesso di dati ricavabile on-line che pone immediatamente il conseguente interrogativo della affidabilità, della completezza e della qualità289 di queste informazioni.

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La qualità dei dati può essere intesa sia in senso oggettivo, che soggettivo. Il senso oggettivo consiste, nelle due accezioni principali tradizionali, nella affidabilità e nella integrità del dato. Tuttavia, un importante documento risalente al 1999, il noto rapporto Manderlken, dal nome del Ministro francese che lo ha presieduto, consultabile on-line alla voce www.ladocfrancaise.gouv.fr, dopo aver esaminato in generale l’impatto di Internet sulla diffusione dei dati pubblici e aver sottolineato che le nuove tecnologie creano anche nuove opportunità economiche per gli stessi enti , nel fornire al legislatore raccomandazioni specifiche e generiche sul come disciplinare la materia, chiarisce che cosa si debba intendere con qualità oggettiva dei dati forniti dagli enti pubblici ai tempi di Internet, arricchendo di significati ulteriori e aggiuntivi la tradizionale definizione: infatti, dal rapporto Manderlken, si desume che essa è da intendersi, non solo, come affidabilità e integrità, ma anche garanzia di aggiornamento, perennità e, inoltre, esistenza di un legame inscindibile tra qualità del dato e qualità del soggetto diffusore, suggerendo, a garanzia di quest’ultima esigenza, che sia la stessa amministrazione, che rende pubblico il dato, a dover compiere una sorta di certificazione di qualità del dato medesimo. Altri aspetti, meno centrali ma comunque importanti per completare la nozione di qualità oggettiva del dato informatico, sono il principio di necessità, la rilevanza e la non eccedenza, nel caso in cui l’informazione in questione abbia ad oggetto profili personali dell’individuo. Per qualità del dato in senso soggettivo, si è soliti, invece, intendere la caratteristica del dato, desiderata dagli utenti. Interessante notare che la defunta AIPA (Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione, nella redazione preliminare datata 8 febbraio 2002, contenente le linee guida per l’accesso, la comunicazione e la diffusione dei dati pubblici, legava la nozione di qualità soggettiva dei dati, alla conoscibilità dei medesimi, realizzando in questo modo un collegamento tra qualità soggettiva e oggettiva, perché il tramite della conoscibilità rimanda ad altre caratteristiche di qualità del dato di segno oggettivo: sicurezza, usabilità, aggiornamento, esattezza, correttezza e accuratezza. Infine, nella prospettiva attuale, il Codice dell’amministrazione digitale ha scelto di privilegiare la dimensione oggettiva, individuando nell’art. 51, rubricato significativamente “sicurezza dei dati”, a voler sottintendere che tutti gli elementi di qualità di un dato informatico devono, comunque, concorrere a un obiettivo finale preminente, la sicurezza; sono cinque i caratteri imprescindibili di qualità del dato: esattezza, disponibilità, accessibilità, integrità e riservatezza, aggiungendo un’ulteriore garanzia di qualità, nell’obbligo posto in capo alle amministrazioni nell’art. 54, 4 comma, quella di garantire la conformità delle informazioni on-line ai provvedimenti originali. E questo significa un preciso vincolo per gli enti pubblici perché, accanto alla libertà di scelta in ordine alla pubblicazione on-line di determinate informazioni, fa da contraltare l’assenza di libertà nella modalità di pubblicazione di queste informazioni, in quanto sono tenuti a garantirne la conformità all’originale e la fruizione gratuita ai cittadini. Come sempre, le scelte di politica legislativa contengono ineliminabili rischi: infatti, da un lato si plaude a una maggiore garanzia per il cittadino, assicurata dall’identità tra la versione cartacea e quella messa on-line del dato, ma non si può negare, sotto un altro versante, che la garanzia di qualità può essere pagata a caro prezzo, perché è innegabile che le amministrazioni, di fronte a un obbligo così stringente, potrebbero essere in qualche modo frenate e, una volta inserito il dato con i contenuti minimi possibili per rispettare la legge, decidano volontariamente di evitare la messa in rete di informazioni aggiuntive, magari molto utili per l’utente utilizzatore finale.

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