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3. L’opera

3.5 Il secondo atto: Medea in Corinth

3.5.8 Il compimento della vendetta

La nutrice esorta Medea alla fuga e la protagonista domanda le ragioni di tale suggerimento, temendo che Glauce abbia rifiutato i suoi doni. L’anziana donna comunica che la figlia di Creonte li ha invece accolti e Medea chiede ironicamente: “how do they fit her?” (GoldF, p. 39). La nutrice annuncia la morte della giovane (“Fit her! she's frying in them, like a fritter”, GoldF, p. 39): Glauce viene paragonata ad una frittella e l’allitterazione della fricativa [f], unita a quella della liquida [r], traspone il crepitio delle fiamme.

Medea giustifica la tipologia di pena inflitta alla nuova sposa di Giasone appellandosi alla logica del contrappasso: “She stole my flame, and now in flames she lingers” (GoldF, p. 39). La nutrice rivela come anche Creonte sia stato avvolto dalle fiamme assieme alla figlia. Il racconto della morte dei nemici di Medea corrisponde al precedente euripideo, ma è di carattere più lacunoso, poiché nella fonte un messaggero illustra nel dettaglio l’arrivo dei figli a palazzo, l’accettazione dei doni, lo scoppio dell’incendio e l’atroce lotta per la sopravvivenza dei personaggi (Eur. Med., vv. 1136-1230).

Planché riproduce fedelmente la reazione di Medea al compiersi della vendetta: se nell’extravaganza si definisce “glad” (GoldF, p. 39), nella tragedia di Euripide ella si rivolge al messaggero asserendo: “se la loro fine è stata atroce, mi renderai ancora più felice” (Eur. Med., vv. 1134-1135). Inoltre, l’autore di The Golden Fleece attualizza l’invito alla fuga: in Euripide il messaggero afferma: “fuggi, Medea, fuggi o per terra o per mare, con qualunque mezzo” (Eur. Med., vv. 1122-1123), mentre la nutrice ritratta nell’extravaganza la esorta a salire a bordo di mezzi di trasporto contemporanei, come “a jarvey or a chaise, / A boat, a barge, a cab, or anything” (GoldF, p. 39). Nello specifico, vengono elencate tre differenti tipologie di carrozze,

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come la ‘jarvey’176, comunemente destinata al noleggio, la ‘chaise’177, impiegata nei

viaggi di piacere e la ‘cab’178, concepita come mezzo di trasporto pubblico.

Medea rifiuta di fuggire e, al contrario, consiglia alla nutrice di mettersi in salvo, poiché “I've still a deed to do / No mortal eye may see, save my own two” (GoldF, p. 39). La protagonista allude, con parole misteriose, alla punizione che infliggerà ai figli e ne ribadisce la necessità affermando: “it must be done, / Your fate it is impossible to shun” (GoldF, p. 39). L’ineluttabilità della vendetta è un elemento ereditato dalla tragedia di Euripide, in cui la protagonista si risolve ad uccidere i figli sostenendo che “È necessario che muoiano” (Eur. Med., v. 1240).

A questo punto, una didascalia esplicita come Medea afferri il fodero di un pugnale ed estragga una verga. La scelta di portare sulla scena il fodero lascerebbe presagire il compimento dell’infanticidio, impressione subitamente smentita dalla visione della verga. Il gesto è accompagnato dalle parole di Medea che sanciscono l’intenzione di portare a termine “That which I never did to them before” (GoldF, p. 39). L’avverbio ‘before’ viene messo in rilievo dal corsivo e si apre a due possibilità di interpretazione. In primo luogo, esso si connette alla memoria metaletteraria della protagonista, riproponendo il motivo euripideo dell’eccezionalità del crimine da lei commesso, veicolata dall’aggettivo “neon” (Eur. Med., v. 37). Ironicamente, nell’extravaganza non è l’infanticidio a rappresentare un delitto terribile ed inaudito, ma la diffusa pratica della fustigazione. In secondo luogo, l’avverbio sottolinea come in nessuna opera precedente a The Golden Fleece Medea abbia sferzato i suoi figli con una verga. Il coro di Planché reagisce alla notizia della fustigazione con il medesimo sgomento del coro di Euripide, che sta per assistere all’infanticidio: nell’extravaganza egli definisce Medea “mad” (GoldF, p. 39), aggettivo che richiama il “furore che sconvolge

176 “jarvey” (2), OED Online, “A hackney-coach. Obs.”.

