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L’importanza della comunicazione nel nuovo diritto amministrativo e la distinzione

Sicuramente è estremamente complicato per un osservatore esterno percepire i cambiamenti che innovano l’amministrazione, paragonabile visivamente ad un enorme ghiacciaio272, una immensa superficie apparentemente piatta e immobile nella quale i mutamenti non solo sono così lenti da non essere visibili con lo spettro visivo dell’osservazione di corto respiro temporale, ma anche difficili da metabolizzare dopo che sono diventati coercitivi per effetto della previsione di legge. Infatti, tali innovazioni dei poteri pubblici, si scontrano con la cultura e la tradizione di tutte quelle persone che costituiscono il tessuto vivo dell’amministrazione stessa, che lavorano all’interno degli uffici e sono abituate ad un certo modo di procedere, spesso restie al cambiamento, soprattutto se rivoluzionano il loro modo di operare, tuttavia è un dato di fatto che, dalla fine degli anni ottanta ad oggi, i mutamenti nell’amministrazione italiana siano stati veramente notevoli.

Ad una osservazione forse superficiale ma di lungo periodo, ciò che balza subito all’occhio è il fatto che i cambiamenti, seppur con ripensamenti vari che hanno evidenziato un operato contradditorio del legislatore, hanno riguardato non solo singoli elementi del sistema amministrativo, funzioni, procedure, personale, organizzazione, ma anche e soprattutto i principi dell’agire amministrativo, sovvertendone taluni di tradizione secolare, dalla segretezza all’impersonalità, e attenuando la portata di altri, come quelli di autorità e unilateralità, oggi fortemente ridimensionati dalla 241 novellata. Si pensi, solo per un momento, all’art. 11 che ha generalizzato l’istituto degli accordi, quale strumento generale di conclusione di un procedimento amministrativo in luogo del classico provvedimento finale, ponendo al centro della scena la logica negoziale tra cittadino e privati, in luogo di quella calata dall’alto di un soggetto, l’amministrazione, i cui fini pubblici giustificavano non solo gli speciali poteri, ma rendevano non ipotizzabile, sino a poco più di venti anni addietro, il privilegiare di logiche partecipate.

Ebbene, i nuovi principi che regolano attualmente l’azione amministrativa, la pubblicità e trasparenza, la semplificazione, la partecipazione, la responsabilità e, non certo ultimo in ordine d’importanza, la sussidiarietà, hanno tutti un tratto

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La suggestiva immagine appartiene a Gregorio Arena, evocata per ricordare quanto siano lenti i cambiamenti all’interno dell’amministrazione, così pachidermici da essere impercettibili, almeno che, per poterli apprezzare, non ci si ponga in una necessaria prospettiva storica di lungo periodo. G. ARENA, La funzione pubblica di

comunicazione, in La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, a cura di G. ARENA, Rimini,

in comune: esaltano la funzione di comunicazione, cioè per realizzarsi pienamente hanno bisogno della comunicazione. In alcuni casi questo aspetto è così semplice da cogliere da apparire addirittura intuitivo: si rifletta solo per un momento sull’art. 7, comma 1, della legge n. 241/1990, che dispone un obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo verso i “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge devono intervenirvi”, una norma chiaramente finalizzata a favorire la partecipazione al procedimento. Che cos’è questo obbligo di comunicazione, se non un obbligo, in senso lato, di informazione? E’ piuttosto chiaro che, nel caso di specie, l’informazione è addirittura coessenziale all’istituto della comunicazione di avvio del procedimento; senza la comunicazione, cioè senza l’informazione, esso non potrebbe esistere e quindi la partecipazione, per essere effettiva, ha bisogno proprio della comunicazione. In questa stessa linea argomentativa si pone sicuramente il preavviso di rigetto, introdotto dall’art. 10-bis della novella del 2005; anche qui, la comunicazione è geneticamente connessa al diritto di cittadinanza dello strumento del preavviso di rigetto: senza preavviso, il cittadino non può esercitare la facoltà di presentare memorie e documenti entro il termine legale dei 10 giorni.

