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Le molestie a sfondo religioso: i casi Spotlight in salsa italica

Le molestie e gli abusi di natura sessuale sono particolarmente sentiti anche all’interno delle Istituzioni Ecclesiastiche374, nelle quali, complice soprattutto un clima omertoso

372 477 U.S. 57, 106 S.Ct. 2399

373 Campus Sexual Violence Elimination Act, or Campus SaVE Act (SaVE), adottato nel 2013 e

avente l’obiettivo di “increase transparency about the scope of sexual violence on campus, guarantee victims enhanced rights, provide for standards that protect both the accuser and accused in institutional conduct proceedings, and provide campus community wide prevention educational programming”. Tale Atto è stato previsto come emendamento del Jeanne Clery Disclosure of Campus Security Policy and Campus Crime Statistics Act (Clery Act 1990), 20 USC § 1092, legge che era stata adottata in memoria di una studentessa, Jeanne Clery, violentata e in seguito assassinata da uno studente del College presso il quale studiava.

374 Nel gennaio del 2002, il team “Spotlight”, in italiano “riflettori”, fondato da alcuni giornalisti

del Boston Globe, aveva messo in luce gli abusi sessuali perpetuati ai danni di minori all’interno dell’Arcidiocesi cattolica di Boston, provocando un vero e proprio scandalo- Massachusetts Catholic sex abuse scandal- che aveva portato alle dimissioni di Bernard Francis Law, Arcivescovo dal 1984, accusato di non aver denunciato tali casi di pedofilia (https://www.bostonglobe.com/news/special-reports/2002/01/06/church-allowed- abuse-priest-for-years/cSHfGkTIrAT25qKGvBuDNM/story.html). L’arcidiocesi, nel 2003, ha quindi accettato di pagare un risarcimento pari a 85 milioni di dollari alle numerose vittime (https://www.nytimes.com/2003/09/10/us/church-in-boston-to-pay-85-million-in-abuse. lawsuits.html?mtrref=www.google.com&gwh=97E884943AA703FA5051E2ACC52B1E6 A&gwt=pay). Si pensi, inoltre, all’ultimo scandalo scoppiato nell’agosto del 2018 in Pennsylvania e rilevato dall’inchiesta dell’Investigating Grand Jury, in cui sono implicati circa 301 sacerdoti, i quali hanno potuto operare indisturbati grazie ad uno schema di “abuso, negazione e copertura” che ha da un lato portato alla prescrizione della maggior parte dei reati e dall’altro portato alla pubblica accusa dei responsabili, con l’adozione di misure di allontanamento, in F. Peloso, Lo scandalo che il papa non riesce ad arginare, https://www.internazionale.it/opinione/francesco-peloso/2018/08/21/pennsylvania- abusi-minori-chiesa. L’attualità del fenomeno si vede anche nel fatto che il Summit internazionale di febbraio (21-24 febbraio 2019) di quest’anno presso il Vaticano sarà incentrato su tale tema, ai fini di mettere in luce quella pratica di cover up messa in atto all’interno della Chiesa stessa, soprattutto da parte dei Vescovi, e garantire una maggior trasparenza dei processi e un maggior rapporto con le vittime di tali abusi https://www.lastampa.it/2019/02/14/vaticaninsider/vaticano-la-responsabilit-dei-

e volto a coprire gli aggressori, vittime sono per lo più minorenni affidati alle loro cure o, comunque, soggetti deboli375.

In questo frangente, una Sentenza del Tribunale di Bolzano si pone come leading case italiano nel riconoscimento della responsabilità solidale della Diocesi e della Parrocchia per il fatto illecito commesso da un collaboratore del Parroco, il quale aveva, nell’esercizio delle proprie funzioni, abusato di una ragazzina minorenne per cinque lunghi anni376.

Il caso è, purtroppo, frequente nelle cronache odierne: un chierico, operante nella Parrocchia di S. Pio X di Bolzano “in qualità di cooperatore parrocchiale e responsabile della

pastorale giovanile”, viene dichiarato responsabile di violenza sessuale e maltrattamenti

nei confronti di una minorenne che frequentava la Parrocchia a fini catechistici. Nonostante non venga penalmente condannato a causa della prescrizione del reato377,

gli attori, in sede civile per il risarcimento dei danni, chiedono che venga accertata, oltre alla responsabilità dell’autore già riconosciuta in sede penale, la sussistenza della responsabilità solidale della Diocesi e della Parrocchia. La stessa sorgerebbe “a titolo

diretto ex art. 2043 c.c. in forza del rapporto di immedesimazione organica e per culpa in vigilando”

e a “titolo indiretto o per fatto ai sensi dell’articolo 2049 c.c., in virtù del rapporto di preposizione

intercorrente tra l’autore dell’illecito e gli enti ecclesiastici”.

