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3. L’opera

3.5 Il secondo atto: Medea in Corinth

3.5.9 Finale

L’eroe si rivolge a Medea con tono aggressivo, intimandole di rimanere a Corinto e, in risposta, ella rievoca la minaccia formulata nel momento della promessa di matrimonio affermando: “I told you I would play the very devil, / If to another you should dare be civil” (GoldF, p. 40)184. La protagonista chiede poi a Giasone se abbia

udito dei rumori provenire dall’interno dell’abitazione, che possano attestare il compimento della vendetta. Egli annuisce, ma Medea rivela di non aver frustato i figli e dichiara: “I but made believe” (GoldF, p. 40).

La simulazione della punizione inflitta ai due bambini è un elemento originale introdotto da Planché, che ha un duplice scopo. In primo luogo, esso è funzionale alla redenzione della protagonista, il cui ritratto risulta essere drasticamente modificato rispetto a quello delle fonti classiche: Medea non solo è incapace di concepire l’infanticidio, ma anche di infliggere ai propri figli una mera punizione corporale. In questo modo, l’autore dell’extravaganza raffigura Medea in qualità di madre amorevole ed esemplare, la cui furia vendicatrice viene unicamente convogliata verso l’eliminazione dei nemici Glauce e Creonte. In secondo luogo, la finzione messa in scena da Medea contravviene al modus operandi del teatro classico, poiché infrange il tacito accordo vigente tra personaggi e coro, secondo cui quest’ultimo dovrebbe assolvere alla funzione di confidente. Infatti, una volta svelato l’inganno della protagonista, il coro verbalizza il suo sconcerto affermando: “Oh, shame! the very Chorus to deceive” (GoldF, p. 40). Il suo ruolo di depositario dei segreti dei personaggi viene così svuotato e, di conseguenza, la sua presenza sembra essere inutile.

Medea annuncia come intende disporre del destino dei figli, che saranno benevolmente accolti da Egeo nella terra di Eretteo, una perifrasi posta a designare la città di Atene185. Nella tragedia di Euripide, il personaggio di Egeo offre una via di

184 Nel primo atto di The Golden Fleece, Medea aveva minacciato Giasone dicendo: “If, your

pledged faith and my fond passion scorning, / You with another venture to philander, / To the infernal regions off I'll hand her, / And lead you such a life as on my word will / Make e'en the cream of Tartarus to curdle”. J. R. Planché, The Golden Fleece, cit. p. 20.

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fuga alla protagonista. In The Golden Fleece, invece, il sovrano di Atene si prodiga per la salvezza dei bambini, accogliendoli assieme alla madre. Medea ricorda come “To a Greek grammar school he means to send them, / And pay a private tutor to attend them” (GoldF, p. 40).

La protagonista profetizza poi la morte di Giasone, provocata da “A timber of the Argo” (GoldF, p. 41) che “thy dull Boeotian brains shall dash” (GoldF, p. 41). Il vaticinio fa eco a quanto proferito dalla Medea di Euripide, che si indirizza all’eroe con le parole “Tu morirai di mala morte, com’è giusto, colpito al capo da un rottame della nave Argo” (Eur. Med., vv. 1386-1387). Planché sceglie di enfatizzare ironicamente la violenza della morte, attraverso l’immagine del cervello di Giasone che esplode nell’impatto con il frammento della nave.

Se nella tragedia euripidea Giasone reagisce alla predizione invocando “l’Erinni dei figli e la Giustizia” (Eur. Med., vv. 1389-1390) affinché possano punire Medea, nell’extravaganza egli inveisce servendosi dell’espressione “Shiver my timbers” (GoldF, p. 41), imprecazione comune nel linguaggio dei marinai186.