Lo stesso collegamento con l’informazione, cioè con l’indispensabilità della funzione di comunicazione perché questi possano operare efficacemente, si può instaurare per altri moderni principi che oggi governano l’azione amministrativa: si rifletta ad esempio sul principio di responsabilità amministrativa, che nella legge 241/1990 è stato sancito per la prima volta con l’istituzione della figura, ex. artt. 4-6, del responsabile del procedimento e, particolare decisivo, con l’utilizzazione di una tecnica legislativa inedita che, memore di un secolare comportamento quantomeno elusivo, consente di individuarlo finalmente con certezza; è evidente che, anche in questo caso, vi è a fondamento la comunicazione, cioè la possibilità di individuare materialmente la persona fisica deputata a svolgere i singoli procedimenti inerenti una data unità organizzativa, a lui dunque ci si può rivolgere proprio per conoscere notizie su un dato procedimento che al cittadino interessa.

Vi sono poi casi in cui, è quello del principio di semplificazione amministrativa, dove questo collegamento non è poi così intuitivo; Gregorio Arena avverte che la macchina burocratica dell’amministrazione italiana è così particolare che si può parlare, con buone ragioni, di “paradosso della semplificazione”273; il problema centrale dell’amministrazione italiana consiste proprio nel trovare un

273 G. ARENA, Semplificazione normativa: un’esperienza ed alcune riflessioni, in Le Regioni, n. 5, 1999, pp. 851-875, in cui l’autore spiega che l’amministrazione italiana si dibatte tra due opposte tensioni, da un lato un’ineliminabile complessità amministrativa, che fa parte della tradizione storica e culturale dell’amministrazione italiana, caratterizzata da un inestricabile reticolo di connessioni tra enti centrali e periferici, tutti a loro modo partecipi, seppur con peso diverso, dell’esercizio dell’azione amministrativa; da un altro canto, la continua ricerca di semplificazione, consistente nell’eliminazione di tutti quegli intoppi burocratici e di quelle complesse norme che ostacolano la celerità dell’azione amministrativa.

punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificare l’azione amministrativa ed una soglia fisiologica ineliminabile di complessità. Sotto questo profilo, emerge l’importanza della comunicazione nella semplificazione, cioè il fatto che, preso atto di una soglia di complessità ineliminabile, questa può essere meglio affrontata con informazioni complete, aggiornate e comprensibili fornite ai cittadini, in modo da indirizzarli meglio per recuperare quelle informazioni di cui hanno necessità.

Altresì, le medesime esigenze di comunicazione emergono in seno al costituzionalizzato principio di sussidiarietà, ex art. 118 delle Disposizioni Superiori, che, nella versione verticale, impone un continuo scambio di informazioni tra i diversi livelli, da quelli inferiori a quelli superiori degli enti che, a partire dai comuni, sono incaricati di svolgere le funzioni amministrative. Tali esigenze emergono anche nell’accezione della sussidiarietà cosiddetta orizzontale, in cui la leale cooperazione tra gli enti amministrativi l’un l’altro da un lato e i cittadini quali soggetti attivi della collaborazione medesima per assicurare un più proficuo svolgimento delle stesse funzioni amministrative dall’altro, ha come esigenza non eliminabile proprio lo scambio di informazioni. Elementare risulta poi, ma non certo ultimo in ordine di importanza, quasi come corollario conseguente del rapporto tra semplificazione ed informazione, il rapporto ulteriore ed aggiuntivo tra la comunicazione e la trasparenza amministrativa: proprio perché vi è complessità nella macchina dei poteri pubblici, vi è anche l’esigenza di renderla trasparente, cioè di assicurare una grande circolazione delle informazioni, sia tra le amministrazioni, ma anche nei rapporti verso l’esterno; quindi la trasparenza, posta tra i nuovi principi dell’attività amministrativa moderna, come ribadisce d’altronde l’art. 1 della 241, può essere soddisfatta solo tramite un efficace operare della comunicazione.

Il rapporto tra trasparenza e comunicazione è così stretto che si corre il rischio di confonderle e scordarsi che, se la trasparenza è un principio, la comunicazione è una funzione. I rapporti tra l’una e l’altra sono certamente strettissimi, le moderne amministrazioni hanno un’esigenza fisiologica di comunicare continuamente con i cittadini, per fare loro conoscere i propri obiettivi e per dare conto delle tappe attraverso cui tali risultati verranno raggiunti e, esprimendosi in modo atecnico, si può dire che tendono sempre a ricercare rapporti che, in apparenza, ricercano la trasparenza con il tramite della notizia.