375 È recente (1.02.2019) l’inserto dell’Osservatorio Romano nella rivista mensile Donne, Chiese

e Mondo, ove vengono denunciati gli abusi sessuali subiti dalle suore. Dalle parole di Anna Foa: “gli abusi, hanno trasformato, nella percezione comune, quella che era la più delicata delle manifestazioni dell’amore, la carezza, quella materna, quella consolatoria, quella che saluta il morente, in un’espressione di per sé sospetta e virtualmente oscena. Creando così, oltre che violenza e dolore, scandalo. (…). La situazione delle donne rimane molto ambigua. Soprattutto all’interno dell’istituzione ecclesiastica secoli di cultura incentrata sulla donna pericolosa e tentatrice spingono a classificare queste violenze, anche se denunciate, come trasgressioni sessuali liberamente commesse da ambo le parti (…). La differenza di potere, la difficoltà di denunciare per il timore, seriamente motivato, di ritorsioni non solo su di sé, ma anche sull’ordine di appartenenza, spiegano il silenzio che per anni ha avvolto questa prepotenza (…). In quest’ultimo anno molti giornali hanno sollevato di nuovo il velo su questa tragedia e molte religiose, del terzo mondo, ma anche dei paesi avanzati, hanno cominciato a parlare, a denunciare. Sanno che hanno il diritto di venire rispettate. Sanno che la condizione delle donne, anche nella Chiesa, deve cambiare. E sanno che per realizzare questo cambiamento non basta nominare qualche donna nelle commissioni. Se si continua a chiudere gli occhi davanti a questo scandalo (…), la condizione di oppressione delle donne nella Chiesa non cambierà mai” (https://www.lacronacadiroma.it/2019/02/losservatore- romano-denuncia-abusi-contro-suore/-

https://www.agensir.it/quotidiano/2019/2/1/losservatore-romano-dedicato-al-tatto-il- mensile-di-febbraio-donne-chiesa-mondo-foa-abusi-hanno-trasformato-carezza-in-atto- sospetto/).

376 Trib. Bolzano, 21 agosto 2013, n. 679, in Responsabilità Civile e Previdenza 2014, 1, 253 (nota

di Gaudino).

In relazione alla prima, responsabilità diretta ex art. 2043 c.c., i giudici escludono una sua configurabilità per mancanza del rapporto di immedesimazione organica: il vicario non riveste la qualifica di “organo”, in quanto organo è la persona che, alla luce delle norme organizzative dell’ente, in questo caso del diritto canonico, ha il potere di compiere atti giuridici idonei a vincolarlo. Ritengono, invece, sussistere la responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c.

In primis, il rapporto di preposizione, per la configurazione del quale “non rileva la sussistenza di un rapporto contrattuale, essendo sufficiente l’esplicazione da parte di un soggetto di un’attività per conto dell’altro, il quale conservi poteri di direzione o di sorveglianza, né la continuità o l’onerosità del rapporto stesso”, viene rinvenuto tanto nel rapporto tra vicario

parrocchiale e Parrocchia, quanto nel rapporto tra la stessa e la Diocesi. Senza entrare in un’analisi approfondita delle norme di diritto canonico perfettamente riportate dalla sentenza in esame, si evince chiaramente che il Vescovo, autorità al vertice della Diocesi, ha da un lato doveri di vigilanza, di controllo e di direzione nei confronti di tutta la Diocesi, di cui fanno parte anche le Parrocchie, dall’altro obblighi di cura verso i fedeli. Inoltre, allo stesso spetta un potere di rimozione del Parroco e dello stesso Vicario parrocchiale. Viceversa, il Parroco è nominato dal Vescovo e ha doveri di vigilanza sulla stessa Parrocchia e quindi controlla direttamente l’attività del Vicario parrocchiale. Quindi, da un lato sussiste un rapporto di preposizione in quanto “Don

