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L’assenza della menzione esplicita della trasparenza nella Costituzione impone all’interprete di cercare di rinvenirne le tracce implicitamente, cioè come principio che rappresenta la manifestazione, il modo di essere di altri che, invece, sono espressamente menzionati. Per compiere questa faticosa operazione è sicuramente una buona prospettiva quella di affidarsi alla strada percorsa da Donati80.

E’ bene subito premettere che non si tratta certo di un compito semplice, se si pensa che, lo stesso faticoso tentativo di definire che cosa si intenda con principio, è un compito così complesso da essere destinato ad un fallimento81. Però, altrettanto certamente, è un’operazione indispensabile quantomeno alla luce delle numerose volte che il legislatore ordinario, statale e regionale, ha introdotto norme semplici che contenessero questo valore, non solo la celeberrima legge statale 241/90, ma anche numerose leggi regionali82; ed allora ecco che diventa stonato e difficile da concepire

80 D. DONATI, Il principio di trasparenza in Costituzione, in La trasparenza amministrativa, a cura di Merloni, p. 83 ss.

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Lapidario R. GUASTINI, Sui principi di diritto, in Diritto e Società, IV, 1986, p. 601 ss., “i principi generali non costituiscono affatto una categoria semplice e unitaria: anzi con questa espressione si intendono cose spesso molto diverse” tanto che la dottrina e parte della giurisprudenza riconoscono ben 6 modi diversi di intendere ed utilizzare i principi e cioè come norme: 1) dotate di un alto grado di generalità; 2) dotate di un alto grado di astrattezza; 3) programmatiche; 4) poste molto in alto nel sistema delle fonti; 5) con un ruolo fondamentale nel nostro ordinamento; 6) rivolte agli organi dell’applicazione affinché guidino il processo decisionale volto a scegliere le disposizioni applicabili nelle variegate fattispecie.

82 E’ il caso della legge regionale sarda 15 luglio 1986, n. 47, molto nota perché e’ la prima legge italiana che si occupa, temporalmente parlando, di accesso ai documenti e, soprattutto, di trasparenza, antecedente di ben 4 anni rispetto alla 241/90. Questa legge regionale si distingue per un impianto sistematico che, non solo anticipa, ma risulta anche molto più fedele alle risultanze della Commissione Nigro, cioè quell’organismo che si insediò per dare vita al disegno di legge della 241/90 che poi non venne recepito completamente dal legislatore nei suoi contenuti. La Commissione, infatti, propose una libertà di accesso generalizzata ai documenti, in armonia con i principi di pubblicità e trasparenza, fatta eccezione per quegli atti della P. A. sottoposti alla disciplina del segreto anche se, su questo progetto, pesò in modo decisivo il parere negativo, in sezione consultiva, del Consiglio di Stato sulla base della motivazione che si correva il rischio di un eccessivo aggravio per la P. A. Ecco, la legge sarda del 1986, pur antecedente alla 241, prevede un impianto logico giuridico che si richiama a quello che sarà il lavoro della Commissione Nigro.

Infatti, nell’art. 1, in modo assolutamente innovativo, quasi profetico per quei tempi, si afferma che: “L’attività amministrativa della Regione autonoma della Sardegna è ispirata al principio dell’imparzialità e della trasparenza. Al fine della realizzazione di tale principio, è assicurata la libera circolazione delle informazioni ed è riconosciuto a tutti i cittadini il diritto di accesso ai documenti amministrativi della Regione, delle proprie aziende autonome, degli enti pubblici e dei concessionari di pubblici servizi regionali”.

La norma regionale sarda è chiara, non limita l’accesso a peculiari caratteristiche di cui dovrebbe essere fornito l’interesse ad accedere, ma lo consente in modo generalizzato salvi, ex art. 3, I comma, “i documenti coperti da segreto previsto da disposizioni di legge”. Invece, la disciplina previgente dell’art. 22 capo V della 241/90, più restrittiva rispetto al lavoro della Commissione Nigro, in conseguenza dell’accoglimento, da parte del Governo, delle risultanze del Consiglio di Stato, riconosce l’accesso solo “a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”. Un altro spunto di particolare interesse, per quei tempi tutto sommato lontani dal mondo tecnologico immersivo odierno, è il riferimento che l’art. 10 compie verso le tecnologie informatiche: “Con l’entrata in funzione del sistema informativo regionale il diritto di accesso potrà essere esercitato, in relazione ai documenti in esso raccolti, anche negli uffici periferici in cui sono ubicati i terminali”. Dunque un’ispirata intuizione, nonostante si versi ancora nel 1986, delle potenzialità degli strumenti informatici,

il fatto che la proprio la Carta Suprema non annoveri, neppure in via interpretativa, un principio così diffuso e tanto popolare nelle leggi ordinarie. Indubbiamente, il tratto di un principio che balza subito all’occhio, pur ad un esame sommario, è la sua generalità ed astrattezza; si tratta di una cornice che necessita l’esplicitazione mediante la normativa di dettaglio e, d’altronde, questa indeterminatezza del contenuto gli conferisce altri caratteri fondamentali: un principio è fonte del diritto in quanto ha la capacità di innovare, segnando in maniera profonda i tratti di un ordinamento giuridico; inoltre, è dotato di due requisiti che si rivelano cardinali per superare l’inconveniente della mancata presenza di esso nella Costituzione: estrema elasticità83 e carattere mai esplicito84.