Ecco perché i due concetti rischiano di sovrapporsi, vi è un elemento presente in entrambe, la notizia, cioè la circolazione delle informazioni, comune tanto alla trasparenza quanto alla comunicazione, la quale, a sua volta, può avvenire sia tra amministrazioni reciprocamente, sia dalle amministrazioni ai cittadini.

Il tentativo di distinzione concettuale tra trasparenza e comunicazione si complica poi ulteriormente, se si pensa che la comunicazione è molto vicina ma

è, nel contempo, differente dall’informazione, come risulta sia dal lessico, sia dai differenti scopi.

Informazione è termine composto perché contempla anche la presenza di un prefisso intensivo, quell’in che compone la parola in-formare che significa “plasmare” o “dare forma” a qualcosa e l’elemento che viene plasmato è l’informazione, la notizia, che permette di essere edotti su questo qualcosa. Nell’informare l’elemento di spicco è il rapporto tra un soggetto, che può essere tanto fonte quanto destinatario della notizia, e la realtà che lo circonda: le informazioni danno forma alla realtà, plasmano il mondo. In una accezione più ampia disgiunta dalla stretta letteralità, dare forma significa anche dare ordine, procedere a semplificare, attribuire dunque all’informazione il compito duplice e consequenziale di plasmare una certa realtà e al tempo stesso di semplificarla, perché è più agevole vivere una realtà dove circolano le informazioni. Occorre certamente prestare attenzione alle eventuali derive patologiche che esse potrebbero assumere, distogliendole dalla loro funzione di semplificazione, e questo accadrebbe sia se fossero in eccesso, sia di cattiva qualità, e dunque inidonee alla loro funzione; ma queste sono situazioni che, pur potendo certamente verificarsi, non tolgono nulla al fatto che le informazioni, in una situazione normale, svolgono questa funzione di facilitare le attività dei loro fruitori. Attenzione: il loro scopo non è quello di provocare delle modifiche nei comportamenti dei loro destinatari; questo si può verificare, ma è solo una conseguenza indiretta. E’ chiaro che, nel momento in cui il cittadino ha un certo patrimonio conoscitivo, si comporterà in un certo modo: si pensi al classico caso dell’ufficio in cui ci si deve recare, se è aperto solo da una data ora; è perfettamente inutile andarci prima o dopo, ma questo è tuttavia solo un effetto mediato dell’informazione, il cui primo scopo è semplificare la realtà circostante, dandole una forma anziché un’altra.

Non così nella comunicazione, termine di derivazione latina, dove il primo elemento che balza all’occhio è la diversità numerica dei soggetti che, in questo caso, devono essere almeno due. La parola in esame, è composta da cum che significa con, e munus, che significa incarico, compito; legando i due termini, abbiamo senz’altro la pluralità necessaria dei soggetti, perché comune postula la necessaria presenza di almeno due individui, di conseguenza il con richiama l’idea che una data attività sia compiuta collettivamente, la si condivida. Andando oltre, anche in questo caso, il mero dato letterale, occorre chiedersi che cosa si metta in comune; ebbene, anche nella comunicazione, si mettono in comune delle informazioni, delle notizie, in senso lato diremmo il mondo, con una sostanziale differenza rispetto all’informazione.

Infatti, tramite la comunicazione coloro che comunicano danno alle informazioni un dato significato, con lo scopo di influenzare i comportamenti dei loro destinatari, e quindi al fine che i fruitori delle informazioni si comportino diversamente proprio a seguito delle notizie ricevute; nella

