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Le molestie sessuali in ambito universitario: Alexander v Yale

Le molestie sessuali non si esauriscono, come abbiamo visto, nel mondo lavorativo. Si tratta di comportamenti a connotazione sessuale che, come tali, possono configurarsi in qualsiasi contesto sociale, nei luoghi pubblici, nei sistemi di trasporto, per strada, nella politica, nello sport, negli ambienti universitari. Anzi, è proprio in ambiente universitario che, nel 1975, è stato coniato per la prima volta il termine sexual

harassment. E sicuramente non mancano studi o notizie al riguardo365, come quella

della studentessa dell’Università di Rochester, molestata dal suo professore insieme a moltissime altre ragazze, alcune delle quali avevano deciso di conseguenza di lasciare gli studi366.

lavoratore, con il comportamento dannoso, abbia perseguito finalità coerenti con le mansioni affidate e non estranee all’interesse del padrone o committente. Occorre, inoltre, che l’azione del dipendente si inserisca comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da escludere una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro, non essendo a tal fine sufficiente il mero compimento della condotta illecita all’interno del luogo di lavoro”.

365 Sexual Harassment of Women; Climate, Culture, and Consequences in Academic Sciences, Engineering,

and Medicine (2018), che analizza la condizione delle donne in ambienti particolarmente “maschili”, quali scienze, ingegneria, medicina.

366 M. Pauly, https://www.motherjones.com/politics/2017/09/she-was-a-rising-star-at-a-

major-university-then-a-lecherous-professor-made-her-life-hell/: si tratta di Celeste Kidd, ora Professoressa presso l’Università di Rochester (Stato di New York) e una tra le persone dell’anno secondo il New York Times, che ha denunciato l’istituzione (per violazione i diritti civili, violazioni di contratto, diffamazione) in quanto da studentessa era stata oggetto delle attenzioni non gradite del suo supervisore, il Professore T. Florian Jaeger e la stessa non aveva fatto nulla per risolvere la situazione.

Merita qui un cenno la sentenza che per la prima volta ha evidenziato il problema delle molestie sessuali all’interno delle Università americane, ovvero il caso Alexander

v. Yale367. Si tratta di una causa portata avanti da quattro studentesse della Yale

University, contro un professore, accusato di molestie sessuali, ma attraverso la quale

rimproverano alla stessa Facoltà di aver permesso che le sue studentesse fossero oggetto di continue molestie sessuali, senza essere mai intervenuta attraverso l’adozione di misure preventive o repressive368. In particolare, un tale comportamento

omissivo era qualificabile in termini di sex discrimination contro le donne, pertanto una violazione del Titolo IX369.

Riporto, per completezza, le ragioni del caso, così come riferite dalle studentesse: “sono state spese molte parole sul caso giudiziario intrapreso nei confronti dell’Università di Yale e

riguardante le molestie sessuali nella stessa, sia a livello nazionale che a livello locale. È quindi giunto il momento di presentare il caso dal punto di vista della parte attrice. Alexander V. Yale è una “class action” intrapresa contro l’Università, in quanto si accusa la stessa di condonare le molestie sessuali che avvengono ai danni delle proprie studentesse, fatto che viene a costituire una discriminazione fondata sul sesso e, pertanto, una violazione del Titolo IX. È una “class action” in quanto il problema è più ampio delle singole persone coinvolte; le molestie sessuali ai danni delle studentesse sono abbastanza diffuse da giustificare la previsione di una procedura di reclamo per affrontare una volta per tutte il problema. Ci sono state molte altre donne che hanno scoperto che la loro sessualità era un fattore decisivo per poter o meno lavorare con un membro della facoltà. Infatti, quando sono trapelate le notizie sull’indagine in corso, il numero delle denunce è aumentato a dismisura. Alcuni hanno suggerito che una donna che è abbastanza intelligente da entrare a Yale dovrebbe essere abbastanza intelligente da riuscire ad evitare di finire a letto con i propri professori involontariamente. QUESTO NON È IL PUNTO. Tale pressione non appartiene ad un contesto educativo. Noi non stiamo citando i singoli professori per danni. Stiamo semplicemente chiedendo che l’Università di Yale introduca una procedura di reclamo efficace ed effettiva. Il semplice fatto di istituire una tale procedura risolverebbe immediatamente la causa (…).

