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1.3 F ENOMENOLOGIA E SCIENZA

1.3.3 Un compito pratico infinito

Quando sarà Foucault a confrontarsi con la novità offerta dalla fenomenologia husserliana e con il rapporto che quest’ultima è riuscita a intessere con la speculazione francofona coeva e successiva, egli insisterà precisamente sul tentativo di Husserl di fondare una scienza a partire dall’ego cogito, suggerendo che si debba fondamentalmente a questa direzione di indagine, di stampo illuminista, l’impatto che la fenomenologia ha avuto in suolo francese:

Se, dopo un lungo periodo in cui fu tenuta al guinzaglio, la fenomenologia ha finito a sua volta per affermarsi, questo è probabilmente avvenuto dal giorno in cui Husserl, nelle Meditazioni cartesiane e nella Crisi, ha posto la questione dei rapporti tra il progetto occidentale di una manifestazione universale della ragione, la positività delle scienze e la radicalità della filosofia139.

Proprio perché l’interesse per il sistema, il rapporto con la storia e l’interrogazione sul fondamento sono tratti distintivi del Novecento francese, Husserl diviene, in tale contingenza, un interlocutore

135 Ivi, p. 77.

136 Ivi, p. 105.

137 E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 209.

138 Ibid.

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privilegiato; sarà infatti proprio a partire dai suoi testi, e in particolare dalle Meditazioni cartesiane, che la Francia rilancerà il dibattito filosofico intorno alla possibilità stessa della scienza al tempo della sua dismissione, facendo propria la lotta all’approccio ingenuo al mondo per una metafisica a venire. Derrida esprime precisamente questo aspetto quando insiste sulla continuità tra fenomenologia e progetto metafisico (esplicitata dallo stesso Husserl in conclusione alle Meditazioni cartesiane), specificando naturalmente che si tratta di una forma «degenerata nel corso della sua storia»140, «perché all’interno dell’eidos più universale della storicità spirituale, la conversione della filosofia in fenomenologia sarebbe l’ultimo stadio di differenziazione (stadio, cioè Stufe, piano strutturale o tappa

genetica)»141. E proprio il riferimento all’Idea in senso kantiano offrirebbe, per Derrida, l’apertura

che caratterizza il progetto di Husserl, il nodo inscindibile tra genesi e struttura e la dimostrazione definitiva della non contraddittorietà di questi due concetti e, di conseguenza, il sodalizio strettissimo tra tre aspetti dell’interrogazione filosofica:

La presenza alla coscienza fenomenologica del Telos o Vorhaben, anticipazione teoretica infinita che si dà simultaneamente come compito pratico infinito, è indicata ogni volta che Husserl parla dell’Idea

in senso kantiano. […] Poiché il Telos è completamente aperto, è l’apertura stessa, dire che è il più

potente a priori strutturale della storicità, non è designarlo come un valore statico e determinato che informerebbe e imprigionerebbe la genesi dell’essere e del senso. È la possibilità concreta, la nascita stessa della storia e il senso del divenire in generale. È quindi strutturalmente la genesi stessa, come origine e come divenire142.

Il Telos è propriamente il «movimento infinito del pensiero»143 nel mondo-della-vita, e il suo risvolto

pratico è la riaffermazione di quella tensione etica che vede nell’approfondimento dell’interrogazione sulla ragione il solo sinonimo di umanità. Tale recupero non avviene però nella forma dello schema dialettico, ma è decisamente più affine alla direzione indicata da Heidegger quando sostiene che la fenomenologia si incarica di far vedere «ciò che in maniera straordinaria resta al coperto o torna a

vedersi o si mostra solo “in modo spostato”»144, e che per sua essenza costituisce al contempo

l’essenza e il fondamento di ciò che si mostra. In altre parole, il sistema come idea regolativa (in

140 J. Derrida, «Genesi e struttura» e la fenomenologia, cit., p. 216.

141 Ibid.

142 Ivi, pp. 216-217.

143 Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, tr. di A. De Lorenzis, Einaudi, Torino 1996, pp. 90-91: «Husserl diceva che i popoli, anche nell’ostilità, si raggruppano in tipi che hanno un “proprio luogo” territoriale e una parentela familiare, come per esempio in India; ma solo l’Europa, malgrado le rivalità delle sue nazioni, potrebbe proporre a sé e ad altri popoli “un incitamento a europeizzarsi sempre di più”, producendo un apparentamento globale dell’umanità in Occidente, come già accadde una volta in Grecia. Tuttavia si fa fatica a credere che sia l’avanzata “della filosofia e delle scienze co-incluse” a spiegare questo privilegio di un soggetto trascendentale propriamente europeo. È necessario dunque che il movimento infinito del pensiero, quello che Husserl chiama Telos, entri in congiunzione con il grande movimento relativo del capitale che non cessa di deterritorializzarsi per assicurare la potenza dell’Europa su tutti gli altri popoli e la loro riterritorializzazione sull’Europa».

