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2. IL SISTEMA

2.4 S ISTEMA E TOTALITÀ

2.4.5 Nietzsche ha detto “noi”

Nella misura in cui l’indagine intorno al sistema si traduce in una riflessione sulla genesi, sulla possibilità di una seconda origine o natura e su un pensiero non lineare del tempo, la figura di Nietzsche svolge un ruolo fondamentale all’interno di quel movimento, influenzandolo fortemente e offrendo delle soluzioni prima impensate e impensabili. Consacratasi con i testi di Klossowski, Deleuze, Foucault e Derrida, la questione dell’eredità nietzschiana si era già affacciata in Francia in forma affermativa attraverso la lettura di Bataille, autore il cui percorso eclettico permette di osservare l’intensità di certi rimaneggiamenti, il cui scopo è individuare concetti adeguati per il presente e per l’avvenire. La lettura che quest’ultimo offre di Nietzsche, riconducibile a una vera e propria esperienza del pensiero nietzschiano più che di un tentativo di tipo interpretativo, ha infatti il vantaggio di mettere in luce diversi aspetti del pensiero nietzschiano che saranno poi giocati esplicitamente contro la dialettica e contro il sistema in senso hegeliano. Nel suo Su Nietzsche, Bataille attribuisce a Nietzsche un obiettivo che il giovane Marx non avrebbe esitato a fare proprio: a suo avviso infatti, il problema fondamentale che Nietzsche ha vissuto e che ha cercato di risolvere, è quello dell’uomo totale, definito esclusivamente dalla sua piena libertà. Nell’ambito della cornice hegeliana degli studi portati avanti con Kojève durante gli intensi anni del seminario parigino, Bataille ha senz’altro avuto modo di apprezzare le difficoltà teoriche presentate dalla teoria kojèviana sulla fine dell’uomo, e in particolare del limite di un pensiero che si accontenti di una ontologia dualista rimandandone la genesi a un momento a venire. La riflessione intorno all’uomo totale diventa da una parte l’istanza fondamentale che porta a sottrarsi al dominio esclusivo della dimensione razionale, denunciata come astrazione appunto da Feuerbach e da Marx, e dall’altra la risposta a priori a ogni tentativo di dualismo speculativo, per sottrarsi al quale occorre sfuggire al dominio della storia. Il contributo nietzschiano è allora per Bataille quello di aver indicato la strada per sbarazzarsi della storia, dunque in ultima istanza di una visione lineare del tempo e di una teleologia la cui realizzazione è sempre in nuce. L’uomo totale sarebbe infatti in Nietzsche colui il quale non pensa più gli istanti della propria vita secondo una sequenza che vede nella realizzazione di una azione l’affermazione della libertà individuale, ma chi al contrario rinuncia all’azione proprio perché sa che il singolo fine è già una limitazione della propria libertà. Attraverso Nietzsche, si afferma quindi per Bataille il pensiero dell’immanenza: «in fondo l’uomo integrale è solo un essere in cui si annulla la

trascendenza»329. La differenza inserita dal punto di vista del rapporto con il tempo cambia dunque la

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condizione ontologica dell’uomo che vi si affaccia, facendo sì che ogni istante sia in se stesso fine; è proprio su questo piano che si gioca la possibilità di un sistema dell’immanenza, che sia radicalmente diverso da tutti i sistemi330. Per quanto questa prospettiva rischi di avvicinarsi alla celebrazione di una forma di irrazionalismo, critica rivolta da Lukács a Nietzsche, Bataille prova ad affrontare la questione dal punto di vista della presunta opposizione tra senso e non-senso, proprio per sottrarla alla dicotomia razionale/irrazionale:

