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Il rapporto di para-familiarità e i suoi limiti Possibili applicazioni analogiche al caso

2. Le molestie sessuali sul luogo di lavoro

2.6 Molestie sessuali sul lavoro e mobbing: similitudini e differenze

2.6.1 Il rapporto di para-familiarità e i suoi limiti Possibili applicazioni analogiche al caso

Come evidenziato, affinché possa dirsi sussistente la fattispecie di mobbing e quindi il reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.c. la giurisprudenza penale ricerca quel rapporto di para-familiarità caratterizzato da “relazioni intense ed abituali, dal formarsi

di consuetudine di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto debole del rapporto in quello che riveste la posizione di supremazia, e come tale, destinatario di obblighi di assistenza verso il primo”302. Per vedere come l’assunzione di

300 Si veda, tra le altre, Trib. Roma, 31 ottobre 2018, n. 8357, in Redazione Giuffrè 2018: “nel

caso di mobbing orizzontale, tuttavia, al comportamento doloso del collega di lavoro si accompagna quello di tipo colposo del datore di lavoro, il quale, in violazione, in questo caso, del disposto generale dell'art. 2087 c.c., non avrebbe posto in essere tutte quelle cautele necessarie ad evitare che il luogo di lavoro possa divenire fonte di danno alla persona (complessivamente intesa) del proprio dipendente”.

301 Cass., 16 ottobre 2017, n. 24358, in www.uniurb.it: “quanto all’orientamento di legittimità,

condiviso anche da questo Collegio, secondo cui la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica o da colleghi non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro – su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c. – ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo e dall’obbligo di vigilanza”; in modo analogo, Cass., 9 settembre 2008, n. 22858, in Diritto e Giustizia online 2008, con nota di Loiacono, nella quale il datore viene ritenuto responsabile ex art. 2049 c.c. in un caso di mobbing orizzontale in quanto rimasto inerte nella rimozione del fatto lesivo, “dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza (nella specie, l’allontanamento del mobber era stato semplicemente di “facciata”).

302 In senso conforme, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., 6 giugno 2016, n. 23358,

in www.uniurb.it; Cass. pen., 7 giugno 2018, n. 39920, in Diritto & Giustizia 2018, 5 settembre (nella specie, viene ritenuto integrato il reato di maltrattamenti in famiglia in capo ad un notaio che aveva tenuto comportamenti vessatori e mobbizzanti nei confronti della dipendente, sua cognata); Cass., 19 marzo 2014, n. 24642, in Pg in proc. G., Rv. 260063; Cass. 28 marzo 2013, n. 28603, Rv. 255976; Cass. pen., 13 febbraio 2018, n. 14754, in Cassazione Penale 2018, 11, 3771; nella giurisprudenza di merito, Trib. Belluno, 30 gennaio 2007, n. 77, in Guida al diritto 2007, 24, 59 (con nota di RosiI) (nella specie, il giudice ha escluso la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia in quanto si trattava di rapporto di lavoro pubblico); Trib. La Spezia, 5 maggio 2011, n. 436, in Leggi d’Italia; in senso contrario, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., 22 ottobre 2014, n. 53416, in Diritto & Giustizia 2014, 23 dicembre (con nota di Minnella) (nella specie, riconosce la fattispecie di mobbing nel caso di un’azienda di medie-grandi dimensioni- 25 dipendenti); nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 30 novembre 2011, in www.uniurb.it.

una posizione del genere sia particolarmente lesiva dei diritti di un lavoratore, è possibile esaminare una sentenza che riguardava anche il caso di molestie sessuali subite da due lavoratrici303.

Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Milano aveva confermato la sentenza emanata in primo grado che aveva condannato il direttore di produzione e un suo stretto collaboratore al risarcimento dei danni a due lavoratrici, per aver “costituito” all’interno dell’azienda un “gruppo che maltrattava i lavoratori, tra cui le due dipendenti, non

graditi perché si erano rifiutati di conformarsi alle logiche di quel gruppo, tra le quali quelle di sottostare a scherzi, anche a sfondo sessuale, da parte dei superiori e dei colleghi (…), ponendo in essere nei loro confronti una serie di condotte vessatorie, in particolari consistenti in approcci sessuali tanto verbali quanto fisici (sotto forma di toccamenti delle natiche e di altre parti del corpo, baci e tentativi di baci, abbracci e sfregamenti intenzionali del corpo con le parti intime, tutti approcci rifiutati dalle due donne) (…). Oltre a varie vessazioni quali “assegnazione deliberata a macchinari difettosi con rifiuto di provvedere alla relativa riparazione, contestazioni e rimproveri pubblici a contenuto gratuitamente offensivo (…)”.

