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IL QUADRO ITALIANO

3.1.1 I PRECEDENTI ALLA LEGGE 22 APRILE 1941 N

Come ricordato nel primo capitolo, la prima forma di diritto d’autore in Italia risale convenzionalmente al 1469, anno in cui la Repubblica veneziana concesse allo stampatore tedesco Johann Von Speier il privilegio dell’esercizio dell’attività di stampa per una durata di cinque anni, valido su tutto il territorio della Serenissima. Il monopolio così concesso consisteva solamente nella possibilità di copiare libri attraverso lo strumento della stampa a caratteri mobili, frutto dell’inventiva di Gutenberg che solo quindici anni prima l’aveva ideata e che in breve tempo si diffuse in tutta Europa, per poi diventare strumento indispensabile per qualunque società civile. L’oggetto del privilegio era davvero minimo rispetto al diritto d’autore come disciplinato oggi; ad ogni modo fu questa la prima forma di regolamentazione della materia nel nostro paese. Nei secoli successivi proseguì la prassi della concessione di privilegi ai singoli stampatori283; l’Italia, tuttavia, si sarebbe trovata ben

presto divisa in piccoli e numerosi stati, precludendo così la possibilità di disciplinare uniformemente la materia. La comunanza di lingua e tradizione culturale che oltrepassava i confini era per gli stampatori un problema rilevante: infatti erano numerosissime le opere letterarie stampate senza consenso negli stati vicini a quello della prima pubblicazione, che pregiudicavano così gli affari delle botteghe dei librai. Sono celebri alcuni casi che videro come protagonisti gli stessi autori, frustrati dal mercato “nero” delle proprie opere. Pensiamo al caso di Melchiorre Gioia, autore del “Nuovo Galateo” nel 1824: egli, dopo la pubblicazione di una versione non autorizzata del suo manuale in uno stato vicino, in una successiva edizione da lui stesso curata, inserì un’appendice nella quale criticava la prassi disdicevole così diffusa

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Nel 1517, a causa della penuria di nuovi titoli disponibile sul mercato del libro, vennero aboliti tutti i privilegi sulle opere del passato; nel 1548-1549 invece venne creata una corporazione, così come sarebbe nata qualche decennio più tardi quella degli

Stationers a Londra; i motivi di questa organizzazione a Venezia sono da rinvenire in

motivi di censura religiosa. Si veda IZZO, Alle origini del copyright e del diritto d’autore. Tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, cit., 11-21.

150 all’epoca. In quel periodo (la prima metà dell’Ottocento) i singoli stati cominciarono ad adottare delle normative sulla materia284, influenzate grandemente dalla cultura giuridica francese, che, come abbiamo visto nel primo capitolo, in relazione alla materia del diritto d’autore, assunse dopo la Rivoluzione tratti proprietaristici, che tendevano a definire il collegamento della propria opera tramite l’analogia con la proprietà terriera285. Questa impostazione si può rinvenire nell’art. 440 dello Statuto

Albertino (1837): “Le riproduzioni dell’ingegno umano sono proprietà dei loro autori sotto l’osservanza delle leggi e dei regolamenti che vi sono relativi” e nel codice civile del 1865 all’articolo 437 (“Le norme dell’ingegno appartengono ai loro autori secondo le norme stabilite nelle leggi speciali”), che rimanda alla legge speciale dello stesso anno, frutto del lavoro dell’eminente giurista Antonio Scialoja286.

Oltre all’interesse storico che quest’ultima legge presenta, la disciplina in questione si pone all’attenzione dell’interprete soprattutto alla luce della comparazione: infatti, pur essendo oramai passati 146 anni dalla sua emanazione, essa presenta dei profili di modernità che non sono stati ripresi dal legislatore del 1941 e allo stesso tempo evidenzia gli aspetti più problematici della disciplina, ancora oggi forse non del tutto risolti.

La legge 25 giugno 1865, n. 2337 sui diritti spettanti agli autori delle opere dell’ingegno appare prima di tutto una legge più breve e contenuta di quella attuale287. Le facoltà concesse al titolare del diritto di esclusiva erano

in numero minore rispetto a quelle garantite oggi (pubblicazione, riproduzione, spaccio, cioè messa in commercio). Più interessante, a fini comparatisici, è la durata del diritto, disciplinata dall’articolo 9. La protezione era concessa infatti per tutta la durata della vita dell’autore, ma vi era una disposizione suppletiva: se l’autore veniva a mancare prima che fossero trascorsi quarant’anni dalla prima pubblicazione dell’opera, le facoltà suddette avrebbero potuto essere esercitate dai suoi eredi (o aventi

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Si vedano gli esempi di legge preunitarie sul diritto d’autore, attraverso l’imposizione del modello francese: nel Lombardo-Veneto (1810); Regno delle Due Sicilie (1811).