La prudenza è obbligata, non si vuole affermare che dalla flessibilità sia consentito ricavare una potenziale estensibilità del principio costituzionale senza né criterio né limiti85.

Si vuole invece proporre il ragionamento in base al quale, in un sistema giuridico vivo, pur riconoscendo l’ovvio rango di norme al vertice del sistema da parte dei principi costituzionali, essi sono comunque precetti vivi, aventi un carattere vincolante per l’operato del legislatore ordinario espresso attraverso il controllo di legittimità che la Corte compie, raffrontando la legge stessa con la norma costituzionale sovraordinata; l’ordinamento giuridico può ricostruirsi non come una cascata in senso discendente, ma come un sistema circolare nel quale le norme ordinarie, talvolta, possono essere da stimolo per sfruttare la flessibilità del principio costituzionale, per ampliarne la portata a tutela di valori nuovi che, in un primo momento, non contemplava, come è il caso della trasparenza86.

una mentalità certamente anticipatrice ispira l’dea che anche agli enti locali potesse essere consentito di accedere ai documenti della Regione.

83

R. DWORKIN, Legal Theory and the problem of Sense, in R. GAVISON, Issues in Contemporary Legal

Philosophy, Oxford University Press, New York, 1987, p. 9 ss., secondo il quale un principio giuridico non deve

essere applicato automaticamente, anche se soddisfa la fattispecie concreta all’esame dei giudici ma, comunque, va sempre inteso in termini relazionali, cioè posto in rapporto combinato con gli altri principi del sistema, anche, e soprattutto di quelli eventualmente configgenti e da qui si può evincere l’alta flessibilità del principio.

84 Questo tratto del principio giuridico viene studiato con attenzione da F. MODUGNO, voce Principi generali

dell’ordinamento, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXIV, Roma, 2002, il quale ritiene che non esistano

principi espressi in senso stretto in quanto, anche quando enunciano in modo esplicito un precetto, in realtà hanno una portata applicativa più ampia del precetto stesso che richiamano. E’ un fenomeno particolare che si chiama “eccesso di contenuto deontologico”, che è stato studiato per la prima volta, in modo profondo e in più lavori, da V. CRISAFULLI, tra i quali, primo in ordine di tempo, fu Per la determinazione del concetto dei

principi generali del diritto,Milano, 1941.

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L. ELIA, La giustizia costituzionale nel 1983, in Giur. Cost,, 1984, I, p. 338 ss.. e anche on-line all’indirizzo

www.cortecostituzionale.it, dove è possibile reperire un puntuale resoconto, annata per annata, sia dell’attività che delle criticità emerse nel lavoro della Consulta.

86 Sono le posizioni di R. NANIA e P. SAITTA, Interpretazione Costituzionale, in Diz. Dir. Pubbl., diretto da Cassese, Giuffrè, Milano, 2006. Gli autori, tra le altre affermazioni, sostengono la tesi che la particolare accuratezza con cui la Costituzione disciplina il procedimento di formazione delle leggi è una prova indiretta, ma indiscutibile, del fatto che l’opera del legislatore ordinario è in realtà una prosecuzione dei principi posti dai costituenti, cioè è un’opera viva che sviluppa e attualizza i precetti indeterminati, generali e astratti contenuti nella Carta.

Un’ulteriore, fondamentale, precisazione è necessaria: non si devono confondere i principi generali dell’ordinamento con quelli costituzionali perché, mentre gli ultimi conferiscono novità e attualità al sistema dall’alto della loro natura in quanto fonti di rango superiore, invece, i principi generali dell’ordinamento svolgono una funzione di completamento del sistema in forza dell’art. 12, II comma, delle Disposizioni sulla legge in generale87.

Se un principio costituzionale può essere analiticamente disegnato in questi termini, si supera la domanda iniziale: può essere rinvenuta in Costituzione, pur in assenza di una sua affermazione espressa? Certamente si, sia perché desumibile da altri principi nominati in modo letterale e anche perché gli stessi enunciati espressi, in realtà, sottendono un contenuto più ampio di quello loro proprio e da questo contenuto ulteriore, l’eccesso di contenuto deontologico, si ricava la trasparenza.

E poi, non si può, a questo punto, sottacere una ulteriore prerogativa quasi scontata del principio costituzionale, cioè il suo valore programmatico traccia una strada che il legislatore ordinario è stato chiamato a percorrere nei decenni successivi all’entrata in vigore della Carta, lettera viva, elastica, flessibile ed assorbente.

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