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1.3 F ENOMENOLOGIA E SCIENZA

1.3.2 Noli foras ire

In apertura delle Meditazioni cartesiane, Husserl aveva infatti caratterizzato la fenomenologia come

un Neu-Cartesianismus112, formula che intende sottolineare proprio l’importanza rivoluzionaria di

110 Cfr. J.-P. Sartre, La trascendenza dell’ego, tr. it. di R. Ronchi, Marinotti Edizioni, Milano 2011, p. 30.

111 Ivi, pp. 30-31.

112 Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, in E. Husserl, Meditazioni cartesiane e I discorsi parigini, tr. it. di F. Costa, Bompiani, Milano 1960, p. 45: «Il maggior pensatore francese, Renato Cartesio, ha dato con le sue meditazioni un nuovo impulso alla fenomenologia; mediante lo studio di quest’opera si è invero contribuito molto a trasformare la fenomenologia, la quale è ancora in fase di sviluppo, in una sorta di filosofia trascendentale. Si potrebbe anzi dire, per ciò, che la fenomenologia è un neocartesianesimo, sebbene essa sia costretta a negare quasi tutto il contenuto dottrinale comunemente noto della filosofia cartesiana, ma appunto in virtù di uno sviluppo radicale dei motivi cartesiani». Cfr.

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una visione della filosofia come «scienza universale»113 che non cerchi il proprio fondamento in un

trionfante oggettivismo naïf, ma che al contrario cambi radicalmente la propria direzione di marcia volgendosi verso una soggettività trascendentale («eine radikale Wendung vom naiven Objectivismus zum transzendentalen Subjektivismus»). Tale cambiamento di paradigma si basa sull’idea secondo la quale il fondamento di una filosofia che si voglia universale possa essere esclusivamente l’ego cogito, ossia una posizione di autoriflessione che porti, come suo primo momento, alla confutazione di ogni presupposto non fondato. Questo non vuol dire che l’epoché fenomenologica intenda sopprimere l’esistenza del mondo esterno, ma al contrario che per suo tramite sia possibile assegnare a quest’ultimo la giusta collocazione a partire dall’unico possibile giudizio formulabile sui dati

immediati che l’esperienza fornisce: i fenomeni in questione sono inseriti nel mio vivere-il-mondo114.

Il senso e il valore d’essere dell’ego sono dati dal vivere coscienziale, in cui il mondo intero e l’ego come soggettività sono posti. Cartesio ha inaugurato questa possibilità, salvo poi cedere alla tentazione di trasformare l’ego in substantia cogitans, impedendosi così, secondo Husserl, di giungere alla vera filosofia trascendentale115. L’errore cartesiano consiste nell’aver appiattito la dimensione trascendentale sul piano dell’esistenza naturale, trascurando dunque la priorità logica della dimensione trascendentale sul piano ontico; affinché la fondazione della filosofia come scienza sia una fondazione assoluta, occorre che il fondamento acceda al piano oggettivo. Solo così la riduzione fenomenologica assume i tratti di una riduzione trascendentale, e diventa infine possibile passare

dalla «mia esperienza psicologica di me»116 all’«esperienza di sé trascendentale-fenomenologica»117.

Di Cartesio, si mantiene quindi «la tendenza scientifica verso l’universalità», ossia l’idea che la scienza si distingua dal senso comune per la sua costante ricerca di verità che siano valide per tutti

anche E. Husserl, I discorsi parigini, in E. Husserl, Meditazioni cartesiane e I discorsi parigini, cit., p. 3 «Nessun filosofo del passato ha arrecato contributi così decisivi al senso della fenomenologia quanto il maggior pensatore francese, Renato Cartesio. È lui che la fenomenologia deve riverire come proprio patriarca. Lo studio delle Meditazioni cartesiane, sia detto espressamente, ha avuto veramente una influenza diretta sulla ricostituzione della fenomenologia nascente, poiché le ha dato quel senso e quella forma che ha tuttora e che le permette di denominarsi “nuovo cartesianesimo”, cartesianesimo del XX secolo».

113 Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 46.

114 Cfr. E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 65: «L’epochè, come può anche dirsi, è il metodo radicale ed universale per il quale io colgo me stesso come io puro e con la mia propria vita di coscienza pura, nella quale e per la quale è per me l’intero mondo oggettivo, nel modo appunto in cui esso è per me. Ogni cosa mondana, ogni essere spazio-temporale è per me – ciò vuol dire vale per me, e proprio in modo che io lo esperisca, lo percepisca, me ne ricordi, ne pensi qualcosa, lo giudichi, lo valuti, lo desideri ecc.».