Medea completa la profezia affermando che “So shall the craft, of which thou wert the master, / Punish the craft that caused all my disaster” (GoldF, p. 41). La ripetizione del termine polisemico ‘craft’ suggerisce che l’eroe sarà punito da quella stessa nave che lo ha condotto in Colchide e che gli ha permesso di sedurre ed ingannare Medea, decretandone la rovina. Originariamente, quindi, i misfatti della protagonista affondano le loro radici nel viaggio compiuto da Giasone, senza il quale ella non avrebbe conosciuto l’amore, il tradimento e, conseguentemente, il furore della vendetta. Il passo dell’opera di Planché fa eco alla tragedia di Seneca, in cui la spedizione degli Argonauti viene presentata, per la prima volta, come atto di hybris, la tracotanza dell’essere umano che sfida l’ordine del cosmo. Gli eroi greci, infatti, hanno imposto “leggi nuove” (Sen. Med., v. 320) all’arte della navigazione sovvertendo i “foedera mundi” (Sen. Med., v. 335) ed hanno oltrepassato le insidie celate dal mare. Per questo crimine, tutti gli Argonauti sono stati puniti, compreso Giasone, che paga il fio di aver conquistato il vello d’oro e il cuore Medea, un “male

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peggiore del mare” (Sen. Med., v. 363). Una prospettiva simile viene recuperata dalla rielaborazione moderna del mito proposta da Grillparzer, che interpreta il viaggio degli Argonauti come una sorta di peccato originale, il cui emblema è il vello d’oro, foriero di sciagure e disgrazie.

Con un’ironica coincidenza, l’opera di Planché si chiude proprio con la menzione del vello, la cui conquista è ricordata da Medea, che illustra a Giasone il compiersi del proprio destino:

JAS. And what will be thy fate, thou cruel fury? MED. My fate depends alone on the grand jury, To whom the bill presented is to-night;

I fairly own I'm in an awful fright.

But if against me they don't find a true bill, The Manager may not soon want a new bill.

(to Audience) Do you but smile, ‘The Golden Fleece’ we win. ‘One touch of nature makes the whole world grin’ (GoldF, p. 41).

Medea si appella alla ‘grand jury’, a cui corrisponde il pubblico ed a cui viene sottoposto il ‘bill’, termine che designa sia lo svolgimento dei fatti sia il prezzo del biglietto pagato per assistere alla rappresentazione. Per determinare la sorte della protagonista, gli spettatori sono chiamati a ‘find a true bill’187, espressione mutuata

dal lessico legale, che comunica la necessità di individuare prove sufficienti a giustificare l’ascolto del caso di Medea, poiché in caso contrario il manager del teatro non potrà predisporre un revival dell’opera. Medea persuade gli astanti invitandoli a sorridere e ricordando loro ‘The Golden Fleece we win’. La frase si apre ad una duplice interpretazione: da un lato, essa presenta un ironico ribaltamento di prospettiva rispetto alla lettura tradizionale della conquista del vello, che da ricettacolo del male passa ed essere motivo di sorriso; dall’altro, la frase acquista una valenza metateatrale, riferendosi alla messa in scena dell’opera intitolata, appunto, The Golden Fleece.

187 “bill” (4a), OED Online, “to find a true bill, to ignore the bill, said of a Grand Jury, whose duty it

is, in criminal Assizes, to declare that there is, or is not, sufficient evidence to justify the hearing of a case before the judge and ordinary jury”.

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L’intervento della protagonista termina con una citazione tratta da Troilus and Cressida di Shakespeare, modificata con l’inserimento della parola ‘grin’. Il verso originale, “One touch of nature makes the whole world kin” (III, 3, 175), appartiene al discorso di Ulisse, che tenta di convincere Achille a tornare a combattere con l’esercito greco nell’assedio della città di Troia. Ulisse riflette sullo scorrere del tempo e nota come l’intero genere umano tenda a dimenticare gli eroi del passato. Con lo stesso intento persuasivo, Medea ricorda al pubblico dell’opera di Planché come le gesta eroiche possano essere motivo di comicità, elemento che, se apprezzato, può garantire la permanenza di The Golden Fleece nei repertori teatrali.

Il finale consiste in una canzone intitolata Post Horn Galop, intonata dal coro, Medea e Giasone. Post Horn Galop è una melodia composta dal musicista Hermann Koenig, risalente alla metà del diciannovesimo secolo e pensata per l’esecuzione del corno postale, uno strumento musicale della famiglia degli ottoni188. Su queste note, il coro

intona la prima strofa:

Off she goes, sir off she goes, sir! Highty-tighty! highty-tighty!

Goodness knows, sir, all her woes, sir, Made her flighty, made her flighty. Calm her fury, gentle jury,

Thus to end were most improper; As they scream aboard a steamer

‘Back her! ease her! stop her!’ (GoldF, p. 41).

