• Non ci sono risultati.

DELL’OPERA

1.3 LA POPULAR MUSIC COME PRODOTTO

1.4.3 LE COMBINAZIONI DI NOTE SONO INFINITE?

“La musica è l’unica arte che non ha alcuna consistenza fisica. (…) La sua materia è il tempo. (…) Nel suo viver soltanto attraverso il tempo, la musica non ha alcuna consistenza eppure ci appare pienamente esistente, quasi tangibile”125.

Il tempo dell’esecutore e dell’ascoltatore, prima della possibilità di effettuare una fotografia sonora, era il medesimo, era condiviso. La musica registrata ha reso possibile scindere questi momenti, dando spazio ad un tempo dell’esecuzione scollegato dal tempo dell’ascolto. “Se io registro quell’esecuzione, la sottraggo per sempre alla sua realtà temporale”126. La

125

G. CASTALDO, Il buio, il fuoco, il desiderio – ode in morte della musica, Torino, 2008, 29.

126

65 riproduzione consiste in un tempo artificiale. Ma questo paradosso, se così lo possiamo chiamare, non ha influito in modo determinante sulla concezione che il pubblico ha avuto della musica come esecuzione da parte di un cantante o musicista, così almeno fino agli anni ’50. Vanno però tenute a mente alcune precisazioni. Il modello di supporto diffuso a partire dall’inizio del secolo scorso, eccezion fatta per i rulli del fonografo di Edison che già a metà anni ’10 erano destinati a scomparire, era il disco a 78 giri. Il tempo di riproduzione (la durata di un lato) non era superiore ai due o tre minuti. Questo dato influenzò (e non poco) la creatività e la genialità degli artisti, che per la prima volta si vedevano costretti in un limite di tempo che prima non avrebbero mai preso in considerazione. La stessa durata di una canzone pop standard (intorno ai tre, quattro minuti) non è altro che il frutto di una costrizione tecnica da cui solo pochi artisti seppero (e poterono) discostarsi: la durata del disco a 45 giri, il supporto più diffuso a partire dagli anni ’50, diede vita (perlomeno in termini di tempo e durata) alla forma canzone del pop. La musica, insomma, non aveva cambiato natura fino agli anni ’50, semplicemente quella suonata dal vivo veniva registrata dando vita, come abbiamo visto, ad un paradosso temporale.

Un altro effetto che la musica registrata produce è la sua diffusione globale, inimmaginabile senza l’aiuto di un supporto. Prima la musica viaggiava insieme ai musicisti, insieme alle persone e alle genti. Ora la musica viene reificata, nel senso che è possibile estrapolarla dal contesto originario e spedirla in un luogo diverso. A partire degli anni ’60 la possibilità di registrare con una tecnologia multi traccia (e dunque non essendo più necessario registrare in presa diretta, dal vivo la musica suonata dai musicisti) “porta fino al massimo compimento quello che dopo tutto era il grande inganno dietro la registrazione della musica. Anzi, trasforma questo inganno in un processo creativo”127. La musica di alcuni musicisti, all’avanguardia nel saper utilizzare (e sperimentare con) la nuova tecnologia di registrazione, si dissocia completamente dal rapporto esecutore – ascoltatore, dato che tale musica non avrebbe mai potuto essere suonata di nuovo dal vivo, non potendo dunque esistere svincolata dalla dimensione di fissità su di un supporto.

127

66 Il problema della replicabilità tecnica della musica ha impiegato parecchi decenni per arrivare al cuore del problema: la perdita dell’aura dell’opera dell’ingegno a causa della sua riproduzione tecnica in serie. Per affrontare la questione possiamo dividere la storia in due parentesi: la prima, sconfinata, va dalle prime performance vocali dell’uomo primitivo alla fine del XIX secolo, in cui la musica è stata indissolubilmente legata alla sua esecuzione. L’esistenza della musica stessa non poteva prescindere dal rapporto esecutore – ascoltatore. Solo la memoria e quindi il senso dell’udito poteva trasmettere la musica. Questa infatti era trasmessa prima per via orale, poi a partire dal IX secolo in forma grafica attraverso la notazione, che nel corso dei secoli si è via via perfezionata, non potendo comunque mai scindere il rapporto esecuzione - ascolto. “Se quindi io sono il trasmettitore, nel passaggio che una certa melodia fa attraverso di me, determino un seppur lieve cambiamento: da quel momento in poi ci sarà anche una infinitesima parte di me in quel canto, e così via di soggetto in soggetto, fornendo a quella musica una enorme densità collettiva, almeno fino al punto in cui le tecniche di riproduzione fissano per sempre quella specifica versione e ne fanno un testo immobile, non più soggetto a modifiche”128.