115 E. Husserl, I discorsi parigini, cit., pp. 9-10: «è questo purtroppo che capita a Cartesio in quella svolta del suo pensiero, che potrebbe sembrare insignificante ma che è piena di insidie, che fa dell’ego la substantia cogitans, l’animus umano separato, punto di partenza per ragionamenti di causalità, quella svolta, in breve, per la quale egli è divenuto il padre di quel controsenso che è il realismo trascendentale. Noi ci terremo discosti da tutto ciò, se ci manterremo fedeli al radicalismo proprio della presa del senso di sé [Selbstbesinnung] e, insieme, al principio della intuizione pura, in modo che non lasciamo valer nulla che noi non abbiamo effettivamente ed anzi in modo del tutto immediato posto sul campo dell’ego cogito, apertoci dalla epoché, ed in modo che non veniamo ad esprimere null’altro di ciò che abbiamo noi stessi

veduto».

116 E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 70.

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gli uomini e che non si sottraggano a continua verifica, ma la sua proposta filosofica viene radicalizzata:

Se la scienza, come essa stessa deve finire per ammettere, non riesce a portare a compimento un sistema di verità assolute ed è costretta a modificare sempre di nuovo le sue “verità”, essa deve pur tuttavia andar dietro all’idea della verità assoluta o scientificamente vera e propria e vivere al di dentro di un infinito orizzonte di approssimazioni che convergono verso l’idea stessa. Con queste approssimazioni, essa intende di potere oltrepassare in un processo all’infinito la conoscenza banale [Alltagserkennen] ed andare oltre se stessa. Ma può far ciò anche perché essa mira alla universalità sistematica della conoscenza, sia riferita ad un certo territorio scientifico chiuso, oppur riferita ad una presupposta unità totale dell’ente in generale, se è questione di una filosofia e della sua possibilità. Secondo l’intenzione, quindi, all’idea della scienza e della filosofia appartiene un ordine conoscitivo

che va dalle conoscenze in sé anteriori alle conoscenze in sé posteriori. V’è quindi infine un principio

ed un seguito che non può essere arbitrariamente scelto, ma che è fondato sulla natura stessa delle cose118.

Ecco che il nuovo cartesianesimo si afferma come movimento di ricerca e di messa in questione costante animato dall’aspirazione alla «costituzione di una scienza posta sotto l’idea di un sistema

definitivamente valido di conoscenze»119. Pur restando fedele alla soggettività trascendentale come

fondamento della scienza, l’apoditticità dell’ego cogito è messa in questione da Husserl, il quale procede non più dall’identità dell’io sono, ma da «una universale struttura apodittica di esperienza dell’io»120, prendendo così le distanze dall’ambito psicologico per accedere al nuovo orizzonte conoscitivo inaugurato, per l’appunto, dalla dimensione del trascendentale. Husserl sottolinea inoltre che, se esperito trascendentalmente, l’ego stesso è già di per sé un campo di lavoro sterminato; non si può infatti proseguire cartesianamente dall’apoditticità dell’ego cogito in direzione di una catena sillogistica, pena il rischio di mancare clamorosamente il lato oggettivo, che pure è presente in ogni cogitatio. Si giunge così alla prima regola fondamentale della fenomenologia husserliana:

Ogni momento di coscienza in generale [Bewusstseinserlebnis] è in se stesso coscienza di questo o quest’altro, comunque stia mai la cosa riguardo al giusto colore di realtà effettiva di quest’ente oggettivo [Gegenständliches] e comunque possa io mai, nel mio atteggiamento trascendentale, astenermi da questo o quest’altro atto di valutazione naturale. Il significato trascendentale dell’ego cogito deve essere quindi arricchito di un nuovo elemento: ogni cogito, o come anche diciamo, ogni

118 Ivi, pp. 56-57.

119 Ivi, pp. 58-59.

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momento di coscienza “intende” [meint] qualcosa e porta in se stesso il suo eventuale cogitatum nel modo di ciò che è «in-teso»121.

