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DELL’OPERA

1.2.2 DALL’ORALITÀ ALLA NOTAZIONE: PRIMA FORMA DI REGISTRAZIONE

Nel periodo che va dal quarto al quinto secolo dopo Cristo il repertorio dei canti cristiani era ben radicato nella memoria del clero; ma con l’ampliamento del numero di questi brani si cominciò ad avvertire l’esigenza di una efficace tecnica di memorizzazione. Questo fenomeno si impose soprattutto sul finire del VII secolo d.C., quando in Europa si presentò il bisogno di diffondere la musica sacra in tutto il continente. Carlo Magno, incoronato imperatore nel Natale dell’anno 800, volle proseguire l’opera del padre, Pipino il Breve: la riforma della liturgia nei domini franchi in conformità al rito romano. Furono allora prodotti nuovi canti per le principali cerimonie che, solo successivamente, vennero definiti Gregoriani43.

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Va quindi respinta una concezione deterministica della storia.

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GRIFFITHS, Breve storia della musica occidentale, cit., 21.

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Non così in Asia: ad esempio in Giappone sono giunti fino a noi ricchi archivi fin dal VIII secolo di intavolature per strumenti. Ma la notazione in questi casi non è precisa e non aveva alcuna funzione al di là di quella mnemonica: aiutare l’interprete a non dimenticare, e mai con il fine di tramandare la musica, vd. GRIFFITHS, Breve storia della

musica occidentale, cit.

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Dal nome del papa Gregorio Magno, guida della Chiesa cattolica sul finire del sesto secolo: il mito vuole che il papa ascoltò tali canti grazie allo Spirito Santo che soffiò nelle sue orecchie. Ma tutto questo ben due secoli prima della formazione dell’impero carolingio!

32 La prima forma di notazione è quella alfabetica, utilizzata dai Greci già nell’ottavo secolo a.C.. Era un sistema alquanto rudimentale rispetto alla notazione moderna: i segni (le lettere) indicavano solo l’altezza del suono e non dunque la durata, ma quest’ultima si poteva comprendere poiché “ci si riferiva a una serie di ritmi base la cui unità di misura era in rapporto con la quantità delle singole sillabe d’ogni verso poetico”44. Ovviamente la

scrittura della musica con la notazione alfabetica risultava possibile solo con la musica monodica, ad una sola voce; ma a causa dell’imprecisione della notazione neumatica, venne comunque utilizzata fino al X secolo, e sorprendentemente tornò in auge nel XVII per poi essere definitivamente abbandonata.

L’affermarsi dei neumi invece ha origine incerta, ma sappiamo che già nel basso Medioevo “il neuma era in uso nella musica liturgica”45. I simboli grafici sovrapposti alle parole stavano a significare singole note e brevi gruppi ma non permettevano ancora di rendere un brano oggettivo e riproducibile da chiunque sapesse leggerlo; la sua funzione era di aiuto alla memoria di un cantante che già aveva studiato e imparato il brano. I segni indicavano solo l’andamento melodico: non era indicata l’altezza o la durata. Data dunque la difficoltà nel diffondere la musica tramite questa rudimentale scrittura, i neumi vennero affiancati da una riga (sopra alle parole) che indicava il Fa, e successivamente da un’altra indicante il Do: queste due righe vennero colorate in modo diverso per renderle facilmente riconoscibili, la prima di giallo e la seconda di rosso. Il contributo fondamentale a questa tecnica di scrittura fu quello di Guido d’Arezzo che ebbe l’intuizione non solo di aggiungere altre righe (ritenendone sufficienti quattro), ma soprattutto di fissare all’inizio dei testi, sopra le righe, un segno grafico che permettesse il riconoscimento dell’altezza delle note; i segni di Fa e Do diedero vita al moderno concetto di chiave musicale, che identifica con precisione l’altezza delle note su tutte le righe (il futuro pentagramma). Conoscendo la posizione della nota rispettivamente di Fa e di Do si potevano riprodurre con precisione gli altri suoni (le note) posizionati ai diversi livelli del rigo. Questi suoni venivano inizialmente indicati con i segni dei neumi, e con il passare dei

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D. DE PAOLI,C.MOSSO, Notazione, in Enciclopedia Utet, Torino, 1994, 657.

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33 secoli si trasformarono in note, le quali avrebbero poi assunto la forma contemporanea. Mancava quindi solo l’indicazione del tempo, traguardo che sarà raggiunto nel XII secolo con la notazione proporzionale, nella quale il segno grafico rappresentava non solo l’altezza ma anche la durata del suono (nota mensurabilis). Dal XV secolo i segni subirono un’ulteriore evoluzione, con la distinzione tra note bianche (che duravano di più) e note nere. La forma arrotondata (precedentemente quadrata) si affermò solo alla fine del 1600. Di qui in avanti la notazione variò solo in termini di semplificazione, rimanendo invariata nella sostanza fino ai giorni nostri. Non va dimenticato che si tratta di un sistema di scrittura convenzionale: alcuni autori, per esempio, lo hanno modificato adattandolo alle proprie esigenze creative: pensiamo solo a Swewlinck o Frescobaldi che usarono righi a 6 e 8 linee46. Come sistema di trasmissione, in ogni caso, ha raggiunto pienamente il risultato di far viaggiare la musica nel tempo. Non solo l’altezza del suono e la sua durata, ma attraverso l’indicazione della dinamica (quindi il grado di intensità) si trasmette l’espressività che l’interprete dovrà utilizzare nell’esecuzione47. Inoltre, al di là della durata

della singola nota, il compositore con la notazione moderna può indicare anche il tempo dell’esecuzione in generale, con una semplice indicazione sopra al rigo (detta indicazione agogica)48.

Il sistema della notazione non ha perso rilevanza nemmeno oggi: se da una parte è centrale per tutta la musica classica, dall’altra rimane fondamentale nella musica pop, seppur con qualche eccezione (l’emergere di strumenti digitali, infatti, nonché della musica elettronica, hanno reso la partitura per questo genere di musica irrilevante). Nella musica pop rimane in ogni caso importante, soprattutto per quanto riguarda la tutela della composizione. Pensiamo al musicista socio o mandante della S.I.A.E. che voglia depositare un brano di sua creazione: sarà necessaria la partitura almeno della linea melodica. Dal punto di vista invece della composizione, non si può negare che soprattutto a causa delle più recenti pratiche

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DE PAOLI,MOSSO, Notazione, cit., 658.

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I segni dinamici partono dalle gradazione del pianissimo (pppp, ppp, pp) passando per il piano (p), mezzo piano (mp), mezzo forte (mf), forte (f) per arrivare alle gradazioni di fortissimo (ff, fff, ffff).

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Le più usate sono: grave, lento, largo, larghetto, adagio, andante, andantino, moderato, allegretto, allegro, vivace, presto prestissimo; ovviamente la velocità del brano può variare al suo interno e quindi il compositore scriverà ulteriori indicazioni agogiche.

34 musicali che si basano sulle nuove tecnologie (come vedremo oltre, il remix, lo scratch, il campionamento) la notazione (ma anche gran parte della teoria musicale) sia diventata per alcuni musicisti di scarsa utilità.