Perché allora è necessario andare in Tribunale? Non era intenzione delle parti attrici portare il caso davanti alla Corte. Lo hanno fatto solo dopo aver esaurito tutte le opzioni disponibili. Le querelanti non sono mai state interessate a una pubblica discussione del caso (…). Hanno coscienziosamente cercato di limitare la pubblicazione di nomi e dettagli specifici delle accuse. L’elevato costo personale della causa, sia da parte delle parti attrici sia da parte degli altri soggetti coinvolti, solo mette in evidenza la necessità che Yale provveda a stabilire un’altra via per risolvere il problema. Noi non stiamo accusando l’Università di Yale di essere un caso eccezionale di molestie sessuali nei confronti delle sue studentesse donne. Riconosciamo, infatti, che le molestie sessuali avvengono in tutti i campus

367 Alexander v. Yale, 631 F.2d 178 (2d Cir. 1980).

368 Si legge chiaramente nel testo: "failure to combat sexual harassment of female students and its refusal

to institute mechanisms and procedures to address complaints and make investigations of such harassment interferes with the educational process and denies equal opportunity in education”.

369 Title IX Education Amendments of 1972, secondo il quale: "[n]o person in the United States

shall, on the basis of sex, be excluded from participation in, be denied the benefits of, or be subjected to discrimination under any education program or activity receiving Federal financial assistance (…)".

e che non sono limitate all’ambito educativo; le discriminazioni fondate sul sesso e sotto forma di molestie sessuali avvengono anche in ambito lavorativo. Ma noi siamo direttamente colpite dalle molestie sessuali che si verificano a Yale e dalla riluttanza che l’Università dimostra nell’indagare il problema. L’Università non ha risposto alle nostre richieste di avere a disposizione una procedura di reclamo. Non abbiamo avuto altra scelta che intentare una causa. Yale può porre fine alla stessa molto facilmente, concedendoci tale procedura” 370.

Mi è sembrato opportuno dare spazio alle parole delle studentesse in quanto si tratta del primo caso di “coscienza” circa le molestie sessuali in ambito universitario e in quanto mette in luce una serie di aspetti fondamentali: il comportamento omissivo di un’Università, che, non garantendo una procedura di denuncia a coloro che sono soggetti a tali comportamenti indesiderati, viene a integrare una discriminazione fondata sul sesso; il fatto che le molestie sessuali siano diffuse anche in ambito universitario, non solo in quello lavorativo. Viene poi accennato l’atteggiamento comune nei confronti delle molestie: quello di ritenerle come un qualcosa di connaturale all’uomo e che una donna, se vuole, può benissimo evitare, in quanto non si “finisce a letto per caso”, soprattutto se si è “intelligenti come una ragazza della Yale

University”.

La causa verteva, dunque, su quanto era emerso da uno studio interno all’Università stessa, che metteva in luce i numerosi casi di molestie e violenze sessuali ai danni di studentesse ad opera, tra gli altri, di professori, e che erano il risultato di pratiche indirettamente tollerate, in quanto non tenute in considerazione dall’Università e non espressamente vietate dalla stessa. La Corte esamina, quindi, la responsabilità dell’Università, ma, pur riconoscendo il carattere discriminatorio della condotta di molestie sessuali in violazione del Titolo IX, sancisce che la mera “inerzia” e il comportamento odioso dei professori non sono sufficienti a far assurgere una responsabilità in capo all’Università stessa, in quanto non applicabile il principio del

respondeat superior per semplice “clima ostile e degradante”371. È, infatti, con la sentenza

Meritor Savings Bank v. Vinson che il mero hostile sexual enviroment diviene esso stesso

370 Fact sheet on Alexander V. Yale (the sexual harassment case),

https://www.clearinghouse.net/chDocs/public/ED-CT-0002-0019.pdf.

371 Nella sentenza si legge infatti: “the former’s artfully drafted but conclusory assertation

that general University inertia should be equated with policy and has “the effect of actively condoning (…) sexual harassment” is simply not adequate to show that Yale acted to deny her any right, and the concept of mere respondeat superior appears ill-adapted to the question of Title IX sex discrimination based on harassment incidents. This is not to say either that sexual harassment is never of concern under Title IX, or that a University may properly ignore the matter entirely. In plaintiff Price's case, for example, it is perfectly reasonable to maintain that academic advancement conditioned upon submission to sexual demands constitutes sex discrimination in education, just as questions of job retention or promotion tied to sexual demands from supervisors have become increasingly recognized as potential violations of Title VII's ban against sex discrimination in employment. When a complaint of such an incident is made, University inaction then does assume significance, for on refusing to investigate, the institution may sensibly be held responsible for condoning or ratifying the employee's invidiously discriminatory conduct”.

una discriminazione fondata sul sesso372, quindi una violazione di quello che è il Titolo

VII. Sempre a livello di tutela delle vittime delle molestie sessuali all’interno dei campus statunitensi, è prevista una disciplina federale che impone alle Università una comunicazione annuale circa i dati rilevanti in materia di molestie e violenze sessuali all’interno degli stessi373.