Ogni momento di coscienza ha quindi in sé il proprio oggetto nel modo che gli è proprio, sia esso percezione, ricordo, giudizio, valutazione e così via, e proprio a partire da questo legame essenziale con l’oggetto che le appare la coscienza diviene coscienza intenzionale. Correlativamente, è precisamente grazie alla nozione di intenzionalità, per Sartre, che «Husserl ha reinserito l’orrore e

l’incanto nelle cose»122, proprio perché, sfuggendo all’astrazione rappresentata dalla presunzione del

per sé, ha finalmente rinsaldato il legame tra res cogitans e res extensa, procedendo così a una vera e propria rivoluzione filosofica. Husserl ha infatti affermato la possibilità di fondare una scienza a partire dall’esperienza, a patto però di procedere a una critica serrata e radicale che non cada nella tentazione di rivolgersi alla sensibilità o all’interiorità, ma che acceda al piano dei fondamenti essenziali. Si apre così il campo trascendentale dell’esperienza, la cui condizione di possibilità resta, come visto, l’ego cartesiano, perché è proprio a partire dall’ego che ogni descrizione diviene possibile; tuttavia, per accedervi, occorre rivolgersi in primo luogo al cogitatum. Non deve dunque sorprendere che sia proprio a partire da un esempio particolare che Husserl individua la caratteristica essenziale della coscienza: in questa fase iniziale delle descrizioni fenomenologiche, in cui non si dà

ragione della differenza tra un modo dell’intuizione e un altro, l’«oggetto intenzionale come tale»123

di ciascuna coscienza è precisamente l’unità immanente di quei diversi modi di coscienza. L’oggetto qualsiasi che appare alla coscienza diviene dunque per la coscienza stessa, che resta condizione necessaria del suo apparire, «guida trascendentale», polo nord che orienta la sintesi intenzionale a livello noetico e noematico. Si dà qui la cifra distintiva dell’esperienza fenomenologica rispetto all’esperienza naturale, ossia l’indistinguibilità tra la coscienza che intende e ciò che essa intende, dove in ciò che essa intende è presente non solo l’individualità esperita, ma l’insieme di un orizzonte esterno ed interno al dato, un continuo, sebbene parziale, rapportarsi a una totalità. Non solo quindi le molteplicità coscienziali costitutive, ossia «quelle che debbono, realmente o possibilmente, portarsi all’unità della sintesi nello stesso ente», pervengono a tale unità in forma organica e non rapsodica sulla base di fondamenti essenziali, ma «ogni oggetto, ogni oggetto in generale, anche se immanente, designa una struttura di regole dell’io trascendentale». Prendendo le mosse dall’oggetto individuale, la ricerca fenomenologica riesce a strapparsi dalla contingenza della singola apparizione per affrontare il piano universale delle condizioni di tale apparire nella coscienza, assumendo su di sé il compito di esporre sistematicamente la «teoria della costituzione trascendentale dell’oggetto in

121 Ivi, p. 79.

122 J.-P. Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, in F. Fergnani, P. A. Rovatti (a cura di), Materialismo e rivoluzione, Milano, Il Saggiatore, 1977, p. 142.

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generale»124. Riflettendo su tale incedere però, la coscienza scopre che anche l’oggetto soggettivo

può divenire guida delle ricerche costitutive, aprendo esplicitamente l’interrogazione sul vivere dell’ego, sul suo scorrere e sulle sintesi che lo contraddistinguono; estendendo poi l’analisi dal singolo oggetto, sia esso soggettivo o oggettivo, reale o potenziale, all’insieme degli oggetti possibili che chiamo mondo, si giunge ad affermare che «il mondo è un problema universale egologico e parimenti, considerato secondo una direzione pura immanente dello sguardo, esso è l’intera vita della coscienza nella sua temporalità immanente». La mutua appartenenza di mondo e coscienza, se opportunamente connessa a quanto detto sull’esperire della coscienza, apre alla fondamentale indicazione che chiude la seconda meditazione:

Tutto ciò preannunzia una sintesi costitutiva universale in cui esplicano la loro funzione tutte le sintesi con un ordine ben determinato, ed in cui perciò tutte le oggettività possibili e reali come tali sono comprese assieme in quanto esistono per l’io trascendentale; correlativamente, ciò vale per tutti i modi di coscienza possibili e reali. Noi potremmo anche dire che qui si annunzia un compito immane, che è poi quello stesso di tutta la fenomenologia trascendentale, compito per il quale, nell’unità di un totale ordinamento sistematico e sotto la guida mobile di un sistema di tutti gli oggetti d’una coscienza possibile, (sistema che deve essere elaborato per gradi), ed in tanto del sistema delle categorie formali e materiali degli oggetti, tutte le ricerche fenomenologiche debbono essere eseguite come ricerche

costitutive corrispondenti, e quindi costruite in connessione tra di loro strettamente sistematica.

Diciamo meglio, piuttosto, che si tratta qui di una idea regolativa infinita. Il sistema, presupposto in una anticipazione evidente, di tutti gli oggetti possibili come tali, come oggetti di una coscienza possibile, è pur esso una idea (non però una invenzione, un “come se”) e ci pone sotto mano un principio per connettere tra di loro le teorie costitutive relativamente compiute, in quanto esso rivela costantemente non solo gli oggetti della coscienza, ciascuno entro il proprio orizzonte, ma anche gli orizzonti che indicano qualcosa all’esterno [nach aussen…verweisenden] ossia che mirano alle forme essenziali di connessione125.

