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L’interesse della prole in tema di comodato secondo la giurisprudenza della Suprema Corte

3. L’assegnazione della casa familiare nella coppia di fatto: evoluzione giurisprudenziale e recenti svilupp

3.3 Comodato e rapporti con i terz

3.3.1 L’interesse della prole in tema di comodato secondo la giurisprudenza della Suprema Corte

Le problematiche legate al potere incondizionato del comodante di recedere ad nutum dal contratto di comodato a tempo indeterminato, derivanti dall’orientamento prevalente sopra citato, sono state affrontate dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2004166. La fattispecie esaminata riguardava un padre, che conveniva in giudizio il figlio e la nuora per ottenere la restituzione dell’immobile di sua proprietà concesso originariamente in comodato al figlio con la destinazione funzionale di casa coniugale, ma che successivamente a seguito di giudizio di separazione personale tra i coniugi era stata assegnata alla nuora affidataria di prole minorenne. Sia il giudice di primo che quello di secondo grado avevano respinto le domande del comodante, statuendo in particolare che lo stesso avrebbe dovuto

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Ai sensi dell’art. 1809, 1° comma. C.c. applicato alla materia de qua il

comodatario deve obbligatoriamente restituire la casa familiare alla scadenza del termine, se convenuto tra le parti, ovvero quando se ne sia servito

conformemente a quanto pattuito in caso in cui non sia stato convenuto alcun termine.

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subire gli effetti del provvedimento di assegnazione della casa di sua proprietà fino a che i figli, suoi nipoti, non fossero divenuti

economicamente autosufficienti. La Suprema Corte fu investita della questione, e cercò di mediare gli interessi contrapposti, in conflitto tra loro: quello del coniuge o ex convivente dell’originario

comodatario, succeduto nel contratto di comodato in forza del provvedimento di assegnazione della casa familiare, e quello del comodante. Le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono mostrate consapevoli della delicata natura degli interessi coinvolti, in

particolare dell’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico, ma anche dell’interesse del titolare del diritto di proprietà sulla casa, soggetto estraneo alle vicende familiari conseguite alla crisi e interessato a recuperare la disponibilità del suo bene. Le Sezioni Unite, pur riconoscendo la sussistenza del contratto di

comodato originariamente stipulato, hanno però rilevato che lo scopo ab origine che mediante tale contratto si intendeva perseguire era quello di consentire ( nella fattispecie al figlio del comodante) di usufruire dell’immobile come casa familiare, e ciò comporta delle conseguenze rilevanti in caso di crisi nella coppia con figli. Per effetto della comune volontà delle parti, è stato impresso un vincolo di destinazione del bene immobile alle esigenze della famiglia ivi stanziata, e la scadenza del rapporto giuridico, se non determinata, è strettamente connessa proprio alla destinazione conferita

all’immobile. Nelle sue conclusioni, le Sezioni Unite hanno formulato un rilevantissimo principio di diritto, secondo il quale in ipotesi di concessione di un bene immobile da parte di un terzo affinché sia destinato a casa familiare, il provvedimento giudiziale di assegnazione della stessa, emesso a seguito di crisi tra i genitori, a beneficio del coniuge affidatario di figli minorenni (o convivente con maggiorenni non economicamente autosufficienti) determina un avvicendamento del titolo di godimento nella posizione

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dell’assegnatario. Il rapporto resta regolato dalla disciplina generale del comodato, con la conseguenza che il comodante deve consentire il godimento della casa familiare all’assegnatario e ai suoi figli, fatta salva l’urgens necessitas imprevista e sopravvenuta ai sensi dell’art. 1809 c.c., di cui al 2° comma. Così, nei contratti di comodato a tempo indeterminato aventi ad oggetto la casa familiare, la quale sia a sua volta oggetto di una successivo procedimento giudiziale di assegnazione, il comodante non può recedere sic et simpliciter, ma esclusivamente al verificarsi dei presupposti di cui all’art. 1809, 2° comma, c.c. : tale rimane un principio generale che contempera al contempo le contrapposte esigenze, tutelando il nucleo familiare unitariamente considerato. Ad essere sacrificati maggiormente sono dunque gli interessi del comodante, ed infatti le Sezioni Unite esortano i comodanti, nella pratica, a tenere in considerazione il particolare vincolo che si origina dalla loro manifestazione di volontà: vincolo giuridico consistente nel consentire da parte loro l’utilizzazione del bene immobile quale casa familiare, e di considerare anche gli ulteriori effetti eventualmente scaturenti in ipotesi di crisi della coppia.

Comunque, è importante notare che, come statuito dalle Sezioni Unite, al comodante residua la possibilità di riottenere la

disponibilità dell’immobile qualora sussistano i requisiti previsti dall’art. 1809, 2° comma, c.c.

La sentenza delle Sezioni Unite ed il principio di diritto in essa espresso risalgono al 2004, dunque, ad un’epoca precedente: la riforma della filiazione operata dal D.lgs. n. 154/2013, il quale ha eliminato ogni discriminazione esistente fra figli generati da coppie sposate e figli di coppie non unite in matrimonio. Il caso di specie risolto dalle Sezioni Unite ha riguardato una coppia di coniugi separati, conviventi con i figli all’interno di una casa concessa in comodato dal genitore di uno dei due, e la destinazione della stessa a

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seguito di emissione di provvedimento di assegnazione a conclusione del procedimento di separazione. La recente riforma ha inserito nel Codice Civile, al primo libro, Titolo IX, il Capo II: in particolare, secondo il nuovo art. 337-bis c.c., relativo al campo di applicazione del capo, in caso di separazione, divorzio, cessazione degli effetti civili, annullamento e nullità del matrimonio, ma soprattutto ai nostri fini “nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio”, si applicano le disposizioni in tal capo contenute. La disposizione concernente l’assegnazione della casa familiare è il più volte citato art. 337-sexies c.c. che dunque si applica pienamente anche ai procedimenti della crisi tra genitori non sposati, i quali possono avere, e molto frequentemente hanno, ad oggetto proprio

l’assegnazione della casa familiare in ipotesi concessa in comodato da un terzo.

Pertanto, il principio sancito dalle Sezioni Unite può ritenersi, attualmente e pienamente, applicabile anche alle situazioni in cui, a seguito di crisi nella coppia di conviventi more uxorio e in presenza di prole, minorenne o maggiorenne non autosufficiente dal punto di vista economico, la casa familiare sia oggetto di contratto di

comodato stipulato con un terzo e, successivamente, assegnata in forza di un provvedimento giudiziale ad hoc. L’applicazione analogica così effettuata, in assenza di un’espressa previsione normativa che disciplini specificamente la situazione esposta, consente di individuare i criteri per l’assegnazione della casa

familiare in comodato in caso di crisi della convivenza more uxorio e presenza di prole. Il criterio prevalente dell’interesse dei figli della coppia non unita in matrimonio penetra in conclusione anche nella disciplina generale prevista in materia di comodato.

3.3.2 Comodato gratuito e convivenza more uxorio nella sentenza