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senso kantiano) di Husserl rilancia l’interrogazione intorno all’articolazione tra genesi e struttura su cui il post-strutturalismo non smetterà di interrogarsi. Occorre inoltre specificare che, per quanto sia stato brillantemente sottolineato come l’a priori storico foucaultiano si costruisca progressivamente in opposizione all’«a priori storico e concreto» di Husserl, è innegabile il ruolo fondamentale che il rinnovamento husserliano della precedente concettualizzazione kantiana, già presente nelle Origini

della geometria, ha assunto per la speculazione di Foucault145. Il debito è comunque riconosciuto

implicitamente dal filosofo di Poitiers, il quale descrive l’importanza che la lettura di Husserl ha avuto in Francia già a partire dagli anni trenta lungo due direzioni fondamentali, tra cui quella degli epistemologhi, ai quali egli si sente più prossimo per intenzioni e metodi:

Pronunciate nel 1929, riviste, tradotte e pubblicate poco dopo, le Meditazioni cartesiane hanno ben presto costituito la posta in gioco di due letture possibili: una che, nella direzione di una filosofia del soggetto, cercava di radicalizzare Husserl e non avrebbe tardato a misurarsi con le questioni di Essere

e tempo: è l’articolo di Sartre su La trascendenza dell’Ego del 1935; l’altra, che risalirà ai problemi

fondanti del pensiero di Husserl, quelli del formalismo e dell’intuizionismo; saranno, nel 1938, le due tesi di Cavaillès sulla Méthode axiomatique e su La formation de la théorie des ensembles. Qualunque possano essere state, in seguito, le ramificazioni, le interferenze, anche i riavvicinamenti, queste due forme di pensiero hanno costituito in Francia due trame che sono rimaste, almeno per un certo tempo, profondamente eterogenee. Apparentemente, la seconda è rimasta, allo stesso tempo, più teorica, più ancorata a dei compiti speculativi e anche più distante dagli interrogativi politici immediati. E, tuttavia, è quella che, durante la guerra, ha preso parte, e in modo molto diretto, alla lotta, come se la questione del fondamento della razionalità non potesse essere dissociata dall’interrogazione sulle condizioni attuali della sua esistenza. È quella che, nel corso degli anni sessanta, ha avuto una parte decisiva in

145 Cfr. L. Paltrinieri, «A priori storico, archeologia, antropologia: suggestioni kantiane nel pensiero di Michel Foucault», in Studi kantiani XX, Fabrizio Serra Editore, Pisa – Roma 2008, pp. 73-97, in particolare pp. 85-86: «Husserl vuole slegare il trascendentale da quell’a priori naturalistico e psicologistico cui Kant l’aveva connesso, finendo così per fondare

l’indagine trascendentale sull’empirico, ovvero sulla costituzione antropologica della ragione umana. Il passaggio

attraverso Husserl è necessario per capire cosa Foucault conserva dell’a priori kantiano allorché lo storicizza, e cosa invece abbandona. Proprio Husserl infatti aveva parlato di “a priori storico” nell’Origine della geometria, in un senso che Foucault doveva necessariamente conoscere. Husserl voleva comprendere l’origine delle oggettualità ideali tematizzate dalla geometria e a questo scopo si trattava di spiegare il loro passaggio dalla soggettività dell’inventore (i proto-fondatori della geometria) a quell’”essere persistente” che le fa valere per chiunque in tutte le epoche. […] in nessun caso, secondo Husserl, si trattava di fare una “storia empirica” della geometria ma di rivelarne una temporalità intrinseca, una storicità trascendentale. Contro Kant, per il quale i concetti non hanno storia, Husserl sosteneva che la scienza geometrica è una formazione di senso vivente e progressiva che si erge sui sedimenti delle precedenti produzioni, la cui costruzione graduale e sistematica è possibile grazie al riattivamento continuo delle evidenze originarie. […] In breve, l’a priori storico di Husserl è l’a priori universale della storia, una struttura essenziale e generale propria di ogni presente storico, passato o futuro, per la quale siamo originariamente disposti in una dimensione in cui tutto è storico: non è l’a priori ad essere

storico, ma è la storicità universale che ha la sua origine in una struttura apriorica. L’a priori universale assoluto si

presenta allora come una struttura invariabile, “costantemente implicita nell’orizzonte fluente-vivente”: è la sfera spazio-temporale delle forme che viene assunta come evidente nell’idealizzazione permettendo così ad una formazione ideale di “essere compresa, tramandata e riprodotta nel suo identico senso intersoggettivo in qualsiasi futuro e da tutte le generazioni umane”. […] Al contrario, Foucault non cerca di fondare una storicità trascendentale attraverso un’evidenza originaria, ma di pensare un a priori che si modifica nel corso del tempo».

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una crisi che non coinvolgeva semplicemente l’Università, ma lo statuto e il ruolo del sapere. Ci si può domandare perché un simile tipo di riflessione si sia trovato seguendo la sua logica peculiare, così profondamente legato al presente146.

Da una parte, dunque, la domanda sempre aperta di Husserl conduce, data l’insistenza sull’ego come punto di partenza dell’interrogazione, a una indagine intorno al senso di questo domandare come un chiedere qualcosa a qualcuno, come uno spazio di ambiguità teoretica tra soggetto e oggetto nella richiesta, o, per usare le parole di Heidegger, tra chiesto, inchiesto e richiesto. Dall’altra, si apre un orizzonte che sarebbe per Foucault peculiare alla pratica filosofica francofona, e che quindi proprio per questa ragione, sebbene inaugurata da Cavaillès, non può essere terreno esclusivo dei logici (altrimenti non si capirebbe il senso della frase di apertura del testo La vita: l’esperienza e la scienza, che esordisce con «tutti sanno che in Francia esistono pochi logici, ma che vi è stato un numero considerevole di storici delle scienze»147). Da una parte, quindi, l’interrogazione insiste sul trascendentale come tensione teoretica e pratica specifica per il superamento della metafisica in direzione di una antropologia; dall’altra, si annuncia una rinuncia a tale contenitore, ritenuto superfluo o addirittura dannoso, e una nuova postura filosofica si afferma in regioni storicamente poco note alla pratica teoretica. In entrambi i casi, la fenomenologia che entra in Francia è interpretata in chiave realista e anti-idealista e può per questo divenire cantiere di lavoro per la giovane sinistra parigina, che si riscalda al grido di battaglia «alle cose stesse!».