• Non ci sono risultati.

3. L’opera

3.1 La prefazione

Il 24 marzo del 1845, al teatro di Haymarket, viene messo in scena The Golden Fleece; or, Jason in Colchis and Medea in Corinth, una rielaborazione del mito del vello d’oro che parte dalla narrazione dalle avventure di Giasone in Colchide, per arrivare alla storia di Medea a Corinto1. Il sottotitolo, A Classical Extravaganza in Two Parts,

specifica che l’opera è suddivisa in due atti e ne esplicita il genere: si tratta della sesta extravaganza di argomento classico composta da James Robinson Planché.

Nella prefazione all’edizione del 1879, l’autore indica le motivazioni che lo hanno spinto ad ispirarsi alla materia classica. Planché afferma che, in un primo momento, avrebbe voluto comporre una revue per replicare il successo di The Drama at Home, portato sulle scene nella Pasqua del 18442. Tuttavia, dopo aver assistito alla

performance dell’Antigone di Sofocle, risalente al 2 gennaio del 1845 al teatro di Covent Garden, egli decide di scrivere un’extravaganza di argomento classico con l’obiettivo di “burlesque not the sublime poetry of the Greek dramatist […] but the modus operandi of that classical period, which really illustrates the old proverbial

1 L’edizione dell’opera a cui si fa riferimento è J. R. Planché, The Golden Fleece; or, Jason in Colchis

and Medea in Corinth: A Classical Extravaganza in Two Parts, in T. F. Dillon Crocker and S. Tucker

(eds), The Extravaganzas of J. R. Planché, Vol. III, cit. pp. 5-42. D’ora in avanti, si farà riferimento all’opera nel corpo del testo con la sigla GoldF.

2 “I had contemplated, encouraged by the great success of ‘The Drama at Home’, writing another

Revue for Easter, but the performance of ‘Antigone’ after the Greek manner, on a raised stage and with a chorus, which, assisted by Mendelssohn's music and the declamation of Miss Vandenhoff (daughter of the tragedian of that name), had made some sensation at Covent Garden, induced me to change my intentions”. Cfr. Ivi, p. 7. Nella sua autobiografia, Planché si riferisce a The Golden

Fleece esattamente con le stesse parole: “’The Golden Fleece’ […] suggested by the performance

of ‘Antigone’ after the Greek manner, on a raised stage and with a chorus, with Mendelssohn's music and Miss Vandenhoff’s declamation, had made some sensation at Covent Garden”. Cfr. J. R. Planché, The Recollections and Reflections of J. R. Planché: A Professional Autobiography, Vol. II, cit. p. 79.

66

observation that there is but one step from the sublime to the ridiculous” (GoldF, p. 7).

Per comprendere pienamente tale dichiarazione di intenti, è necessario soffermarsi sulla genesi e sull’importanza della sopracitata produzione dell’Antigone. La tragedia di Sofocle viene rappresentata per la prima volta a Potsdam, il 28 ottobre del 1841. Il re di Prussia, Friederich Wilhelm IV, aveva infatti commissionato a Ludwig Tieck la creazione di un’opera che si inserisse nel programma di renovatio culturale dell’impero. Tieck, in veste di regista, sceglie di organizzare la rappresentazione dell’Antigone in una traduzione tedesca, scritta da Johann Jakob Christian Donner nel 1839, accompagnata ed integrata da musiche e canti corali composti da Mendelssohn. L’opera viene messa in scena consultando gli studi filologici di August Boeckh e di Hans Christian Genelli, che in Das Theater zu Athen: hinsichtlich auf Architectur, Scenerie und Darstellungskunst ueberhaupt erläutert (1818) aveva descritto l’architettura dei teatri greci secondo i canoni vitruviani. Osservando i precetti ivi contenuti, nel Neues Palais di Potsdam il palcoscenico viene sopraelevato e si realizza una buca d’orchestra in cui alloggiano i quindici membri del coro e i musicisti. Al centro dell’orchestra, viene ricreato il thymele, una sorta di pulpito dietro al quale si nasconde il suggeritore3.