L’inizio della seconda fase, estremamente breve rispetto alla prima, coincide con l’invenzione del fonografo da parte di Edison nel 1877. Si può parlare dell’avvento della fonografia come l’equivalente dell’invenzione della stampa in musica, anche se con conseguenze ancora più accentuate sulle stesse opere dell’ingegno. Se da una parte (come ricordato precedentemente) la stampa a caratteri mobili è la prima tecnologia che permette la standardizzazione, dall’altra la registrazione permette di trasportare la musica al di fuori della sua dimensione temporale (facendola esistere quando invece non è, non coincidendo più con l’esecuzione del musicista) ma anche spaziale, perché la musica viaggia a prescindere dal fatto che viaggi anche il suo esecutore. Solo attraverso un supporto (che fino agli anni ’90 è stato un supporto fisico, ma che oggi è ulteriormente svanito grazie alla “dematerializzazione” della musica nei file mp3) la musica può essere ubiqua e non in un solo spazio e in un solo

128

ASSANTE, BALLANTI, La musica registrata – dal fonografo alla rete e all’mp3. La nuova

67 momento. Alla incredibile diffusione della musica, al fatto che ne siamo completamente travolti in ogni momento della giornata e agli strumenti tecnologici di cui oggi disponiamo che rendono praticamente possibili ogni fantasia in potenza, non è affatto corrisposta una nuova ondata di creatività e di ingegno. Anzi, si può affermare che “la creatività, lo stesso gusto del nuovo siano scomparsi in maniera inversamente proporzionale allo sviluppo tecnologico”129. La cultura di massa ha (auspicabilmente in

via non definitiva) inibito qualsiasi ricerca del nuovo, frenato la creatività degli artisti alla luce del profitto. Se negli anni ’60 e ’70 il pubblico (e la musica) di massa era molto spesso travolto dalle novità se non addirittura da slanci avanguardisti (come furono gli album dei Beatles a partire da

Revolver in avanti, per citare una band che se da un lato ha scritto la storia

della musica, dall’altro ha venduto più dischi di chiunque altro) e la novità era considerata un valore in sé, con l’affermarsi della cultura del consumismo e del neoliberismo la standardizzazione sta soffocando la vena creativa e ingegnosa della musica. Si prenda come esempio di questa atrofia l’ostinazione con cui non solo l’industria discografica ma tutti i musicisti in genere proseguano nell’utilizzo di vecchi format dell’era analogica, senza disposizione alcuna verso nuove formule: canzoni da tre, quattro minuti, album da dieci o dodici canzoni, quasi sempre con la cadenza di due anni (per gli artisti di più successo). Nessuno le ha ancora messe in discussione, e la musica vive in questa sorta di limbo, dove sembra che gli artisti chiudano gli occhi per non vedere (ed usare) i nuovi strumenti a loro disposizione per fare qualcosa di nuovo, come se per resistere a questo horror vacui si sentisse l’esigenza di mantenere uno stretto ma ormai anacronistico legame con il passato.

In questo continuo ripetersi e mai rinnovarsi della musica degli ultimi quindici anni almeno vanno forse ritrovate le premesse per un discorso incentrato sul plagio musicale. Se gli autori si ostinano nella ripetizione di ciò che è già presente e di successo, senza alcuna propensione alla sperimentazione e alla sovversione dei vecchi standard e formati, i casi di plagio e le substantive similarities saranno all’ordine del giorno ancora per molto tempo. Questa fase di stagnazione creativa potrà essere conclusa solo dal superamento delle convenzioni, ma come vedremo tra poco la

129

68 pressione delle majors e dell’industria dell’intrattenimento è tutta concentrata sul mantenimento dello status quo, in un atteggiamento retrivo e reazionario che paralizza la creatività e la cultura musicale.