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2. IL SISTEMA

3.4 D ELEUZE

3.4.1 Critica empirica

Deleuze è stato un pensatore dell’univocità dell’essere e al contempo delle molteplicità irriducibili, uno storico della filosofia e un traditore seriale dei retaggi teorici, un pensatore del proprio tempo e un dichiarato inattuale, è stato filosofo da solo e lo è stato forse ancora di più in due. Queste caratteristiche lo rendono lo hapax assoluto del panorama teorico con il quale si confronta, all’interno del quale egli è senz’altro il filosofo più classico e insieme il più radicale. Innanzitutto, perché è stato l’unico della sua generazione disposto ad assumere su di sé tale definizione, in un momento in cui l’eredità congiunta del marxismo e del pensiero nietzschiano sembravano sconfessare la possibilità stessa di essere filosofi, se non come un accidente legato al fatto di non esserlo. In secondo luogo (e di conseguenza), perché la sua filosofia è l’unica a fare i conti con la dimensione ontologica e con la storia del pensiero filosofico disinteressandosi di ogni questione intorno alla fine o alla chiusura della metafisica. Che la sua filosofia sia una ontologia, significa innanzitutto che non è una antropologia: in merito alle questioni inerenti alla natura umana, egli converge infatti con la critica foucaultiana al soggetto di stampo cartesiano e alle sue evoluzioni. Inoltre, nella nota recensione al volume Logica ed esistenza del maestro Jean Hyppolite, Deleuze specificherà che non solo «la filosofia, se ha un significato, non può che essere un’ontologia», ma che si tratta in particolare di una «ontologia del

senso»492. La spiegazione che segue aiuta a inquadrare la questione:

Nell’empirico e nell’assoluto, è lo stesso essere ed è lo stesso pensiero; ma la differenza tra il pensiero e l’essere è superata nell’assoluto ponendo l’Essere identico alla differenza e che, come tale, si pensa e si riflette nell’uomo. Questa identità assoluta tra l’essere e la differenza si chiama senso493.

Alla strategia hegeliana, che vede esclusivamente nella possibilità della differenza di raggiungere l’assoluto, dunque nella contraddizione, la possibilità dell’identità con l’Essere, Deleuze oppone una ontologia della differenza che legge nella contraddizione un aspetto meramente antropologico della differenza, e che ritiene che solo una teoria dell’espressione in cui «la differenza è l’espressione stessa, e la contraddizione il suo aspetto soltanto fenomenico»494 sia la prospettiva filosofica adatta a coglierne la potenza. Ne segue una filosofia che si rivolge ad ogni spazio del pensiero, una filosofia che si occupa di letteratura e di scienza, che interroga la pittura, il teatro e il cinema, che si riscopre nella linguistica e nella psicoanalisi, che guarda agli autori consacrati dalla storia della filosofia e a quelli rifiutati, senza offrire priorità di sorta all’uno o all’altro aspetto, quasi si trattasse di diversi attributi in senso spinoziano che offrono la possibilità di cogliere, ognuno per la sua strada, il senso

492 Cfr. G. Deleuze, «Jean Hyppolite, Logica ed esistenza», in Id. L’isola deserta, cit., p. 13.

493 Ivi, pp. 13-14.

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dell’univocità, dell’identità dell’essere e della differenza. Nel condurre queste analisi, Deleuze ritiene che occorra partire, per quanto possibile, dal concreto: alle monografie di carattere squisitamente filosofico dedicate a quelle che per Deleuze sono state ecceità del pensiero (Hume, Nietzsche, Bergson, Spinoza, Leibniz, Kant, Foucault) si alternano analisi rivolte all’opera di singoli artisti (Sacher-Masoch, Bacon, Kafka, Proust) e considerazioni di ordine più generale intorno a una precisa forma di espressione del pensiero (letteratura, cinema, psicoanalisi). Questo perché la scrittura, essendo per Deleuze una forma del divenire impersonale, non è per questa ragione diversa dal vedere o dal sentire, dunque da quelle dimensioni della soggettività che, se prese nella loro complessità, portano inevitabilmente alla contestazione di qualunque forma di identità in senso classico. È da queste che occorre dunque ripartire, allo scopo di svelare «la grande differenza tra suddividere uno spazio fisso tra individui sedentari seguendo dei paletti o degli steccati, e suddividere delle singolarità in uno spazio aperto senza steccati né proprietà»495. Tutta l’attenzione di Deleuze è rivolta al mantenersi insieme di tali singolarità, pur mantenendole nella loro differenza. Questa necessità, così posta, risolve per così dire naturalmente la questione della strategia filosofica da adottare nel corso di una tale ricerca: sin dai suoi primissimi testi infatti Deleuze si risolve in favore di un empirismo, bestia nera del panorama filosofico francese a lui contemporaneo (come si è visto, per esempio, nelle critiche esplicite di Foucault e Derrida). A questa preziosa indicazione non bisogna rinunciare, né nella valutazione degli attraversamenti teorici che Deleuze propone, né nell’analisi di quel secondo movimento, contemporaneo al primo, nel corso del quale Deleuze inventa e sviluppa i propri concetti496: l’essenziale non è infatti il classificare, ma il descrivere. Si tratta, in fondo, di un antidoto al rischio, sempre presente in campo epistemologico, e forse in particolare in filosofia, di costruire un sistema a partire dall’idea che se ne ha, ossia di ricalcare l’empirico sul trascendentale. L’importanza dell’insistenza deleuziana sulla dimensione empirica è stata colta nella sua pienezza dal Nobel per la chimica Ilya Prigogine, il quale ha dedicato a Deleuze una sezione non indifferente della voce «Sistema», redatta per l’Enciclopedia Einaudi nel 1982:

