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La tutela “interna” alla coppia: cessazione della convivenza per mutuo consenso o recesso unilaterale

Nel quadro della rilevanza della coppia di fatto, vengono in considerazione alcuni riflessi di carattere patrimoniale connessi alla fine del rapporto di convivenza, generato dalla crisi della coppia: la quale può essere determinata sia dalla scelta concordemente presa dei

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partners o per la decisione unilaterale di uno di essi96. Ex art. 1322,

2° comma, c.c. il ricorso all’autonomia privata, ossia all’autoregolamentazione dei rapporti patrimoniali all’interno di una convivenza al di fuori del matrimonio si rivela determinante in quanto i partners possono stipulare tra loro accordi di convivenza considerati giuridicamente vincolanti e convenire su vari aspetti della loro vita in comune, prima o in vista del venir meno della loro unione: tra cui, naturalmente, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare se di proprietà esclusiva o meno di uno dei conviventi.

Nel caso in cui i componenti della coppia di fatto non abbiano provveduto alla regolamentazione del loro rapporto attraverso un accordo “pre-tutelante” , la dottrina ricorre alla protezione dei diritti patrimoniali attraverso l’istituto dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. valutando l’entità e l’effettività della contribuzione alla realizzazione degli acquisti rapportata alla durata della convivenza, per le attribuzioni che vanno al di là della normale contribuzione(come l’acquisto di un immobile da adibire a casa familiare): tuttavia vi è chi, con riferimento specifico alla disposizione di una casa come sede stabile della convivenza, afferma l’individuazione di una presunzione iuris tantum di acquisto a favore della comunità familiare dei beni quali la comune abitazione, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia di fatto97. Per quanto attiene agli obblighi risarcitori eventualmente derivanti dall’interruzione della convivenza more uxorio, essendo tale rapporto improntato alla spontaneità e libertà nei comportamenti dai quali, in linea di principio, non nascono doveri giuridicamente vincolanti in ordine all’assenza da ogni impegno alla continuità del rapporto

96 Fiorella D’Angeli, La tutela delle convivenze senza matrimonio , pag. 105 ss.

Altre problematiche di natura patrimoniale legate alla cessazione della convivenza in una coppia di fatto riguardano i diritti successori.

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all’interno di quella che con il tempo può definirsi, come nel caso di presenza di prole, propriamente casa familiare, si rinviene ugualmente la necessità che si provveda in tal senso con atti di autonomia privata per contemplare eventuali risarcimenti a carico del partner che interrompa senza giusta causa la convivenza.

Problema fondamentale legato alla cessazione della convivenza in una coppia o famiglia di fatto attiene il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza della famiglia durante l’unione; possono essere rilevati essenzialmente tre profili differenziati:

1) L’esistenza di eventuale prole nata dal rapporto di convivenza all’interno di una coppia di fatto eterosessuale;

2) Una seconda situazione di crisi concernente i rapporti tra singoli partners;

3) Un contesto delineato da rapporti tra i conviventi more uxorio ed eventuali terzi legati ad essi, dal contratto di locazione al comodato.

In caso di cessazione del rapporto in presenza di figli conviventi, l’eventuale pretesa di un diritto di godimento sulla casa familiare richiesta da una convivente nei confronti dell’altro si presenta indissolubilmente legata all’affidamento dei figli, a maggior ragione attualmente a seguito della riforma sulla filiazione attuata con il dlgs. n. 154/2013.

Alla luce della nuova normativa, per la quale tutti i figli godono del medesimo riconoscimento giuridico a prescindere dalla nascita all’interno o al di fuori del matrimonio, tutte le norme contenute nel capo II, del titolo IX del primo libro del codice civile si applicano anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, pertanto durante una convivenza instaurata more uxorio( art.337-bis, c.c.) ed inoltre, ai fini dell’affidamento della prole generata occorre valutare prioritariamente la possibilità di un affido condiviso ad entrambi i genitori.

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Il nuovo art. 337-sexies , 1° comma, c.c., già come statuiva in precedenza l’art. 155-quater c.c., prevede che, in caso di assegnazione della casa familiare a seguito della crisi della coppia, il relativo godimento sarà attribuito “tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”: l’assegnazione della casa familiare dovrà pertanto essere disposta dal giudice in caso di disaccordo tra i conviventi o mancata previsione di un accordo in tal senso, con il solo fine di tutelare la prole minorenne o maggiorenne ma incolpevolmente non autosufficiente economicamente. La casa familiare conseguentemente avrà tre diverse destinazioni a seconda di quanto previsto in sede di affidamento della prole:

- In caso che sia stato disposto l’affidamento esclusivo, che rappresenta attualmente a seguito della L. n. 54/2006 l’ipotesi residuale, la casa familiare dovrà essere assegnata al genitore affidatario dei figli minori;

- Per quanto concerne l’affidamento condiviso o bigenitoriale, che rappresenta oggi la regola in materia, nel caso in cui sia stato disposto la casa familiare sarà assegnata al genitore prevalentemente convivente con la prole minorenne, cosiddetto “collocatario”;

- In presenza di figli maggiorenni che non abbiano ancora raggiunto senza loro colpa l’indipendenza economica, la casa familiare spetterà al genitore con essi convivente.