177 “chaise” (a), OED Online, “A light open carriage for one or two persons, often having a top or

calash; those with four wheels resembling the phaeton, those with two the curricle; also loosely used for pleasure carts and light carriages generally”.

178 “cab” (1a), OED Online, “A shortened form of cabriolet n., applied not only to the original vehicle

so named and its improved successor the ‘hansom’, but also to four-wheeled carriages shaped like broughams; thus, a public carriage with two or four wheels, drawn by one horse, and seating two or four persons, of which various types are used in different towns”.

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l’anima” (Eur. Med., vv. 1265-1266) attribuito alla protagonista della tragedia greca dalle donne corinzie.

Medea giustifica, poi, la scelta di punire i figli dichiarando: “They are too like their dad” (GoldF, p. 39). Il motivo della loro somiglianza con Giasone è topico: nella dodicesima delle Heroides di Ovidio, Medea si indirizza al marito con le parole “Et nimium similes tibi sunt, et imagine tangor / Et quotiens video, lumina nostra madent” (Ov. Her., v. 189-190) e nella tragedia di Seneca l’eroina definisce i bambini come “liberos similes patri / similesque matri” (Sen. Med., vv. 24-25). Questo tema viene recuperato nella rielaborazione del mito proposta da Grillparzer, in cui i giovani sono descritti come l’“immagine del padre” (Grill. Med., p. 159). Infine, Medea esce di scena portando con sé i figli.

Il coro invoca l’aiuto di Giasone che, contrariamente a quanto descritto da Euripide, arriva sul palcoscenico prima che i figli siano colpiti dalla furia vendicatrice di Medea. Giasone lamenta, in ordine, le sue sciagure: “The King's a cinder; / My match is broken off my bride is tinder” (GoldF, p. 39). L’aver relegato in ultima posizione la morte di Glauce ribadisce la concezione utilitaristica che l’eroe ha del matrimonio: l’unione con Glauce, essendo ella ormai morta, non ha più alcuna rilevanza. Come nella tragedia euripidea, egli chiede al coro dove si sia recata Medea, formulando la richiesta “Where is the wicked worker of these woes?” (GoldF, p. 39), in cui l’allitterazione del fonema [w] traspone la mestizia di Giasone. Tale caratterizzazione non si accorda a quella proposta da Euripide, secondo cui l’eroe afferma con tono aggressivo: “Sotto la terra dovrà trovar riparo, nell’alto dei cieli dovrà elevarsi in volo, per non pagare la sua colpa alla casa del re” (Eur. Med., vv. 1296-1298). Con la medesima irruenza, nella tragedia di Seneca Giasone esorta: “Quicumque regum claudibus fidus doles, / concurre, ut ipsam sceleris auctorem horridi / capiamus” (Sen. Med., vv. 978-981).

Alla domanda di Giasone, segue un ironico scambio tra i due interlocutori:

JAS. On my children where? CHORUS. Behind, of course.

CHILDREN, (within) Oh, mother, mother! CHORUS. There! You hear them?

146 JAS. (rushes to door) Paralysed with awe I stand

Medea, hold, oh, hold thy barbarous hand; The door is fast, where shall I find a crow? CHORUS. You have one

JAS. Where?

CHORUS. To pluck with her, you know. JAS. I mean an iron crow, to force the gate Which she has bolted (GoldF, p. 40).

Giasone chiede informazioni sul luogo in cui si sta consumando la vendetta di Medea e il coro risponde utilizzando l’avverbio ambiguo ‘behind’. Esso esplicita, infatti, che la protagonista si trova fuori dalla scena e, contemporaneamente, che ella percuote i figli sulle natiche. Come nella tragedia di Euripide, il pubblico ode le grida dei bambini provenire dall’interno dell’abitazione179.