Se voglio realizzare la mia totalità nella coscienza, devo riferirmi alla immensa, comica, dolorosa convulsione di tutti gli uomini. Questo movimento va in tutti i sensi. Certo, un’azione sensata (diretta da uno scopo preciso) attraversa questa incoerenza, ma proprio tale azione dà all’umanità del mio tempo (come a quella del passato) l’aspetto frammentario. Se dimentico per un istante questo senso dato, vedo piuttosto la somma shakespeariana tragicomica delle bizzarrie, delle menzogne, dei dolori e delle risate; la coscienza di una totalità immanente si fa luce in me, ma come una lacerazione: l’intera esistenza è situata al di là di un senso, è la presenza cosciente dell’uomo nel mondo in quanto egli è

non-senso, e non ha altro da fare se non essere quello che è, non potendo più superarsi, attribuirsi un

qualunque senso nell’azione. Questa coscienza di totalità si riferisce a due modi opposti di usare un’espressione. Non-senso è di solito una semplice negazione, si dice di un oggetto che bisogna sopprimere. L’intenzione che rifiuta ciò che è privo di senso è infatti il rifiuto di essere totali, per questo rifiuto noi non abbiamo coscienza della totalità dell’essere in noi. Ma se dico non-senso con l’intenzione contraria di cercare un oggetto libero di senso, non nego nulla, enuncio la affermazione nella quale tutta la vita si illumina infine nella coscienza. Ciò che va verso questa coscienza di una totalità, verso questa totale amicizia dell’uomo verso se stesso, è giustamente ritenuto in fondo mancante di serietà331.

Il tema nietzschiano dell’oblio come forza attiva ritorna in queste pagine come un nuovo invito a spogliarsi della trascendenza, il cui esito immediato è la rimozione della presunta dicotomia soggetto-oggetto in favore di un movimento di affermazione che non ha in sé più nulla della Aufhebung hegeliana. Calcando la critica di Marx a Hegel, Bataille propone quindi la demistificazione della tensione razionalistica che vorrebbe occuparsi del reale alienandone in partenza l’aspetto materiale, perdendo così sin dal principio la possibilità di accedere all’uomo totale. Se il primo movimento verso l’uomo totale rischia di far scivolare nella follia, è semplicemente perché la perdita del riferimento morale al bene e di quello epistemico alla ragione (o senso) crea smarrimento, proponendo una

330 Il riferimento di Bataille al ruolo di questa diversa prospettiva sulla temporalità sul concetto di sistema è esplicito. Cfr. G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 43: «Non si dimentichi che gli istanti sono, da tutti i sistemi, considerati e assegnati come mezzi: ogni morale dice: “ciascun istante della vostra vita sia motivato”. Il ritorno toglie il motivo all’istante, libera la vita dai fini e con questo, in primo luogo, la rovina. Il ritorno è il modo drammatico e la maschera dell’uomo totale: è il deserto dell’uomo per il quale ogni istante si trova ormai immotivato».

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immagine della ripetizione che disorienta il soggetto tradizionale. Nietzsche però, «dicendo noi»332,

ha aperto questo spazio di possibilità per l’avvenire; le prime pagine de la Genealogia della morale, con l’utilizzo della prima persona plurale, invitano infatti alla ricerca del noi, quanto di più ignoto a noi stessi (inversione del proverbio di Terenzio), fuori dal nostro pretenderci uomini della conoscenza, offrendo come primo esempio di questa nuova modalità proprio il significato da

attribuire ai rintocchi di una campana333, caso paradigmatico del succedersi degli istanti. Ecco che la

formula “time is out of joint”, tratta dall’Amleto, e che sarà abbondantemente ripresa in seguito (un esempio tra tutti, da Deleuze nelle sue lezioni su Kant) diventa la descrizione del tempo della chance, la cui origine semantica comune a echéance rivela già la pericolosità. La chance è infatti in Bataille ciò che, cadendo, ac-cade, un altro nome per il lancio di dadi di Nietzsche o di Mallarmé; la chance incontra inoltre l’istanza marxiana nella forma di una “economia generale” anti-utilitaristica all’interno della quale ogni limite è stato sorpassato, dove le martingale sono state sostituite, appunto,

dal tempo dalla chance, senza la quale «gli uomini sarebbero quello che sono»334, e all’interno della

quale la dépense, in contrapposizione all’utilità, è la nozione chiave. Se l’economia della perdita non è stata correttamente individuata e pensata, è proprio perché un appannaggio di ordine utilitaristico-morale ha coperto gli occhi di una umanità che quotidianamente si imbatte nell’autosabotaggio,

negandone però la sensatezza, quindi ogni forma di ragionevolezza, nell’ordine economico335. Inizia

così a emergere l’idea secondo la quale il concetto di chance sul quale Bataille insiste sia precisamente la dimensione del possibile, dove il possibile non è il contrario dell’impossibile, come si è già avuto