Dopo il successo ottenuto in Prussia, Antigone viene portata sulle scene di città europee come Berlino, Vienna, Parigi e, nel 1845, approda al teatro londinese di Covent Garden in una traduzione di William Bartholomew, intitolata An Imitative Version of Sophocles’ Tragedy Antigone; With Its Melo-Dramatic Dialogue and Choruses, as Written and Adapted to the Music of Dr Felix Mendelssohn Bartholdy. Come a Potsdam, l’opera viene messa in scena su una piattaforma sopraelevata, ma il compositore George Macfarren decide di apportare alcune modifiche rispetto alla versione tedesca, inserendo delle danze e aumentando il numero dei membri del coro a sessanta voci maschili. La loro performance viene definita mediocre dallo

3 Per la ricostruzione della rappresentazione dell’Antigone a Potsdam si veda F. Macintosh,

“Shakesperean Sophocles: (Re)-discovering and Performing Greek Tragedy in the Nineteenth Century”, in Vance, N., Wallace J. (eds), The Oxford History of Classical Reception in English

67 Spectator, che registra il “lamentable failure” di “untrained choristers, whose movements are ordinarily as stiff as those of lay figures”4. Inoltre, il coro diviene

l’oggetto di satira della rivista Punch, che ne realizza una caricatura e ne ricorda ironicamente l’abbigliamento, poiché sotto alla toga di foggia greca si intravedono abiti ottocenteschi5.

Secondo l’analisi proposta da Fiona Macintosh in Shakespearian Sophocles: (Re)- discovering and Performing Greek Tragedy, l’Antigone di Mendelssohn, nelle sue varie incarnazioni, corrisponde alla prima rappresentazione fedele di una tragedia greca sin dai tempi del Rinascimento e, come tale, ha il merito di reintrodurre sui palcoscenici ottocenteschi alcuni degli elementi che caratterizzano il teatro greco6.

Tuttavia, la performance londinese dell’Antigone è costellata da una serie di anacronismi ed errori che, invece di infondere nuova vita ai costumi del teatro classico, ne producono una goffa imitazione, tale da far scadere l’opera nel ridicolo. Esaminando nuovamente la dichiarazione d’intenti di Planché, alla luce di queste osservazioni, si comprende come l’autore non voglia criticare il modus operandi del teatro greco in sé, ma denunciare il suo impiego maldestro e inaccurato nei revival contemporanei. In Dramatis Personae, ad esempio, Planché si riferisce all’Antigone di Covent Garden quando illustra il ruolo di Charles Mathews, unico e talentuoso membro del coro, che “render[s] at least fifty-nine male voices entirely unnecessary” (GoldF, p. 10). Allo stesso modo, egli osserva in maniera ironica come il prezzo del biglietto per assistere a The Golden Fleece non subisca alterazioni, sebbene il palcoscenico del teatro di Haymarket venga appositamente sopraelevato, in modo da eguagliare “the approved fashion of the revived Greek Theatre” (GoldF, p. 10). Infine, l’autore pone l’accento sulle scenografie, prive di effetti pittorici, poiché

4 “Mendelssohn’s Antigone”, The Spectator, XVIII: 862 (Gennaio 1845), p. 17.

5 “A feeling of classical rapture comes o’er us, / Which is smash’d when there enters a queer looking

Chorus, / With sheets on their shoulders and rouge on their cheeks; / Though Greek in their guise, they are sad guys of Greeks. / Their fleshings, which ought to fit close to their shapes, / Are clumsily fasten’d with ill concealed tapes; / And if the theatrical text be relied on, / The skins of the Greeks were most carelessly tied on”. Cfr. “Antigone Analysed”, Punch, or the London Charivari (Gennaio 1845), p. 42.

6 F. Macintosh, “Shakesperean Sophocles: (Re)-discovering and Performing Greek Tragedy in the

68

“frequent changes of scene [are] contrary to the usage of the ancient Greek drama” (GoldF, p. 10). Secondo The Annals of Covent Garden Theatre, anche per l’Antigone era stata utilizzata un’unica scena dipinta che ritraeva il palazzo del re Creonte7.

Rinunciando alla grandiosità delle scenografie in nome dell’accuratezza storica, Planché si conferma essere promotore della riforma che incoraggia la verosimiglianza delle scene rispetto all’epoca in cui l’opera è ambientata8. L’autore, però, è anche

profondamente cosciente del fascino che gli effetti scenici esercitano sugli spettatori e, per questo motivo, nella locandina che pubblicizza The Golden Fleece, sceglie di utilizzare un carattere maiuscolo per scrivere “splendid pictorial effects” (GoldF, p. 10). Al contrario, egli adotta il minuscolo per negare la loro presenza, attraverso la frase “will be left entirely to the imagination of the audience” (GoldF, p. 10). In questo gioco visivo, sembra celarsi l’umorismo di Planché, che allude ironicamente alle preferenze del pubblico attratto dalla grandiosità delle scenografie e non dalla loro correttezza storica.

