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6. Misure di prevenzione tipiche e atipiche nel contrasto alle molestie sessuali

6.2 I codici aziendali

I Codici aziendali riprendono, in particolare, quegli obblighi di informazione e formazione che sono stati previsti a livello di Accordi sindacali. In tale paragrafo prenderò in considerazione il Codice Rai adottato nel 2017214, in quanto prevede una

tassonomia utile ai fini di distinguere quelli che sono i comportamenti molesti e non in ambito lavorativo e in quanto introduce espressamente la figura del Consigliere di Fiducia.

Obiettivo del Codice è quello di assicurare un ambiente di lavoro corretto e professionale ai lavoratori e lavoratrici, condannando in tal senso le “discriminazioni e

le molestie di ogni genere, comportamenti non professionali, epiteti inappropriati o dispregiativi, insulti, minacce o scherni”. Espressamente, dunque, richiede il ruolo attivo dei lavoratori

nell’adottare comportamenti che siano improntati al rispetto della dignità dell’altro,

214 Norme di comportamento relative alle molestie nei luoghi di lavoro RAI 2017, adottato il 25

trasformandosi da meri spettatori a soggetti agenti nella realizzazione di un clima dignitoso e rispettoso del principio della parità di trattamento.

La definizione di molestia sessuale ripresa dal Codice è quella di origine europea, ripresa all’articolo 26 del Codice delle Pari Opportunità, con conseguente equiparazione della stessa alle discriminazioni fondate sul sesso e indesideratezza del comportamento da parte del soggetto che lo subisce. Il risultato è quindi la creazione di un clima di lavoro intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Inoltre, sono considerate “particolarmente gravi” quelle molestie che:

Implicitamente o esplicitamente sono utilizzate al fine di esercitare pressione in caso di assunzione di un/a lavoratore/lavoratrice, o in caso di decisioni che riguardano il suo profilo professionale;

Hanno lo scopo o l’effetto di interferire irragionevolmente con le performance professionali del/la dipendente o di creare un ambiente di lavoro intimidatorio, ostile o offensivo per lo stesso”.

In tal senso, il Codice specifica che la molestia sessuale si viene a configurare anche laddove il comportamento non sia accompagnato da un ricatto o da minacce, ma sia semplicemente indesiderato per chi lo subisce e che anche un singolo atto isolato, non ripetuto, costituisce molestia sessuale.

Fornisce, poi, una catalogazione utile, alla quale possiamo ricorrere per classificare le molestie in ambito lavorativo e per cercare di identificare quei confini tra un comportamento molesto e un comportamento, invece, accettabile. In tal senso, le molestie possono essere:

Verbali (scritte e/o orali), tra le quali possiamo avere allusioni sessuali, epiteti sessuali o razziali, insulti o commenti denigratori, scherni volgari, minacce, proposte o suoi volgari o d’insulto;

In ambito visivo: immagini, fotografie e oggetti denigratori o volgari, gesti osceni; In ambito fisico: contatti fisici indesiderati di qualunque tipo;

Inoltre, qualsiasi iniziativa che rappresenti il fare o minacciare ritorsioni a seguito di una risposta negativa ad un approccio verbale e/o fisico; dunque, viene previsto anche il

ricatto sessuale.

In relazione agli obblighi di formazione e informazione, vengono sanciti quelli che sono i doveri dei responsabili gerarchici, ovvero “favorire la prevenzione delle molestie nei

luoghi in cui esercitano le loro funzioni” e, qualora si verifichino tali comportamenti,

“assumere e sollecitare le misure organizzative e gestionali ritenute più idonee al fine di evitare il

ripetersi di analoghe situazioni”. Come abbiamo visto in precedenza, la previsione di una

tassonomia chiara e la previsione di particolari doveri in capo ai dirigenti rappresentano due aspetti fondamentali nel campo della prevenzione delle molestie sessuali in generale in quanto da un lato i confini tra quelli che sono i comportamenti accettabili e non possono essere fonte di tensioni e irrigidimento a livello lavorativo, con ingerenze del datore di lavoro nella vita privata dei lavoratori stessi. Inoltre, la violazione di obblighi di formazione e di istruzione, in capo ai dirigenti, può essere

motivo di responsabilità dello stesso ex art. 2087 c.c. o ex art. 2049 c.c. qualora si verifichino eventi in tal senso.

Infine, viene prevista la figura del Consigliere/a di Fiducia, avente come ruolo principale quello di “fornire idoneo supporto alle vittime di molestie e/o discriminazioni, anche

eventualmente affiancandole nella fase di denuncia e segnalazione”.

Merita un accenno, infine, la questione se le molestie sessuali possono dare origine a un licenziamento per giusta causa del soggetto, anche se tale azione disciplinare non è espressamente prevista dal Codice in relazione a condotte ascrivibili a molestie sessuali. In tal senso, una sentenza ha riconosciuto, in capo al datore di lavoro, la possibilità di licenziare il dipendente anche se il comportamento “molestie sessuali” non era previsto nel codice disciplinare, considerandolo, in tal senso, quale licenziamento per “giusta causa” 215.