I primi quattro versi costituiscono una sorta di ritornello che il coro canta alla fine di ogni strofa. La rima alternata, le ripetizioni e le assonanze che caratterizzano il ritornello sembrano sfruttare la musicalità del linguaggio, che si adatta ad una melodia allegra e vivace. Egli annuncia la fuga di Medea, veicolando il suo disprezzo con l’esclamazione ‘highty-tighty’189, e allude alle pene sofferte dalla protagonista,

che rendono il suo comportamento mutevole e capriccioso. Nel presentare le disgrazie di Medea come cause della sua condotta, egli suggerisce, per l’ultima volta, l’innocenza del personaggio. Il pubblico viene poi incoraggiato a placare l’ira di

188 A. Carse, op. cit. p. 375.

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Medea, affinché lei rinunci ad allontanarsi da Corinto, decretando così un finale ‘improper’. Secondo quanto descritto da Planché nella sua autobiografia, infatti, il genere dell’extravaganza necessita di un lieto fine e, conseguementemente, del ricongiungimento dei protagonisti.

La seconda strofa viene cantata da Medea, che si rivolge ai suoi figli utilizzando una serie di vezzeggiativi quali “mammy pammy” (GoldF, p. 41) o “coachee poachee” (GoldF, p. 41) che restituiscono l’immagine di una madre tenera ed amorevole, che stride con quella della madre lucidamente infanticida che segna la conclusione dei testi classici. Ella sostiene di poter essere convinta dagli spettatori ad astenersi dalla fuga se “To keep the peace, and give us too / This merry house to bide in” (GoldF, p. 41). Il termine ‘peace’, se sostituito con l’omofono ‘piece’, fa sì che la frase assuma una connotazione metateatrale, volta ad esprimere non solo l’esigenza che il pubblico riporti la pace tra Giasone e Medea, ma anche quella che esso manifesti il proprio coinvolgimento nel ‘pezzo’, nell’opera teatrale. Alla voce di Medea si sovrappone, dunque, quella dell’attrice Madame Vestris che palesa la necessità che la platea si mostri ‘merry’, per poter continuare a recitare in The Golden Fleece. Dopo il ritornello del coro, Giasone reitera le richieste appena formulate da Medea e, nella strofa finale, tutti i personaggi inneggiano alla conquista del vello d’oro e, parallelamente, alla rappresentazione di The Golden Fleece con le parole “But with Jason and his crew, / The Golden Fleece take pride in” (GoldF, p. 42). Solo con l’approvazione degli astanti, chiamati a “Say you wish us all to stay” (GoldF, p. 42), gli attori saranno nuovamente scritturati per mettere in scena l’opera.

Infine, una didascalia descrive l’immagine del sipario che cala, mentre Medea vola a bordo del suo carro e Giasone rimane sul palcoscenico assieme al coro.

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Conclusioni

- La metateatralità.

Lo scopo di James Robinson Planché, nel portare in scena l’extravaganza di argomento classico The Golden Fleece, è quello di criticare le convenzioni del teatro greco, reintrodotte sui palcoscenici britannici del diciannovesimo secolo con la performance dell’Antigone di Mendelsshon (1845).

Per concretizzare il suo disegno, Planché intesse un discorso di carattere metateatrale, volto a mettere in luce i limiti e le assurdità generate dall’applicazione dei precetti del teatro classico a un’opera drammatica ottocentesca. Il personaggio attraverso cui si articola tale riflessione è il coro che, sin dall’inizio, pare sovvertire gli schemi della tragedia classica: composto da un unico membro di sesso maschile, il coro non entra in scena al momento della parodo, ma pronuncia il prologo, una meditazione autoreferenziale in cui enuncia i benefici della sua presenza, da individuarsi nella sua funzione esplicativa e nel suo ruolo di confidente dei personaggi. Con lo svolgersi dell’extravaganza, però, si assiste ad una progressiva ed ironica svalutazione di entrambi i compiti affidatigli. Il coro dovrebbe illustrare i significati dell’opera non immediatamente comprensibili al pubblico e, invece, si dilunga spesso nella chiarificazione di dettagli insignificanti. Ad esempio, egli ricorda come l’attore James Bland interpreti sia il ruolo di re Creonte che il ruolo di Eeta, quando nell’elenco delle Dramatis Personae è già stata fornita l’informazione. In maniera analoga, il coro si mostra incapace di assolvere alla sua funzione di consigliere. Chiamato da Medea a esprimere la propria opinione in merito al tradizionale conflitto interiore, che la vede divisa tra l’amore filiale e quello per Giasone, il coro viene interrotto in ogni tentativo di formulare una frase. La ridondanza degli interventi di natura esplicativa e la vacuità dei consigli a malapena abbozzati rendono il coro una presenza superflua.