In Différence et répétition Gilles Deleuze ha mostrato che non occorrevano meno risorse congiunte del pensiero scientifico e della tradizione dei pensieri ontologici per evitare di ridurre il passaggio dal molecolare al molare, come anche dal virtuale all’attuale e dal differenziato al distinto, a una semplice

495 G. Deleuze, «Gilles Deleuze parla di filosofia», in Id. L’isola deserta, cit., p. 177.

496 François Zourabichvili è particolarmente chiaro a questo riguardo. Cfr. F. Zourabichvili, Le vocabulaire de Deleuze, Ellipses, Paris 2003, p. 3 : « « À la lettre » : quel auditeur de Deleuze n’a pas gardé le souvenir de cette manie de langage ? Et comment, sous son insignifiance apparente, ne pas entendre le rappel inlassable et presque imperceptible d’un geste qui sous-tend toute philosophie de la « disjonction incluse », de l’ « univocité » et de la « distribution nomade » ? Les écrits, de leur côté, témoignent partout de la même mise en garde insistante : ne prenez pas pour métaphores des concepts qui, malgré l’apparence, n’en sont pas ; comprenez que le mot même de métaphore est un leurre, un pseudo-concept, auquel se laissent prendre en philosophie non seulement ses adeptes mais ses contempteurs, et dont tout le système des « devenirs » ou de la production du sens est la réfutation».

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deduzione. Processi di attualizzazione, differenziazione, produzione di effetti di significazione, formazione di grandi insiemi organici e sociali, nessuna teoria generale viene promessa o schizzata, s’impara solamente a decifrare quel trabocchetto generale che in particolare Bergson aveva chiamato il «movimento retrogrado del vero», e Deleuze il décalc, la spiegazione per riferimento a una realtà concepita ad immagine e somiglianza di ciò che è da spiegare497.

Ammesso che possa ancora darsi un sistema, quest’ultimo non può essere considerato come «un ideale a priori di conoscenza»; si annuncia qui il nucleo teorico fondamentale dell’alleanza, apparentemente bizzarra, che Deleuze stringe tra Bergson e Nietzsche. Nella monografia dedicata a quest’ultimo, egli si impegna a mostrare, e ancora una volta Prigogine non manca di sottolinearlo, come la teoria dell’eterno ritorno critichi precisamente i modi della fisica di fare sistema (il meccanicismo e la termodinamica), nei quali le differenze vengono ridotte nella forma dell’identico

o dell’indifferenziato498; in Differenza e ripetizione poi, Deleuze si preoccuperà di mostrare come la

ripetizione proposta dall’eterno ritorno ripete non solo contro le generalità della natura, ma anche contro quelle della morale. Questa differenza essenziale si trova nel diverso rapporto che il concetto intreccia con il suo oggetto: per Deleuze, il sistema è l’oggetto. Occorre muoversi sul piano dell’empirismo dunque, dove però per empirismo non bisogna intendere una analisi dell’esperienza vissuta, bensì la vita in senso pieno (quella vita che, nell’ultimo testo di Deleuze, sarà preceduta dall’articolo indeterminativo), impersonale, contestazione anticipata di ogni soggettivismo, in favore di un sistema sempre aperto alla creazione concettuale. Va da sé che tale operazione, senz’altro antidialettica, è al contempo antifenomenologica, proprio perché rifiuta ogni legittimità all’analisi coscienziale. La concezione deleuziana del soggetto, pur inserendosi all’interno della cornice delle riflessioni a lui contemporanee su tale tema, e condividendone i tratti essenziali, si imbeve però di elementi humiani, nietzschiani e bergsoniani, il tutto in una direzione intravista dal primo Sartre - e

senza mancare di omaggiare Hyppolite499, generando un amalgama difficilmente identificabile in

497 I. Prigogine, Voce «Sistema», in Enciclopedia, Einaudi, Torino 1982, p. 1014.

498 Cfr. G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, tr. it. di F. Polidori, Einaudi, Torino 2002, pp. 69-70: «La scienza, aa seconda del punto di vista in cui si colloca, afferma o nega l’eterno ritorno. Ma l’affermazione meccanicistica dell’eterno ritorno e la sua negazione termodinamica hanno in comune l’ipotesi di una conservazione dell’energia entro una prospettiva tale per cui le quantità di energia non solo danno una somma costante, ma annullano le proprie differenze. Nei due casi, si passa da un principio di finitezza (somma costante) a un principio “nichilistico” (annullamento delle differenze di quantità la cui somma risulta costante). L’idea meccanicistica afferma l’eterno ritorno presupponendo che le differenze di quantità si compensino o si annullino tra lo stato iniziale e quello finale di un sistema reversibile. Lo stato finale è identico allo stato iniziale, il quale è posto come indifferenziato in rapporto agli stati intermedi. Viceversa, l'idea termodinamica nega l’eterno ritorno in quanto scopre che le differenze di quantità si annullano, in funzione delle proprietà del calore, soltanto allo stato finale del sistema, di modo che l’identità, posta allo stato finale indifferenziato, si contrappone alla differenziazione dello stato iniziale. Le due concezioni sono accomunate da una medesima ipotesi, secondo la quale vi sarebbe uno stato finale, un essere o un nulla, un essere o un non-essere egualmente indifferenziati: “espresso in termini metafisici: se il divenire potesse sfociare nell’essere o nel nulla…” [F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, p. 164 (VP, II, 329)]. Per questo il meccanicismo non riesce a postulare l’esistenza dell’eterno ritorno più di quanto la termodinamica non riesca a negarla; ambedue non colgono nel segno e ricadono nell’indifferenziato e nell’identico».

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termini di filiazione o eredità teorica. Occorre dunque abbandonare da subito tentativi di tal sorta e procedere nell’analisi diretta dei testi.