332 Ivi, p. 49.

333 F. Nietzsche, Genealogia della morale, tr. it. F. Masini, Adelphi, Milano 2008, p. 3: «Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi; è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel giorno, trovare? Non a torto è stato detto: “Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore”; il nostro tesoro è là dove sono gli alveari della nostra conoscenza. A questo scopo siamo sempre in cammino, come animali alati per costituzione, come raccoglitori di miele dello spirito, e soltanto un’unica cosa ci sta veramente a cuore – “portare a casa” qualcosa. Del resto, per quanto riguarda la vita, le cosiddette “esperienze” – chi di noi ha anche soltanto una sufficiente serietà per queste cose? O abbastanza tempo? A questo proposito temo che non si sia mai stati veramente “dentro la faccenda”: appunto non abbiamo là il nostro cuore – e neppure il nostro orecchio! A somiglianza, invece, di un uomo divinamente distratto o sprofondato in se stesso, cui la campana, con i suoi dodici rintocchi di mezzodì ha or ora a più non posso rintronato le orecchie, il quale si risveglia di soprassalto e si chiede: “Che razza mai di rintocchi sono questi?”, anche noi talvolta ci stropicciamo, troppo tardi, le orecchie e ci chiediamo, estremamente stupiti e perplessi: “Che cosa abbiamo allora veramente vissuto?” o più ancora: “Chi siamo noi in realtà?” e ci mettiamo a contare, troppo tardi – come si è detto – tutti i dodici vibranti rintocchi di campana della nostra esperienza, della nostra vita, del nostro essere – ahimè! E sbagliamo il conto…Restiamo appunto necessariamente estranei a noi stessi, non ci comprendiamo, non possiamo fare a meno di confonderci con altri, per noi vale in eterno la frase: “Ognuno è a se stesso il più lontano” – non siamo, per noi, “uomini della conoscenza”…».

334 G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 127.

335 Cfr. G. Bataille, «La nozione di dépense», in Id., La parte maledetta, tr. it. di F. Serna, Bertani, Verona 1972, p. 42: «La parte più apprezzabile della vita è data come condizione – talvolta perfino come la spiacevole condizione – dell’attività sociale produttiva. Vero è che l’esperienza personale, trattandosi di un uomo giovanile, capace di sprecare e di distruggere senza ragione, smentisce ogni volta questa concezione miserabile. Ma nello stesso tempo in cui egli si prodiga e si distrugge senza tenerne in minimo conto, chi è più lucido ignora il perché, o si immagina malato; è incapace di giustificare utilitaristicamente la propria condotta, e non gli viene mai l’idea che una società umana possa avere, come lui, interesse a perdite considerevoli, a catastrofi che provochino, in conformità a bisogni definitivi, tumultuose depressioni, crisi di angoscia e, in ultima analisi, un certo stato orgiastico».

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modo di apprezzare nel rapporto tra senso e non senso, ma una tensione che anima il reale verso ciò che è ritenuto l’impossibile stesso:

Dalle numerosissime difficoltà della vita deriva una possibilità infinita: noi attribuiamo a quelle che ci hanno fermato il sentimento di impossibile che ci domina! Se crediamo l’esistenza intollerabile, dipende dal fatto che un male preciso la svia. E lottiamo contro questo male. L’impossibile è eliminato se è possibile la lotta. Se pretendiamo il culmine, non possiamo considerarlo raggiunto. Sento invece la necessità di dire – tragicamente? forse…: «L’impotenza di Nietzsche è senza scampo». Se la

possibilità ci è data nella chance – non quella ricevuta dal di fuori, ma quella che siamo, giocando e sforzandoci fino all’ultimo, non c’è evidentemente nulla di cui possiamo dire: «sarà possibile così».