Con una reazione ironicamente esagerata rispetto al genere di punizione inflitta ai figli, Giasone si dice paralizzato ed esorta Medea a fermare la sua “barbarous hand” (GoldF, p. 40). L’enfasi sulla mano come parte del corpo concretamente responsabile della vendetta è presente sia nella tragedia di Euripide che in quella di Seneca, poiché in entrambi i testi Medea si risolve all’azione invocandone l’aiuto e la potenza180.

Inoltre, l’eroe ritratto nell’extravaganza instaura una connessione tra il crimine di Medea e la sua identità di donna barbara, nesso che appare esplicitato anche nel precedente euripideo, dove Giasone sostiene che “Nessuna donna greca avrebbe mai osato tanto” (Eur. Med., vv. 1339-1340).

Giasone cerca di forzare la porta dell’abitazione di Medea, riproducendo il medesimo gesto del protagonista della fonte classica181. Planché aggiunge l’elemento comico

della ricerca di un ‘crow’, termine polisemico che designa il piede di porco e che, se viene inserito nella frase pronunciata dal coro ‘a crow to pluck’182, traduce

179 I figli di Medea e Giasone gridano: “Aiuto!”. Euripide, Medea, v. 1270a.

180 Nella tragedia di Euripide, Medea afferma: “Prendi, povera mano mia, prendi la spada […]”.

Euripide, Medea, v. 1244. Nella tragedia di Seneca, invece, la protagonista si esorta alla vendetta con le parole “Mostra alla gente la forza della tua mano”. Seneca, Medea, v. 977.

181 Nella tragedia di Euripide, Medea si rivolge a Giasone chiedendogli: “Perché scuoti, perché forzi

la porta?”. Euripide, Medea, v. 1317.

182 “crow” (3b), OED Online, “to have a crow to pluck or pull (rarely pick) with any one: to have

something disagreeable or awkward to settle with him; to have a matter of dispute, or something requiring explanation, to clear up; to have some fault to find with him”.

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l’espressione proverbiale ‘una gatta da pelare’. In questo caso, sostiene il coro, Giasone ne ha già una, dovendo affrontare la furia della moglie.

La voce di Medea, proveniente da dietro le quinte, informa Giasone dell’inutilità dei suoi sforzi, dal momento che il crimine è già stato commesso. Egli comprende come la donna sia sul punto di dileguarsi e si riferisce alla fuga con il termine ‘bolted’, parola polisemica utilizzata in precedenza per riferirsi al chiavistello dell’abitazione.

La nutrice irrompe sul palcoscenico e precisa la natura della fuga di Medea, compiuta a bordo di una “dragon-fly” (GoldF, p. 40). L’utilizzo di tale termine permette a Planché di suscitare il riso nei fruitori dell’opera, dal momento che esso designa la libellula ‒ difficilmente concepibile come mezzo di trasporto ‒ e, contemporaneamente, richiama i draghi alati che nella tradizione trainano il carro utilizzato dalla protagonista per allontanarsi da Corinto. La comicità di questo scambio di battute viene incrementata dall’intervento di Giasone, che ribatte: “A dragon fly! How dare she so presume! / A witch's carriage ought to be a broom” (GoldF, p. 40). Lo stupore dell’eroe non è connesso all’ambiguità del termine ‘dragon fly’, ma all’incongruenza del mezzo di trasporto scelto da Medea rispetto al moderno stereotipo della strega che vola a cavallo di una scopa.

Una didascalia, simile a quella che determina la fine del primo atto dell’opera, descrive lo scenario apocalittico del palazzo di Creonte che sprofonda, avvolto da tuoni e lampi. Inoltre, essa informa dell’apparizione di Medea, che solca il cielo attraversato da nubi, a bordo di un carro trainato da draghi. La protagonista della tragedia di Euripide fugge da Corinto grazie ad un carro donatole dal Sole183, ma

Planché eredita il particolare dei draghi dall’opera di Seneca, in cui Medea afferma che “due draghi offrono il collo squamoso al giogo” del suo “cocchio alato” (Sen. Med., vv. 1023-1025). In linea generale, l’autore dell’extravaganza recupera l’immagine topica di Medea vittoriosa, collocandola in posizione sopraelevata rispetto a Giasone da lei sconfitto.

183 Nella tragedia di Euripide, Medea si riferisce al fatto che “il padre di mio padre, il Sole, mi ha

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