Planché decide di rielaborare il mito del vello d’oro e, nella prefazione all’opera, adduce due motivazioni che sembrano averlo guidato nella scelta: “I therefore selected a subject which might be treated ludicrously without any violation of good taste, and which would afford Mr. and Mrs. Charles Mathews the most favourable opportunity of displaying the peculiar talents with which they were so remarkably gifted” (GoldF, pp. 7-8). L’autore è dunque alla ricerca di un soggetto classico che possa essere reinterpretato senza scadere nella volgarità e che esalti le doti degli attori ingaggiati per la rappresentazione, due requisiti che sembrano essere soddisfatti dal mito del vello d’oro9. Charles Mathews, che sul palco assume la

funzione del coro adottando uno stile di recitazione familiare e confidenziale, è il

7 “It is interesting to record that the single scene was painted by John, the brother of George

Macfarren, the musical director”. Cfr. H. Saxe Wyndham, The Annals of Covent Garden Theatre, from 1732 to 1897, London, Chatto & Windus 1906, p. 177.

8 Nel Capitolo 2, è stata illustrata l’attività di scenografo di Planché, sostenitore dell’accuratezza e

della verosimiglianza storica. Al contempo, si è osservato come egli incoraggi l’adozione di effetti scenici spettacolari, a condizione che essi siano funzionali ad evidenziare il contenuto dell’opera e non un loro sostituto.

9 Si veda, a tal proposito, il Capitolo 2, in cui si evidenzia come Planché curi personalmente lo stile

di recitazione adottato nelle sue opere, incoraggiando la partecipazione attiva di attori e manager alle prove degli spettacoli.

69

personaggio attraverso il quale si concretizza la critica nei confronti del coro greco10.

Analogamente, l’esperienza professionale di Madame Vestris come cantante d’opera lirica italiana spinge Planché a scritturarla per interpretare il ruolo di Medea11.

L’autore ritiene che l’abilità nel canto sia essenziale per portare sulle scene l’eroina tragica. Il fatto che l’attenzione sia catalizzata da questo elemento anticipa uno dei procedimenti che Planché utilizza per rielaborare le fonti classiche: se, tradizionalmente, Medea si esprime attraverso i monologhi, in The Golden Fleece, essi saranno trasformati in canzoni.

La prefazione termina con una considerazione inerente al genere dell’opera: Planché ritiene che essa possa essere definita un burlesque, anche se nel sottotitolo è stata designata con l’etichetta di extravaganza12. Nonostante la distinzione dei generi sia

già stata ampiamente discussa, è importante sottolineare come l’autore differenziasse l’extravaganza, una rielaborazione ironica di un singolo soggetto o tema, dal burlesque, ossia una caricatura di un’intera opera preesistente. In questo caso, Planché sente di essersi cimentato con la rielaborazione complessiva non di una sola opera ma, come si evince dalle Dramatis Personae, di una serie di testi classici. Il primo atto, dedicato alla narrazione della conquista del vello da parte di Giasone, si ispira al terzo e quarto libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio13. All’autore del

poema, Planché attribuisce il titolo di “Esquire”14, a cui affianca una serie di

appellativi tipicamente britannici, quali “Principal Librarian to His Egyptian Majesty Ptolemy Evergetes, Professor of Greek Poetry in the Royal College of Alexandria” (GoldF, p. 9). La presentazione di Apollonio è accompagnata da un processo di

10 Planché ricorda come Mathews fosse “in constant familiar communication with the audience”.

Cfr. J. R. Planché, The Golden Fleece, cit. p. 8.

11 “The lady, from her early training in Italian opera, would, independently of her personal

appearance, be a magnificent Medea”. Cfr. Ibidem.

12 Ibidem. Anche nella sua autobiografia, Planché definisce The Golden Fleece come un “undeniable

burlesque”. Cfr. J. R. Planché, The Recollections and Reflections of J. R. Planché: A Professional

Autobiography, Vol. II, cit. p. 79.

13 J. R. Planché, The Golden Fleece, cit. p. 9.

14 Per la definizione di “Esquire” si veda “esquire” (3), OED Online, “As a title accompanying a man's

name. Originally applied to those who were ‘esquires’ in sense 2; subsequently extended to other persons to whom an equivalent degree of rank or status is by courtesy attributed”. Analogamente si consulti “esquire” (2), OED Online, “A man belonging to the higher order of English gentry, ranking immediately below a knight”.

70

attualizzazione, che trasporta l’autore dall’età ellenistica alla contemporaneità della Gran Bretagna15. Il secondo atto, incentrato sul racconto delle vicende di Medea a

Corinto, viene presentato come “very freely translated from the popular Tragedy of Euripides, and particularly adapted to the Haymarket stage" (GoldF, p. 9).