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IL PANORAMA STATUNITENSE

2.1 CENNI SULL’EVOLUZIONE NORMATIVA: DALLA COSTITUZIONE AL D.M.C.A.

2.1.3 DURATA DEL COPYRIGHT

La durata del copyright nella disciplina statunitense è una materia sorprendentemente complessa; soprattutto in relazione alla tutela del sound recording le modifiche alla disciplina hanno reso complicato ricostruire la durata della tutela, in quanto quest’ultima presenta delle differenze in relazione a diverse circostanze.

Procediamo con ordine. Abbiamo visto nel primo paragrafo di questo capitolo che la durata del diritto indicato nel primo Copyright Act federale era di quattordici anni (più eventualmente altri quattordici), portati a ventotto (più quattordici) nel 1831. Durante tutto il secolo scorso gli interventi in senso ampliativo della durata sono stati numerosi (1909, 1976 e per ultimo il c.d. Copyright Term Extension Act del 1998, noto anche come Sonny Bono Act) fino al risultato di garantire una tutela di settant’anni (oltre la vita dell’autore).

Nel 1909 il Copyright Act estese la durata del rinnovo da quattordici a ventotto anni, portando dunque la durata della protezione ad un massimo di cinquantasei anni. Le regole operazionali imponevano la pubblicazione dell’opera dell’ingegno e l’apposizione della menzione di riserva: le opere non pubblicate non ottenevano la tutela prevista a livello federale ed erano disciplinate dalla legge statale. Le ragioni che portarono a questa estensione temporale erano legate soprattutto all’idea che l’aspettativa di vita nella società americana nel corso del secolo precedente era aumentata notevolmente; si poteva ritenere logica dunque una estensione volta a garantire, oltre alla protezione, i vantaggi economici derivanti dalla titolarità del copyright. Nel 1976 il nuovo Copyright Act abolì le formalità per ottenere la tutela, concedendola ad ogni lavoro originale fissato in un mezzo di espressione tangibile (anche senza pubblicazione), senza alcuna prescrizione in relazione alla pubblicazione o alla notice of copyright.

La tutela venne estesa fino a cinquant’anni dopo la vita dell’autore (settantacinque nel caso di corporate authorship). Ma una novità spesso sottovalutata della riforma del 1976 è l’abolizione della possibilità di rinnovo, concedendo da subito, a tutte le opere, il termine massimo di protezione. Secondo molti autori, e in particolare Lessig, questo sistema garantiva che “le opere che non avevano più bisogno della tutela

94 sarebbero passate di pubblico dominio con maggiore rapidità”170. In

questo senso va precisato che la decisione di rinnovo spettava all’autore o al titolare del diritto; con il vecchio sistema il rinnovo della tutela era effettuato soprattutto dagli autori delle opere con un valore commerciale anche dopo i primi ventotto anni, certamente una parte davvero ridotta dell’insieme composto da tutte le opere creative. Negli anni successivi la durata del copyright sui lavori già pubblicati venne ampliata retroattivamente; le opere create dopo il 1978 godevano della protezione, come abbiamo detto, della durata della vita dell’autore più cinquant’anni (o settantacinque per le aziende), ma nel 1992 il Congresso modificò la disciplina non richiedendo più, per i lavori creati prima del 1978, che gli autori presentassero la richiesta di rinnovo. La durata media del copyright fu completamente stravolta da queste nuove regole: nel 1973, l’85% dei titolari di copyright non lo aveva rinnovato (la durata media era di 33,2 anni); si passò dunque da questa cifra alla durata della vita dell’autore più settant’anni171.

Ma le modifiche all’estensione temporale del copyright non si fermarono qui: nel 1998 venne approvato dal parlamento americano il Sonny Bono Copyright Term Extension Act (CTEA), che aggiunse vent’anni di tutela ai cinquanta dell’Act del 1976. Il termine addizionale si applica ora alle opere che già avevano ottenuto la tutela secondo la disciplina del 1909, alle opere protette dal common law copyright (che per la prima volta il Copyright Act del 1976 aveva riconosciuto, conferendogli la tutela), alle opere create durante il periodo 1976-1998, nel quale la disciplina era affidata all’Act del 1976. La extension si applica sia ai lavori prodotti negli Stati Uniti che a quelli stranieri. Ma per le opere precedenti al primo gennaio 1978, il termine di protezione è stato ampliato: da settantacinque a novantacinque anni a partire dalla prima pubblicazione o registrazione presso il Copyright Office. Per le opere individuali, prodotte dopo quella data, la protezione è stata estesa dalla durata della vita dell’autore più cinquant’anni alla durata della vita più settanta anni.