C. veniva incaricato vicario parrocchiale dal Vescovo, e, in esecuzione di tale incarico, agiva in conformità alle disposizioni per lui specificamente determinate dal parroco, che gli attribuiva il compito di attendere all’educazione pastorale dei giovani. Tali funzioni venivano in ogni caso svolte sotto la vigilanza e l’autorità esercitate sia del parroco sia del Vescovo, in ragione dei poteri-dover ad essi attribuiti dal diritto canonico”. La Corte esclude, pertanto, la rilevanza dell’eccezione

avanzata dalla Diocesi, ovvero che un rapporto di preposizione sussisterebbe solo nelle organizzazioni di tipo aziendale e sicuramente non all’interno di un ordine religioso; in tal senso, è evidente che “i sacerdoti preposti alla cura pastorale e all’educazione

religiosa della comunità territoriale della Diocesi agiscono, sotto la direzione e la vigilanza del solo Vescovo o congiunta del Vescovo e del parroco, in esecuzione del mandato canonico loro affidato e per perseguire scopi non meramente personali, bensì propri dell’ente cui appartengono”. Dunque, i

giudici ricostruiscono un rapporto di preposizione alla luce di un potere di vigilanza e di controllo esercitato da soggetti posti in posizione apicale nei confronti di un soggetto che è comunque inserito all’interno dell’organizzazione dei primi, in quanto svolge funzioni nell’interesse di costoro e non nel proprio, consentendo “strumentalmente” a tali soggetti di raggiungere i fedeli.

I giudici, infine, ricostruiscono “alla lettera” il nesso di occasionalità necessaria, che, come esaminato al paragrafo relativo, sorge quando le mansioni esercitate abbiano anche solo agevolato la commissione dell’illecito, anche se il preposto abbia disobbedito agli ordini o sia andato al di là alle istruzioni ricevute. In tal senso, “deve

ritenersi che le mansioni svolte da don C. presso la Parrocchia, nell'esecuzione dell'incarico di vicario parrocchiale conferitogli dal Vescovo e nello svolgimento delle specifiche funzioni di istruzione religiosa dei giovani attribuitegli dal parroco don P., abbiano senz'altro agevolato il comportamento illecito, nella specie il fatto reato, del convenuto. L'incontro con l'allora minore L.C. e l'adescamento della stessa non può che ritenersi essere stato agevolato, se non addirittura reso possibile, dalle mansioni che egli svolgeva presso la Parrocchia. La minore infatti frequentava la Parrocchia in occasione dei

corsi di catechismo, quindi in un contesto di formazione ed educazione religiosa promosso da Diocesi e Parrocchia. Poiché preposto al coordinamento e all'organizzazione dei corsi di catechismo era lo stesso convenuto (…), risulta allora evidente il nesso di occasionalità necessaria fra le incombenze da egli stesso esercitate (istruzione religiosa dei minori, cura dei corsi) ed il fatto-reato, nel senso che le prime hanno quanto meno agevolato, "occasionato", la commissione del secondo. Non solo. Il canonico, trovandosi in pressoché costante contatto coi minori, è venuto a conoscenza della vittima proprio in ragione dell'attività da egli prestata. La relativa assiduità con cui la stessa frequentava la Parrocchia per attendere ai corsi ha altresì agevolato l'instaurazione di un rapporto sempre più intimo e confidenziale con la minore, agevolando quel crescendo di violenza, con cui i turpi abusi sessuali a danno della giovane, come accertati nella sentenza penale della Corte d'Appello, sono stati posti in essere”. Inoltre, il fatto illecito è stato compiuto anche con “sfruttamento” delle

mansioni che gli erano state affidate proprio in quanto addetto ai giovani: “sfruttando

le incombenze di educatore pastorale dei giovani ad egli affidate, ha approfittato delle occasioni di incontro fra egli e la minore, nonché dell'affidamento e del timore che la minore riponeva nella sua figura, potendo peraltro protrarsi la commissione dell'illecito, nei locali della stessa Parrocchia, per un tempo di eccezionale durata”.

A mio avviso, si tratta di una sentenza esemplare in quanto riesce a porre un deterrente e un incentivo affinché si adottino soluzioni volte a eliminare forme di abusi, anche di natura sessuale, che vengono compiuti all’interno della Chiesa. In senso analogo, una parte della dottrina ha ritenuto la sentenza un fondamentale leading case italiano verso il riconoscimento di un sentire sociale che richiede, al tempo stesso, “la garanzia

dei diritti, la separazione dei poteri, il principio di laicità, il rapporto tra il diritto e la legge, tra il diritto e la morale” 378. Una parte della dottrina ritiene379, invece, che in realtà non

sarebbe configurabile una responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c. in capo alla Diocesi, in quanto, in primis, non sarebbe ravvisabile un rapporto di preposizione come sopra indicato. L’autore fa riferimento al caso dell’appalto: normalmente il rapporto

378 Gu. Pappalardo, Stefano Rossi, Chiesa e pedofilia: note a margine di un leading case, Trib. Bolzano,

21.8.2013, N. 679, in https://www.personaedanno.it/articolo/chiesa-e-pedofilia-note-a- margine-di-un-leading-case-trib-bolzano-2182013-n-679-gu-pappalardo-stefano-rossi.