informazione questo può succedere, ma è soltanto un effetto secondario e mediato, perché l’ambizione dell’informazione è quella di semplificare la realtà circostante e di renderla così più comprensibile. E’ vero che le notizie sono in gioco tanto nella nozione di informare che in quella di comunicare, però nella comunicazione lo scopo non è fornire notizie, ma influenzare i comportamenti di chi le riceve, tanto da poter arrivare a sostenere che, se non si ottiene questa deviazione degli utenti dagli originari intenti comportamentali, il risultato non è raggiunto; nell’azione del comunicare il successo non risiede nel numero dei soggetti raggiunti, ma in quello di cambiare il comportamento a seguito di essa. Infine, oltre al diverso numero dei soggetti, c’è da riscontrare anche il loro differente atteggiarsi nell’informare e nel comunicare; infatti, mentre nell’informare vi è certamente il soggetto attivo che fornisce le notizie e quelli passivi fruitori di queste, nel comunicare tutti i soggetti sono attivi, nel senso che è vero che vi sono coloro che elargiscono le informazioni e coloro che le ricevono ma, siccome il successo di questa operazione lo si apprezza solo se, mediante un libero convincimento e senza alcuna coercizione i destinatari delle notizie mutano i loro comportamenti, o meglio ne assumono di differenti rispetto a quelli che avrebbero assunto se non le avessero ricevute, non è scorretto rilevare che, anche i destinatari delle notizie sono, a loro modo, dei soggetti attivi, perché solo attivandosi con comportamenti nuovi l’operazione del comunicare ha successo.

Ne consegue, come ulteriore corollario implicito, il carattere liberale che permea tutta l’attività del comunicare, perché è vero che si ha la libertà di scegliere come comportarsi, sempre nello stesso modo o no dopo i nuovi dati disponibili, ma è anche vero che la discrezionalità sussiste anche in capo alla fonte, nel senso che ha la piena libertà di fornire la notizia, in che termini, con quali mezzi, con quali tempi.

Perché questa digressione intorno alla sfumata differenza tra informazione e comunicazione, eventualmente rintracciabile, con un po’ di fatica, solo intorno al differente scopo svolto? Interrogativo centrale che in questa sede occorre porsi è se, ai fini dello scopo trasparenza, modo di essere dell’attività amministrativa multi sfaccettato e composito, l’attività dell’amministrazione, una volta superato l’imperio del segreto e quindi incentrata sulla circolazione delle notizie, ruoti più sull’informare o sul comunicare. La trasparenza, svincolata dall’accesso e mutata geneticamente nel suo significato e nei suo contenuti in seguito ai nuovi istituti di cui oggi si compone, è espressione di comunicazione o di informazione?

Accogliendo nelle premesse la distinzione sopra elaborata, in particolare sulla base del fatto che la comunicazione è capace di indurre comportamenti, l’attività di informazione e non quella di comunicazione, quantomeno nelle notizie fornite

su richiesta274, cioè quando l’amministrazione fornisce notizie o risponde a domande, sembrerebbe più rispondente ad una certa idea di trasparenza, cioè a quella focalizzata non solo verso un più chiaro rapporto con i cittadini, ma anche connessa e consequenziale con l’intendimento che questo rapporto debba tendere alla semplificazione.

Questa tesi è avvalorata dal delicato ulteriore versante della necessità di distinzione tra le comunicazioni di interesse generale effettuate da organi di staff dei vertici politici con quelle di natura espressamente politica275 che, entrambe comunque concepite per indurre comportamenti di un tipo anziché di un altro, possono comunque essere fatte rientrare nella più ampia categoria della comunicazione che, vista sotto questa funzione, si allontana sempre più dalla trasparenza o, se si preferisce, risulta controverso il suo contributo effettivo alla realizzazione di questo fine.

Caratteristica rilevante delle attività di informazione è che in queste non vi sia né una fonte del dato e neppure un fruitore passivo, individuabili e distinti, perché i ruoli sono perfettamente interscambiabili, tutti i soggetti possono essere attivi o passivi. Ed allora, le amministrazioni che forniscono notizie ad altre amministrazioni o che rispondono ad una richiesta di accesso del cittadino, ma non solo, che forniscono elementi sull’andamento di una certa procedura amministrativa, non sono necessariamente fonte della notizia ma potrebbero anche essere destinatarie, a loro volta, di notizie da parte degli altri soggetti interessati alle notizie che, in tal caso, assumerebbero appunto il ruolo di fonte e questo vale sia per le amministrazioni che per gli stessi cittadini.