Non sarà possibile, ma giocato. E la chance, il gioco, presuppongono in fondo l’impossibile336.

La chance è dunque la possibilità, già messa in conto da Nietzsche, che «le cose possano stare per

loro in tutt’altro modo»337, dove questo tutt’altro modo si definisce in base a un diverso rapporto tra

idealità e realtà, in cui sarà finalmente quest’ultima a trionfare sulla prima. Ne segue una necessaria riformulazione dei concetti di verità e di valore, come Nietzsche ha insegnato a fare attraverso la confutazione delle ipotesi storicamente infondate e psicologicamente contraddittorie in favore di una attenzione specifica per le metamorfosi concettuali, rintracciabili, di preferenza, nel linguaggio. Si crea così l’effetto paradossale di ottenere tramite la critica nietzschiana alla morale dello schiavo, al ressentiment, una eco della denuncia marxiana di storpiatura del reale in favore dello spirituale/razionale di Hegel, in cui «la morale degli schiavi dice fin dal principio no a un “di fuori”,

a un “altro”, a un “non io”: e questo no è la sua azione creatrice»338. L’uomo mediocre sente se stesso

come culmine339, perdendo così ogni possibile accesso a quella chance che sola gli offrirebbe la possibilità di raggiungere l’immanenza, che non è altro, in ultima istanza, che questo culmine

immediato e spirituale340. L’immanenza diviene allora il nome dell’impossibile, per accedere al quale

336 G. Bataille, Su Nietzsche, cit., p. 138.

337 F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 14: «se è lecito desiderare, quando non è possibile sapere, mi auguro di cuore che le cose possano stare per loro in tutt’altro modo – che questi indagatori e microscopisti dell’anima siano in fondo coraggiosi, magnanimi e superbi animali, capaci di tenere a freno il loro cuore al pari del loro dolore ed educati a sacrificare ogni idealità alla verità, a ogni verità, perfino alla semplice, aspra, brutta, ripugnante, non cristiana, amorale verità…Poiché siffatte verità esistono».

338 Ivi, p. 26.

339 Cfr. F. Nietzsche, Genealogia della morale, cit., p. 32: «Che cosa determina, oggi, la nostra ripugnanza per l’”uomo”? – poiché è dell’uomo che noi soffriamo, non v’è dubbio. – Non il timore, ma piuttosto il fatto che non c’è più nulla da temere nell’uomo; che il verminaio “uomo” è in primo piano e brulica; che l’”uomo mansuefatto”, l’uomo inguaribilmente mediocre e fastidioso ha imparato a sentire se stesso come meta e culmine, come senso della storia, come “uomo superiore”».

340 Cfr. G. Bataille, Su Nietzsche, cit., pp. 182-183: «1° Il culmine intravisto nell’immanenza annulla per definizione certe difficoltà sollevate a proposito degli stati mistici (o almeno degli stati che della trascendenza conservano i moti di terrore e tremore, considerati nella critica dei “culmini spirituali”): - l’immanenza si riceve, non è il risultato di una ricerca; è interamente dalla parte della chance (ed è secondario il fatto che, in certi campi in cui si moltiplicano i procedimenti intellettuali, non si possa istituire una prospettiva netta, purché esista un momento decisivo); - l’immanenza è contemporaneamente, in un moto indissolubile, culmine immediato, poiché è da ogni parte rovina dell’essere, e culmine

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le regole del discorso filosofico devono, necessariamente, andare incontro al proprio sovvertimento. A questo punto del percorso speculativo è ormai evidente che l’istanza kantiana è stata completamente sovvertita: se una riflessione intorno al sistema è ancora possibile, quest’ultima non verrà da una ulteriore insistenza sulla ragione, bensì, al contrario, dal considerare la ragione come una delle diverse componenti del sistema stesso.