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Abbiamo però visto nel dettaglio che questa analogia è stata forse eccessivamente enfatizzata, in quanto lo stesso Le Chepalier, promotore del decrét relatif aux spectacles del 1791, era ben consapevole che si trattasse di un tipo di proprietà completamente diverso.

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Antonio Scialoja (San Giovanni a Teduccio 1817 – Procida 1877) fu anche economista, oltre che Senatore del Regno d’Italia. Dalla voce Antonio Scialoja di Wikipedia, disponibile all’URL <http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Scialoja>.

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151 causa) fino a conclusione di tale termine. A questo punto il diritto originale veniva in qualche modo “declassato”: per i successivi quarant’anni, infatti, gli eredi avrebbero avuto il solo diritto di percepire un “premio” del 5% sui proventi derivanti dallo sfruttamento dell’opera (a cui lo stesso autore o titolari non potevano opporsi): l’utilizzo era, da quel momento, disponibile per chiunque288.

Per ottenere la tutela era necessario soddisfare alcune formalità: si dovevano presentare tre copie dell’opera al Prefetto della Provincia, con l’aggiunta di una dichiarazione di volontà, contenente una richiesta di protezione del proprio lavoro289. Era previsto, inoltre, un termine piuttosto breve entro il quale la richiesta doveva essere fatta ed espletate le formalità290.

L’articolo che forse più di tutto stride con la disciplina attuale è quello rubricato “Abbandono del diritto” (art. 26): era prevista la regola che se dopo 10 anni dalla pubblicazione l’autore non l’avesse registrata nelle modalità appena viste, il diritto sull’opera sarebbe stato considerato abbandonato definitivamente291. E’ interessante notare che questa norma è

del tutto in linea con alcune proposte di autori contemporanei che mirano a ristabilire un equilibrio tra il diritto di esclusiva e il pubblico dominio292.

La legge, tuttavia, fu oggetto di critica di giuristi e politici insoddisfatti delle soluzioni adottate dal legislatore, soprattutto per la mancata chiarezza sulla natura del diritto.

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Il 5% andava calcolato sul prezzo lordo del prodotto indicato su ogni esemplare e dichiarato attraverso le formalità indicate.

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Legge 25 giugno 1865, n. 2337, art. 20: Chiunque intenda valersi dei diritti guarentiti da questa legge deve presentare al Prefetto della Provincia un numero di esemplari non eccedente quello di tre, dell’opera che pubblica, ovvero egual numero di copie fatte con la fotografia o con altro processo qualunque, atto a certificare la identità dell’opera, e deve unirvi una dichiarazione in cui, facendo menzione precisa dell’opera e dell’anno nel quale è stampata, esposta o altrimenti pubblicata, esprima la volontà di riservare i diritti che gli competono come autore o editore.

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Legge 25 giugno 1865, n. 2337, art. 25: La dichiarazione ed il deposito debbono farsi al più tardi dentro il mese di giugno per le opere o per i volumi pubblicati sino a tutto il 31 dicembre dell’anno precedente. La dichiarazione ed il deposito tardivi saranno egualmente efficaci, eccetto il caso in cui nel tempo scorso fra il 30 giugno suddetto ed il tempo in cui si effettuano la dichiarazione ed il deposito, altri abbia riprodotta l’opera, o incettate dall’estero copie per ispacciarle.

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In relazione alla musica, la pubblicazione veniva equiparata alla “rappresentazione o l’esecuzione di un’opera o di una composizione adatta a pubblico spettacolo, di un’azione coreografica e di qualunque composizione musicale, tanto se inedita, quanto se pubblicata.” Testo unico 25 giugno 1865, n. 2337, art. 2.

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152 Nel 1882, quindi, venne data una sistemazione organica attraverso il testo unico, emanato con regio decreto 1012293. Il passo successivo, adottato in epoca fascista, fu l’approvazione e conversione in legge del regio decreto 7 novembre 1925, n. 1950. L’articolo 1, analogamente alla legge 633/1941, sanciva: “sono protette dal presente decreto, qualunque ne sia il merito e la destinazione, tutte le opere dell’ingegno scientifiche, letterarie, artistiche e didattiche. Sono considerate opere artistiche le opere drammatiche, musicali, cinematografiche, coreografiche e pantomimiche, le opere di pittura, scultura e architettura; i lavori d’arte grafici e plastici, i lavori d’arte applicata all’industria, i disegni, le fotografie, e i lavori eseguiti con procedimenti analoghi alla fotografia. Sono considerate opere scientifiche anche i progetti di lavori d’ingegneria, quando costituiscano soluzioni originali di problemi tecnici”294.

L’ultimo passaggio, per arrivare alla disciplina attuale, fu l’emanazione, il 22 aprile 1941, della legge sul diritto d’autore, numero 633.

3.1.2 L’ATTUALE LEGGE SULLA PROTEZIONE DEL