215 Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20272, in Rep. Foro it., 2010, voce Lavoro, n. 1399:

“l’obbligo previsto dalla disposizione contenuta all’articolo 2087 c.c. non è limitato al rispetto della legislazione tipica della prevenzione, ma, come si evince da un’interpretazione della norma in aderenza a principi costituzionali e comunitari, implica anche il divieto di qualsiasi comportamento lesivo dell’integrità psico-fisica dei dipendenti qualunque ne siano la natura e l’oggetto, e, quindi, anche nel caso in cui siano posti in essere atti integranti molestie sessuali nei confronti dei lavoratori, in conformità, altresì, alla raccomandazione 92/131 CEE 27 (…)”. In senso conforme, Cass. civ., 2 maggio 2005, n. 9068, in Giust. civ. Mass., 2005, 5: “ai fini della configurabilità della giusta causa di licenziamento in ipotesi di plurimi episodi di molestie sessuali di un dipendente nei confronti di altri, il giudizio di proporzionalità tra fatto addebitato al lavoratore e provvedimento inflitto deve essere compiuto considerando in modo complessivo i singoli episodi (nella specie, la Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva annullato il licenziamento ritenendo non tempestivamente contestato il primo episodio e gli altri, se pur riprovevoli, non idonei a giustificare l'espulsione); nella giurisprudenza di merito, App. Torino 5 febbraio 2007, in Redazione Giuffrè 2007 (nella specie, oltre alla legittimità del licenziamento, è stata sancita la possibilità per il datore di lavoro di avanzare anche una richiesta risarcitoria nei confronti del dipendete in quanto costui, dipendente comunale, aveva leso l’immagine del datore stesso e della comunità vista la pubblicazione della notizia di molestie sessuali ai danni di un’altra dipendente sulla stampa locale); in senso contrario, nella giurisprudenza di merito, Trib. Bologna, 21 febbraio 2018, n. 150, in Redazione Giuffrè 2018, secondo la quale: “in tema di presunte molestie sessuali sul luogo di lavoro, esaminando il carattere persecutorio o meno delle condotte, si può dire che le mere volgarità non possono essere qualificate molestie o violenze sessuali, oggettivamente e soggettivamente, quantomeno per totale assenza di dolo; ciò a maggior ragione se la vittima non abbia mostrato alcun serio dissenso se non un consenso. In sostanza, attenzioni non indesiderate, atteggiamenti non aggressivi e non graditi non fanno riscontrare tensione, timore, paura, esasperazione. E non si ravvisa alcun intento doloso. In ipotesi del genere di certo non si può dire che il presunto molestatore si sia comportato correttamente e non meritasse una sanzione disciplinare, ma il licenziamento è sproporzionato”. A parte alcuni passaggi particolarmente antipatici (“ed ancora ad esempio, se X le sfiorava il sedere o la toccava ogni volta che si alzava per aprire o chiudere la finestra o gli chiedeva una delucidazione di lavoro, (e Lei asseritamente non riusciva a denunciarlo o a dirgli seriamente di smetterla o a dargli uno schiaffo), avrebbe potuto/dovuto evitare di andare a chiudere la finestra (o magari chiedere a lui di chiuderla), avrebbe potuto/dovuto evitare di chiedergli

Nel caso di specie, l’autore di molestie sessuali ai danni di una collega aveva fatto ricorso dinanzi al Tribunale del Lavoro e, successivamente, dinanzi alla Corte d’Appello e alla Cassazione in quanto il licenziamento, a suo dire, non era legittimo, non essendo previsto “quale causa legittima di licenziamento” dal codice di condotta adottato dall’impresa. Inoltre, lamentava la violazione del principio della necessaria proporzionalità tra la violazione commessa e la sanzione del licenziamento. La Corte d’Appello, nella valutazione circa il rispetto del principio di proporzionalità tra condotta/licenziamento, sancisce la necessità di una valutazione globale, che tenga conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche le “modalità soggettive della condotta

del lavoratore”, ricollegandosi, in tal senso, all’ art. 2087 c.c. Infatti, “è di tutta evidenza come le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità (anche professionale) del lavoratore, comportano l’obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2087 c.c., sicché deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato al dipendente che abbia molestato sessualmente una collega sul luogo di lavoro, a nulla rilevando la mancata previsione della suddetta ipotesi nel codice disciplinare e avendo il datore di lavoro in ogni caso l’obbligo di adottare i provvedimenti che risultino idonei a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, provvedimenti tra i quali può certamente ricomprendersi anche il licenziamento dell’autore delle molestie sessuali, minando un tale illecito disciplinare fortemente l’elemento fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro e rendendo dunque proporzionata la sanzione del licenziamento in tronco dell’autore di una tale violazione. Nel caso di specie, sussiste proporzione tra sanzione disciplinare applicata e mancanza commessa, avuto riguardo a tutti gli aspetti del caso concreto e tenuto conto che le molestie sessuali sono state compiute durante l’orario di lavoro, nel corso del turno di notte, da un lavoratore sovraordinato, provocando nella vittima una profonda lacerazione dello stato psico-fisico con ripercussioni anche in ambito familiare”.

Pertanto, l’articolo 2087 c.c. impone, in capo al datore di lavoro, il dovere di adottare quelle misure idonee a preservare la dignità e la personalità dei lavoratori, ricorrendo all’uso dell’azione disciplinare. In particolare, l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del responsabile rappresenta, come affermato dalla dottrina in merito, un “insostituibile strumento di salvaguardia dell’organizzazione aziendale”216; in tal senso, la

funzione preventiva della responsabilità civile che sorge dalle disposizioni ex art. 2087 c.c. e 2049 c.c. si incardina proprio nel prendere misure sanzionatorie nei confronti del soggetto molestatore. Infatti, in caso contrario, ovvero nel caso di adozione di una misura disciplinare non effettiva, il datore di lavoro può essere tenuto al risarcimento del danno per non aver adottato misure effettive volte a tutelare i propri dipendenti.