La Corte di Cassazione, invece, accoglie i motivi di ricorso avanzati dai responsabili304.

Infatti, riprendendo il più recente indirizzo giurisprudenziale, riporta il principio secondo il quale non ogni fenomeno di mobbing attuato nell’ambito di un ambiente lavorativo è idoneo a integrare gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia. A tal fine è infatti necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione “si inquadrino in un rapporto

tra il datore di lavoro e il dipendente capace di assumere una natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”. E così sarebbe, secondo la Corte, ravvisabile tra un

maestro d’arte e il suo apprendista, tra il padrone di casa e lavoratore domestico. Invece, “il delitto de quo non è configurabile, anche in presenza di un chiaro fenomeno di mobbing

lavorativo, laddove non siano riconoscibili quelle particolari caratteristiche, ad esempio, se la vicenda si sia verificata nell’ambito di una realtà aziendale sufficientemente articolata e complessa”.

Quindi, la sentenza della Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere integrato il reato

de quo alla luce di una serie di elementi che non facevano ritenere sussistente un

rapporto para-familiare, quali “l’esistenza di una realtà aziendale di non ridotte dimensioni,

caratterizzata da uno stabilimento di notevole entità spaziale e dalla non contestata presenza di circa cinquanta dipendenti (…), l’indeterminata esistenza di un potere direttivo e disciplinare esercitato

303 Cass. pen., 20 marzo 2014, n. 13088, in Rep. Foro It., voce Maltrattamenti in famiglia, n. 14. 304 In particolare, essi sostenevano la “violazione di legge, in relazione all'art. 572 cod. pen.,

per avere la Corte distrettuale erroneamente qualificato i fatti accertati, al più configuranti isolate ipotesi di mobbing nell'ambito di un contesto lavorativo di ampie dimensioni spaziali e personali, come integrante gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia: reato, questo, sussistente solo nel caso in cui, per le ridotte dimensioni dell'impresa e per la qualità\ delle relazioni tra il datore di lavoro ed i lavoratori, tali rapporti possano intesi come “parafamiliari” ed assimilarsi a quelli esistenti tra i componenti di una vera e propria famiglia”.

dal datore di lavoro nei confronti del lavoratore subordinato”; la “riconosciuta sussistenza, all’interno della C., di un sistematico ed abituale fenomeno di sopraffazione e atteggiamento vessatorio assunto dal direttore e dal suo collaboratore nei riguardi di alcuni specifici dipendenti dell’azienda (…); la

“generica esistenza di un “ambito familiare ed estremamente confidenziale” tra gli imputati e le

persone offese, finalizzato esclusivamente ad ottenere un’obbediente esecuzione delle direttive impartite e ad evitare rivendiche contro pretese non gradite dai superiori (…); la circostanza che gli imputati angheriassero quei dipendenti che “non volevano entrare a far parte della grande famiglia”, poiché si trattava solamente di un espediente verbale usato dai predetti per poter “giustificare” le loro iniziative ovvero per poter più agevolmente vincere le resistenze delle loro vittime”.

Mi sembra palese l’insufficienza della tutela penale apportata alle vittime di comportamenti tanto lesivi, anche alla luce delle forti prese di posizione in ambito europeo che spingono verso una maggior consapevolezza nei confronti del fenomeno. La mancanza di una disposizione chiara in materia porta la giurisprudenza a sottovalutare la gravità di condotte che si realizzano in un contesto nel quale si sviluppa la personalità stessa del lavoratore. Non mancano comunque legislazioni europee a cui potersi ispirare305: per esempio, in Svezia, l’Ente nazionale per la Salute

e la Sicurezza Svedese ha emanato un’ordinanza in tal senso306, recante misure contro

tutte le forme di persecuzione di natura psicologia che si possono avere negli ambienti di lavoro, attribuendo al datore di lavoro l’obbligo di assumere misure preventive al fine di impedire il verificarsi di tali fenomeni; in Austria, il mobbing, assieme alle molestie sessuali, viene espressamente menzionato all’interno del Piano d’Azione per la Parità Uomo-Donna (paragonabile quindi al nostro Codice delle Pari Opportunità).