Il ruolo del coro, però, è solo uno degli elementi del teatro classico da cui Planché trae spunti comici. Nella prefazione al testo di The Golden Fleece, Planché giustifica

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la scelta che lo vede optare per un unico fondale dipinto ricordando come la tragedia greca prevedesse l’utilizzo di scene fisse. Vista l’assuefazione del pubblico contemporaneo alla visione di scenografie spettacolari, l’autore dell’extravaganza sceglie, ironicamente, di suggerirne la presenza scrivendo “splendid pictorial effects” (GoldF, p. 10) in maiuscolo.

Allo stesso modo, il coro di The Golden Fleece riflette sulla pratica tradizionale che prevede che le azioni più violente vengano relegate al di fuori dalla scena. Affidate al racconto di nunzi o canalizzate nelle grida, le azioni che si svolgono segretamente, dietro le quinte del teatro, emblematizzano, secondo il coro, la quintessenza del popolo greco, dedito all’arte della menzogna, dell’inganno, del doppiogioco. La metateatralità della riflessione del coro assume un ruolo preponderante, quindi, nel caratterizzare Giasone come perfetto rappresentante dei suddetti vizi e disvalori. Infine, l’exodos, che prevede l’apparizione di Medea vittoriosa a bordo del carro del Sole, viene arricchito da considerazioni di natura metateatrale: piuttosto che ritrarre la fuga della protagonista, il finale mette in scena l’invito al suo ritorno, per il quale è necessaria l’approvazione degli spettatori. Esortati dai personaggi a decretare il successo di The Golden Fleece, i fruitori dell’opera sono direttamente coinvolti nel finale come i veri ed ultimi responsabili della scritturazione della compagnia di attori, di Planché e delle personalità coinvolte nella rappresentazione.

Planché osserva i dettami del teatro classico in maniera critica, con la consapevolezza delle necessità e delle esigenze del pubblico ottocentesco. Sulla scia della moda introdotta dall’Antigone, l’autore dell’extravaganza si adegua al modus operandi dei drammi classici, servendosi dei suoi precetti in modo tale da far risaltare l’assurdità dell’adozione immotivata di tali convenzioni. Traspare, così, un intento di denuncia della leggerezza con cui drammaturghi, manager e spettatori si accostano al teatro classico, da non concepirsi come una dispensa di precetti da adottare in maniera dogmatica, ma come prodotto culturale di una determinata società ed epoca storica a cui attingere con giudizio e moderazione.

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- L’intertestualità.

In The Golden Fleece si inscrive una fitta rete di richiami intertestuali che innestano parallelismi e contrasti con opere appartenenti ai generi più disparati. Meritano attenzione, in primo luogo, i rimandi ai generi musicali: Planché alterna canzoni e ballate popolari, arie d’opera lirica e composizioni di musica classica per cui scrive o riadatta testi. Mai lasciata al caso, l’inclusione delle suddette melodie sembra rispondere ad una logica precisa volta a mettere in luce i significati dell’extravaganza. Le canzoni marinaresche, ad esempio, hanno la funzione di attualizzare il ritratto degli eroi classici, che vengono trasformati in marinai del diciannovesimo secolo. In maniera simile, le melodie tratte dalle opere di Rossini permettono all’autore di lasciar presagire le conseguenze funeste dell’amore di Giasone e Medea. La giustapposizione di generi musicali ‘colti’ e popolari genera una commistione ironica di melodie eterogenee, che Planché eredita dagli autori di burlesque e ‘burlette’ del secolo precedente.