Resta ferma la necessaria sussistenza, nel momento in cui la decisione giudiziale di assegnazione della casa familiare debba essere assunta, di un immobile dotati dei requisiti fondamentali di abitualità, continuità e stabilità nel godimento: come stabilito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità98, non potrà essere adottato alcun provvedimento di assegnazione della casa familiare nel caso in cui non esista più un habitat che debba essere garantito a

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tutela della prole minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente.

Per quanto concerne il secondo caso, ossia la diversa ipotesi di un conflitto tra conviventi senza prole sul godimento dell’abitazione, sicuramente il partner esclusivo proprietario ha il potere di allontanare l’altro e di ottenere in via petitoria la liberazione dell’immobile, non essendo ravvisabile alcun titolo giuridico che lo legittimi a permanere nella casa centro della comune convivenza anche dopo la cessazione di quest’ultima. Tuttavia un’importante evoluzione giurisprudenziale evidenzia che tale diritto potestativo non è esercitabile ad libitum ed ad libidinum dal convivente che intenda estromettere l’altro dal godimento fino a quel momento condiviso della casa: la Suprema Corte ha riconosciuto, con sentenza n. 7214 del 2013 al convivente more uxorio estromesso violentemente dall’abitazione donatagli dal partner l’imposizione dell’avviso di estromissione e della previsione di un termine congruo per reperire altra sistemazione, secondo il canone generalmente riconosciuto all’interno dell’ordinamento della buona fede e correttezza da osservarsi all’interno di qualsiasi rapporto, anche di fatto.

Allo stesso modo, quando il convivente che ha interrotto la convivenza sia titolare di contratto di locazione, venendo all’ultima situazione prospettata concernente i rapporti con i terzi, in qualità di contraente del contratto di locazione potrà recedere dal contratto o risolverlo consensualmente senza che l’altro convivente possa esprimere alcunché oppure opporsi. La normativa attualmente vigente infatti non prevede una specifica tutela a favore del convivente “debole” in quanto non titolare del contratto di locazione a dispetto del convivente contraente-conduttore, pertanto non è configurabile nemmeno un ricorso al giudice per vedersi riconosciuto alcun diritto; quando poi il contratto di locazione sia contestato ad

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entrambi i conviventi, l’eventuale conflitto sul godimento dell’immobile dovrà trovare soluzione solo in un accordo tra le parti, essendo indivisibile il godimento del bene contestato, nei limiti in cui sia impossibile una divisione e ad essa non presti il suo consenso il proprietario-locatore dell’immobile. In conclusione dunque, il diritto esclusivo di godimento della casa, sfondo della convivenza tra coppie di fatto e adibita a residenza familiare, potrà essere riconosciuto al convivente, non titolare di diritto di proprietà sull’immobile né titolare del contratto di locazione, al momento della cessazione del rapporto di convivenza soltanto se tale diritto sia stato cristallizzato e come tale contemplato in un formale accordo tra i conviventi stessi, volto a disciplinare i rapporti patrimoniali tra loro in conseguenza ed in occasione della crisi della relazione, oppure in un altro atto di autonomia privata (come un contratto di comodato con cui il convivente attribuisca in uso, a tempo determinato od indeterminato, al partner con lui convivente un immobile di sua proprietà.

Se ciò risulta in linea di principio vero, occorre evidenziare che la situazione si profila sostanzialmente ribaltata nell’ipotesi in cui la convivenza con l’originario conduttore venga a cessare, fatta salva l’ipotesi del decesso, in presenza di prole nata dall’unione: la tutela abitativa del convivente more uxorio non titolare di alcun diritto sull’immobile ne esce vittoriosa se il medesimo abbia ottenuto in sede giudiziale l’assegnazione della casa familiare in quanto affidatario o convivente con figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Nel caso invece in cui la coppia di fatto non abbia generato prole, nella fatalità della cessazione della convivenza il partner non conduttore non avrà alcun diritto per succedere all’originario contraente-conduttore nel contratto di locazione, e tale principio è

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stato di recente ribadito dalla Corte Costituzionale99: la presenza di prole si rivela fondamentalmente alla base della tutela dei membri della coppia di fatto al pari di quanto previsto in sede di separazione e divorzio nella cessazione della convivenza tra coppie coniugate all’interno della casa familiare, soprattutto alla luce della recente riforma attuata con il dlgs. n. 154/2013.

2.3 La tutela “esterna” alla coppia: il diritto all’abitazione nei