379 A. Licastro, Riappare un “déjà vu” nella giurisprudenza: la responsabilitàX oggettiva del vescovo per

gli atti illeciti dei suoi sacerdoti, in Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 1/2013 del 14 gennaio 2013, pp.13 ss. In tal senso: “il rapporto del ministro di culto con la confessione prescinde da qualsiasi scopo di carattere immediatamente utilitaristico o strumentale ed evoca piuttosto il ruolo di servizio che tutti i membri dell’organizzazione ecclesiastica ricoprono, nei riguardi della relativa base comunitaria, al fine di perseguire una “utilitas communis”, non propria”. E ancora: “è ferma convinzione di chi scrive che si debba fare ogni sforzo per punire adeguatamente tutti i reati e gli altri fatti illeciti perpetrati in più\ o meno diretta connessione con l’esercizio delle funzioni ministeriali e condannare, altresì\, le condotte negligenti, o in altro modo soggettivamente colpevoli, di chi ne abbia reso possibile o agevolato la commissione. Resta, invece, escluso che il sacrosanto diritto di ognuno ad ottenere pieno ristoro per i danni subiti possa essere favorito attraverso il tentativo di incrementare il numero dei casi (tassativamente circoscritti dalla legge) di responsabilità\ presunta o oggettiva, in cui si anniderebbe anche il rischio della deresponsabilizzazione dell’autore dell’illecito e dell’incoraggiamento dei comportamenti, eticamente non limpidi, di chi è pronto ad affibbiare strumentalmente ad altri l’etichetta, da tutti poco gradita, di “colpevole”.

appaltante- appaltatore non è in grado di determinare l’insorgenza di una responsabilità indiretta del primo per il fatto illecito dell’appaltatore, in quanto costui mantiene una sfera di autonomia molto forte nell’esercizio dell’attività, salvo che l’appaltante abbia dato direttive precise e vincolanti. Anche nel caso del Parroco e, in generale nei rapporti intercorrenti all’interno degli enti ecclesiastici, sarebbe necessario applicare una tale impostazione “restrittiva”, proprio alla luce dell’autonomia mantenuta da costoro. Inoltre, secondo l’autore, la previsione del 2049 c.c., nata in ambito imprenditoriale e legata alla teoria del rischio d’impresa, risponderebbe a mere ragioni economiche di bilanciamento tra costi e benefici. Una visione, pertanto, “inconciliabile con la natura delle relazioni all’interno della Chiesa” e che porterebbe, inevitabilmente, a una deresponsabilizzazione dell’autore materiale del fatto illecito e ad una colpevolizzazione di altri soggetti.

In generale, in quasi tutti gli ordinamenti si è cercato di arginare il fenomeno degli abusi perpetuati dai clerici mediante il ricorso da un lato alla tutela penalistica, qualora il fatto sia idoneo a integrare gli estremi di una fattispecie prevista penalmente, dall’altro mediante il ricorso alla tutela civilistica che, per il disposto dell’articolo 185 c.p., consegue necessariamente alla prima. Anzi, è proprio questa seconda tutela che svolge un ruolo fondamentale, di deterrence e compensation: come visto nel caso in esame, infatti, l’autore del reato è andato esente da responsabilità penale per prescrizione del reato, mentre non è andato esente da responsabilità civile, con obbligo di risarcire tanto il danno patrimoniale quanto i danni non patrimoniali. Inoltre, anche la non partecipazione della Diocesi nel processo penale non ha influito sulla sussistenza di un rapporto di preposizione comunque idoneo, in sede civile, a renderla responsabile nonostante, appunto, la non partecipazione al giudizio.