L’autore di The Golden Fleece attinge, in secondo luogo, sia al repertorio di drammi e poesie appartenenti al patrimonio culturale britannico sia ai testi classici greci e latini. Si è osservato l’inserimento di citazioni tratte da opere di Shakespeare, come Julius Ceasar, Hamlet e Troilus and Cressida, e dalla poesia di Byron Maid of Athens, Ere we Part. Esse vengono estrapolate dal contesto originario, talvolta modificate e utilizzate per istituire contrasti ironici. Esemplare, in questo senso, è l’attribuzione della meditazione di Amleto, condensata nel verso “to be or not to be” (III, 1, 56), al personaggio di Medea: l’intensità drammatica del precedente shakespeariano viene depotenziata dall’applicazione paradossale della riflessione ad un oggetto triviale, ossia l’intenzione di Medea di infliggere ai figli una punizione corporale.

Di natura più complessa è il rapporto che l’extravaganza di Planché intrattiene con i testi classici. Concepita come una riscrittura del mito di Medea, l’opera è direttamente connessa a Le Argonautiche di Apollonio Rodio e alla Medea di Euripide. Le due fonti classiche forniscono l’impianto generale seguito da Planché nel narrare la vicenda, l’una a fondamento del primo atto e l’altra del secondo. Il quadro viene

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arricchito dall’inserimento di echi delle Metamorfosi e delle Heroides di Ovidio e della Medea di Seneca. Planché preserva alcuni passi degli ipotesti sopracitati riproducendoli in maniera pressoché letterale, come il monologo della nutrice che funge da prologo nella tragedia euripidea o la descrizione dell’incantamento del drago posto a guardia del vello d’oro proposta da Apollonio Rodio.

Altri passi vengono, invece, modernizzati dall’autore: è questo il caso della narrazione della morte di Pelia, che non viene ucciso dall’incantesimo di una Medea maga, ma dalle prescrizioni di un medico ottocentesco. Medea, come la protagonista della tragedia di Euripide, è ritenuta erroneamente responsabile dell’omicidio, perché detentrice di una saggezza che, in The Golden Fleece, viene identificata con conoscenze medico-scientifiche all’avanguardia. Allo stesso modo, la tradizionale separazione di Medea e Giasone, in seguito al tradimento di quest’ultimo, viene attualizzata in un divorzio contemporaneo. Questo procedimento permette da un lato di sortire un effetto comico generato dalla coesistenza dell’immaginario classico e di quello contemporaneo, dall’altro di introdurre una riflessione sulle questioni che animano la società britannica ottocentesca. Il fatto che la sophia di Medea sia tramutata in delle conoscenze in campo medico ha per effetto l’introduzione di una considerazione riguardante l’accoglimento del sapere scientifico nella Gran Bretagna del diciannovesimo secolo. Allo stesso modo, i riferimenti al divorzio si connettono ai dibattiti contemporanei che porteranno all’approvazione del Divorce and Matrimonial Causes Act (1857)1.

Planché si discosta in maniera radicale dalle fonti classiche nel momento in cui sceglie di rendere Medea innocente e cancellare il crimine dell’infanticidio. Tutte le modifiche che allontanano l’extravaganza dai testi della tradizione sono infatti funzionali a suscitare l’empatia con la protagonista, a minimizzarne le colpe e, conseguentemente, ad enfatizzare le responsabilità di Giasone. È con questo scopo che, nel primo atto di The Golden Fleece, Planché gioca con una serie di anticipazioni e ritardi che alterano lo svolgersi delle vicende dipinto da Le Argonautiche: Giasone si innamora per primo di Medea e, con accortezza, la giovane attende la formulazione

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della promessa di matrimonio per consegnargli il filtro magico che lo aiuterà nella conquista del vello d’oro. In maniera simile, il ricongiungimento dei protagonisti, in seguito al superamento delle prove imposte da Eeta, viene posticipato: Giasone, inizialmente presentatosi con spavalderia, attende Medea affinché ella proceda ad incantare il drago, abbandonandosi allo sconforto e manifestando così la sua vigliaccheria.

Nel secondo atto, poi, sono disseminate una serie di modifiche che cancellano i tradizionali crimini di Medea, che non è coinvolta né nell’omicidio del fratello Assirto né nell’uccisione di Pelia. Planché prevede che l’eroina sia colpevole dell’assassinio di Glauce e Creonte, ma sottolinea come sia il comportamento di Giasone a scatenare la sua furia vendicatrice. Giasone, come nella tradizione, è l’eroe immemore delle promesse fatte all’amata e, pertanto, traditore sia della parola data che del vincolo matrimoniale. Egli abbandona la moglie, costringendola a fronteggiare sofferenze e