Le ragioni per le quali il Congresso ha approvato l’estensione del termine sono molteplici, e spesso le versioni differiscono in base all’ideologia degli

170

L. LESSIG, Cultura libera, Milano, 2005, 128.

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scholars e degli operatori del settore. Da una parte i detrattori della rigida disciplina del copyright sostengono che l’Act sia frutto solamente di una pressante attività di lobbying da parte della majors presso il Congresso, in particolare della Disney: questa infatti aveva l’interesse economico di prolungare la durata del copyright soprattutto per impedire che il celebre Mickey Mouse, icona dell’azienda e primo tra i cartoons di successo, cadesse in pubblico dominio e fosse dunque liberamente utilizzabile da chiunque. E in effetti desta qualche sospetto che la legge sia stata promulgata poco prima di questo potenziale drammatico evento per la company di Burbank, California.

Un argomento molto forte promosso dai sostenitori di un copyright più severo e restrittivo riguarda direttamente la Comunità Europea. Infatti nel 1993 il Consiglio emanò la direttiva 93/98 concernente la durata di protezione del diritto d’autore172. Lo scopo di tale direttiva era quello

armonizzare le differenti discipline degli Stati membri. Se da un lato molti di essi facevano parte della Convenzione di Berna, dall’altro questa vincolava gli Stati firmatari ad apprestare una tutela di durata minima corrispondente alla vita dell’autore più cinquant’anni: questa soglia, con l’intervento della CEE, venne portata a 70 anni. Il Congresso dunque aveva ottime ragioni per conformarsi a questa scelta, per non rischiare di vedere la protezione delle opere dell’ingegno statunitensi compromessa dalle differenze con le regole europee.

Il problema dell’eccessiva durata del copyright è stato oggetto di una sentenza della Supreme Court, nel caso Eldred v. Ashcroft173.

Eric Eldred, programmatore in pensione, decise di pubblicare su internet delle edizioni di classici della letteratura con l’aggiunta di link, immagini e altre informazione, in modo da renderle più appetibili per le giovani generazioni e in particolare agli occhi delle sue figlie. Quando però venne approvato il Sonny Bono Act egli si rese conto che non avrebbe più potuto pubblicare su internet alcuna opera successiva al 1923, in quanto la durata del copyright per tali opere era stata retroattivamente ampliata. Convinto dell’ingiustizia di questa operazione, venne affiancato da

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Direttiva 93/98/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, concernente l’armonizzazione della durata di protezione del diritto di autore e di alcuni diritti connessi.

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96 Lawrence Lessig nel tentativo di ottenere un parere sul punto della Corte Suprema. Fu così che presentarono un’istanza legale presso il tribunale distrettuale federale di Washington D.C., chiedendo un giudizio di incostituzionalità del Copyright Term Extension Act in quanto, secondo i promotori, “l’estensione dei termini correnti violava il dettato costituzionale della durata limitata (“...for limited times...”) e che l’estensione della durata dei diritti di ulteriori vent’anni violava il Primo Emendamento”174. Ma le prime risposte che ottennero furono del tutto

negative. I promotori, invero, non si arresero e formularono il quesito alla Corte d’appello della circoscrizione del District of Columbia, che nuovamente respinse la richiesta. A sorpresa nel 2002 la Corte Suprema decise di affrontare la questione, tornando sulla decisione della corte d’appello (evenienza assai rara). Il parere dei giudici non premiò tuttavia l’impegno di Eldred e Lessig: la Corte Suprema ritenne che, in quanto il prolungamento dei termini di protezione era una linea che il Congresso aveva seguito praticamente da sempre, non si potesse ritenere contraria alla Costituzione l’ultimo intervento in senso ampliativo175.