L’attività di informazione, almeno quella su richiesta, ha questa specificità che è invece da escludersi per quella di comunicazione, in quanto questa mira principalmente a fornire notizie per modificare comportamenti, e quindi sarebbe inconcepibile, proprio sul piano logico, anche solo ipotizzare di riscontrare in quest’ultima la medesima indistinguibilità tra le fonti e i destinatari delle notizie. Merita una considerazione diversa l’attività di informazione senza il fondamento di una istanza in quanto, in tal caso, non si può utilizzare il criterio della perfetta interscambiabilità tra fonte e destinatario; ma se il quadro, come rilevato, è

274 Risulta, infatti, evidente il rischio insito nella comunicazione, laddove essa venga ricostruita come attività che abbia come fine quello di indurre certi comportamenti, in quanto risulta chiaro il rischio di un utilizzo con fini propagandistici di questa attività di diffusione di informazioni al pubblico. Questo pericolo è confermato dall’unica legge sistematica che si occupa di informazione e comunicazione, la n. 150/2000 che, nell’art. 1, comma 5, lettera f; tra le finalità di informazione e comunicazione, enuncia quella di “promuovere l’immagine delle amministrazioni”, attraverso la pubblicizzazione di eventi organizzati dallo Stato, dalla Regione, o dagli altri enti locali.

275 Il professor Mattarella affronta questo aspetto: B. G. MATTARELLA, Informazione amministrativa, in

Dizionario di diritto pubblico, a cura di Sabino Cassese, Milano, 2006, p. 3129, che rivela la sua delicatezza

osservando il quadro delle fonti, perché la legge n. 150 non offre soluzioni; ma neppure la normativa sulla comunicazione politica si rivela appagante, in quanto limitata all’art. 9, comma I, della legge n. 28 del 2000, che si limita a prevedere che, dalla data di convocazione dei comizi e fino alla chiusura delle operazioni di voto, “è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace svolgimento delle proprie funzioni”.

complicato dal fatto che informazione e comunicazione hanno, come visto, il medesimo oggetto nella circolazione delle notizie, come distinguere efficacemente in tale caso tra informazione e comunicazione?

Quest’ultima è, certamente, una situazione più difficoltosa e proprio per questo il criterio distintivo deve essere rinvenuto, più che mai, solo esaminando con estrema attenzione lo scopo. Infatti, solo volgendo dritti verso il fine, il quadro torna a ricomporsi e pare, ancora una volta, acquistare nitore quell’idea in base alla quale solo la informazione e non la comunicazione ha come obiettivo la trasparenza. Ed ecco che, laddove ci si trovi dinnanzi ad attività di informazione senza istanza, solo nel caso in cui questa sia volta alla semplificazione della realtà, cioè al tentativo di rendere più cristallino il rapporto tra amministrazione e cittadini, possiamo ritenere che l’attività in questione sia di informazione e che l’obiettivo sia realmente la trasparenza. E d’altronde, un dato normativo abbastanza chiaro per supportare questa ricostruzione è a disposizione dell’interprete: quell’art. 26 della legge 241/1990 che dispone, tra l’altro, al I° comma: “…sono pubblicati, secondo le modalità previste dai singoli ordinamenti, le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni altro atto che dispone in generale sulla organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi, sui procedimenti di una pubblica amministrazione…”. Questa norma, secondo l’insegnamento di Arena, sembra proprio quella che più di tutte riesce a demarcare la differenza tra informazione e comunicazione, in quanto quale altro scopo ha il pubblicare queste fonti amministrative, se non quello di cercare di semplificare la vita al cittadino e, di conseguenza, di favorire la trasparenza amministrativa?

Esempi di altro tipo, che delineano una classica attività di informazione, sono quelli relativi alle campagne svolte dalle amministrazioni a incoraggiare l’utilizzo delle cinture di sicurezza, non solo perché legislativamente obbligatorie ma per la loro chiara funzione salvavita, o ancora, quelle che spiegano i danni derivanti dall’uso del tabacco; in queste ipotesi, l’amministrazione fa informazione, è cioè chiaro che l’intento è la modificazione da parte della collettività di comportamenti che, nei casi proposti, sono potenzialmente pericolosi sia a livello individuale ma anche collettivo, come nel caso delle cinture in auto. Non vi è trasparenza, non si vuole semplificare la vita dei cittadini, ma si vuole indurli ad abbandonare comportamenti pericolosi per abbracciarne altri virtuosi. Risulta forse più chiaro ora perché, nel quadro dell’emersione prepotente dell’importanza della comunicazione nell’ambito dell’attività amministrativa, la trasparenza va ricercata alla luce di una necessaria, anche se non certo macroscopica,

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