È questo, a mio avviso, un aspetto fondamentale in quanto, molto spesso, le vittime di tali reati non hanno raggiunto, al momento del compimento del fatto illecito, la maggior età e spesso le denunce sono, per ragioni anche di pudore e “rimozione”, tardive. Quindi, la tutela civilistica si pone come un elemento imprescindibile in quanto, come evidenziato dalla stessa dottrina380, svolge una funzione propriamente

riparatoria e compensativa del danno patrimoniale e non patrimoniale subito dalla vittima attraverso il risarcimento; una funzione di “ristoro morale” in quanto, attraverso il pubblico riconoscimento della lesione subita, la vittima ottiene una sorta di “valorizzazione” di quanto ha patito. La necessità che si possa instaurare una responsabilità solidale è poi fortemente sentita affinché la stessa possa esercitare tale funzione deterrente e preventiva: il singolo, infatti, non ha la possibilità di risarcire economicamente un danno di migliaia di euro (soprattutto nel caso in esame, in quanto è noto che un Parroco non ha sufficienti risorse economiche). Il riconoscimento di una responsabilità solidale dell’ente ecclesiastico permette, invece, un ristoro effettivo della vittima, che quindi potrà efficacemente rifarsi su di un patrimonio sicuramente più consistente; inoltre, consente una presa di coscienza, con assunzione di una posizione al riguardo che potrà portare all’adozione di strumenti

380 Si veda sul punto L. Gaudino, La responsabilità oggettiva degli enti ecclesiastici per gli abusi sessuali

preventivi volti ad evitare il protrarsi degli abusi e di azioni disciplinari sui singoli, da parte dell’ente medesimo.

È interessante analizzare le risposte che a tale fenomeno sono state date da diversi sistemi giuridici, di common law e civil law. Mentre ordinamenti a noi affini fanno spesso ricorso alla responsabilità vicaria indiretta per fatto altrui381, negli Stati Uniti si è spesso

fatto ricorso al principio del respondeat superior, alla luce del quale un employer o un

principal è legalmente responsabile per gli atti illeciti compiuti da un employee o agent, se

tali atti vengono posti in essere nell’ambito dell’occupazione o della relazione di agenzia382. È la teoria del let the master answer e, come riportato dalla dottrina383, viene

utilizzato per sancire la responsabilità del Vescovo.

Nella presente tesi mi concentrerò su un caso analogo che recentemente ha suscitato interesse in un Paese a noi lontano384. Per risolvere il problema dell’apparente

mancanza di un rapporto di preposizione tra Diocesi e Sacerdote e delle finalità non coerenti con quelle proprie dell’ente ecclesiastico385, la Corte di Cassazione

colombiana ricostruisce la responsabilità dell’ente morale non ricorrendo all’istituto della responsabilità indiretta per fatto altrui sancita dall’articolo 2347 c.c.386, ma

381 Mi riferisco, soprattutto, ad un caso simile di cui si è occupata la Corte d’Appello di

Bruxelles (App. Bruxelles, 25 septembre 1998) che, tuttavia, esclude la responsabilità vicaria della Diocesi in quanto il parroco godrebbe di un’autonomia tale da escludere una sua completa subordinazione nei confronti del Vescovo; inoltre, la norma relativa alla responsabilità oggettiva si fonderebbe sull’interesse e sul vantaggio personale del committente, che qui manca. La sentenza è riportata da A. Licastro, Riappare un “dejà vu” nella giurisprudenza: la responsabilità oggettiva del vescovo per gli atti illeciti dei suoi sacerdoti, cit., pp. 2-5.

382 In tali termini, Ralph L. Brill, The Liability of an Employer for the Wilful Torts of his Servants, 45

Chi.-Kent L. Rev. 1 (1968) (https://scholarship.kentlaw.iit.edu/cklawreview/vol45/iss1/1): “under the docrtrine of respondeat superior, a master is held vicariously liable for the tortius conduct of his servant committed within the scope of the servant’s employment. The employer’s liability is merely substituted for the servant’s, whose wrongful act caused the injury, and it is not dependent in any way upon the fault of the master”.

383 A. Licastro, Riappare un “dejà vu” nella giurisprudenza: la responsabilitàX oggettiva del vescovo per

gli atti illeciti dei suoi sacerdoti, cit., pp. 6 ss.

384 Corte Suprema de Justicia, Sala de Casaciòn Civil, SCI3630-2015, Republica de Colombia. 385 In tali termini, los actos “de los sacerdotes no comprometen la responsabilidad de la

Diócesis, al no tener una relación directa de subordinación o dependencia con la institución”; “dado que se trata de actos que, de haber existido, son ajenos a la misión pastoral, principios religiosos y valores inculcados por la Iglesia Catolica”.

386 Art. 2347 Codigo Civil, Responsabilidad por el hecho proprio y de las personas a cargo: “Toda

persona es responsable, no solo de sus proprias acciones para el efecto de indemnizar el dano sino del hecho de aquellos que estuvieren a su cuidado. Asì, los padres son responsables solidariamente del hecho de los hijos menores que habiten en la misma casa. Asì, el tutor o