Tale esterno è quindi da intendere più nella forma di un confine conoscitivo che si estende in proporzione al nostro esperire il mondo che come un limite al di là del quale si troverebbe un qualcosa come un in sé indipendente dal me126. La posta in gioco si rivela qui essere la possibilità, a partire dal

124 Ivi, p. 98.

125 Ivi, pp. 100-101.

126 Sulla questione del Fuori della fenomenologia, cfr. R. Ronchi, Introduzione, in J.-P. Sartre, La trascendenza dell’ego, cit.. Dopo aver presentato l’argomento husserliano e averlo confrontato con le considerazioni del giovane Sartre, Ronchi prosegue l’analisi facendo sua la posizione di Meillassoux ed esplicitando le ragioni del suo consenso in proposito. Cfr. ivi, p. 20: «Ma la coscienza- intenzionalità di Husserl porta veramente nel Grande Fuori del mondo? Permette veramente quella fondazione del materialismo assoluto che era la posta in gioco della Transcendance e la ragione della sua dedica conclusiva ai “teorici di estrema sinistra”? Oppure il Fuori al quale si accede grazie all’intenzionalità è quel dehors

claustral, stigmatizzato da Quentin Meillassoux nel suo bellissimo libro sul superamento del moderno? “La coscienza e

il suo linguaggio – egli scrive – si trascendono certo verso il mondo, ma non si dà mondo se non per una coscienza che vi si trascenda”. Il fuori cui accediamo grazie al s’eclater vers dell’intenzionalità è un fuori che io direi claustrofobico ed

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sistema come idea regolativa, di indagare i problemi costitutivi non più esclusivamente dell’oggetto intenzionale in generale, ma quelli della ragione e della realtà effettiva, dove la ragione è «l’espressione di una universale forma strutturale essenziale della soggettività trascendentale in

generale»127 e «rimanda alle possibilità della conferma, e quest’ultima in fine rimanda al

farsi-evidente ed allo avere-in-evidenza»128. Si delinea così il progetto di stampo illuministico al quale Nizan e il gruppo dei giovani militanti francofoni anelavano: una critica serrata della ragione «logica e pratica» che permetta alla filosofia di diventare finalmente scienza. Che il manifesto husserliano La filosofia come scienza rigorosa e La trascendenza dell’ego di Sartre debuttino ambedue con un riferimento – polemico ‒ esplicito al Kant della Critica della ragion pura sembra confermare l’importanza di tale aspetto programmatico. Inoltre, ne La filosofia come scienza rigorosa, si pone esplicitamente, sempre in apertura, la questione del sistema:

Una simile convinzione va espressa ancora una volta con decisione e onestà, e proprio in queste pagine, agli esordi della rivista «Logos», che intende dare testimonianza di una significativa svolta della filosofia e preparare il terreno al futuro «sistema» della filosofia. Infatti, evidenziando con decisione la non scientificità di tutta la filosofia precedente, si solleva subito la questione se la filosofia voglia ancora in futuro mantenere lo scopo di essere scienza rigorosa, se essa possa e debba volerlo. Che cosa dovrà significare per noi la nuova «svolta»? Forse l’abbandono dell’idea di una scienza rigorosa? E quale significato dovrà avere per noi quel «sistema» che desideriamo e che ci deve illuminare come ideale nelle profondità del nostro lavoro di ricerca? Un «sistema» filosofico in senso tradizionale, quasi una Minerva, che nasca perfetta e armata dalla testa di un genio creatore per venire poi conservata nelle epoche successive accanto ad altre Minerve simili nel silenzioso museo della storia? Oppure un sistema filosofico che, dopo l’imponente lavoro preparatorio di generazioni, incominci veramente dal basso su fondamenta indubitabili e si innalzi come ogni buona costruzione in cui si pone su di una solida base, conformemente a principi guida, pietra dopo pietra, ciascuna solida quanto l’altra?129 Con questa mossa retorica Husserl sembra doppiare proprio la distinzione tra esprit systématique ed esprit de système tipica dell’Illuminismo, arricchendola però, in entrambe le direzioni, con l’implicita necessità di prendere in considerazione anche il fatto storico: si avrà infatti, da una parte, il museo

ossessivo perché non si dà mai senza l’accompagnamento di una coscienza-Ego che lo illumina con i suoi Ichstrahlen. In ogni nostro esodo intenzionale siamo sempre accompagnati da noi stessi. Non ci dimentichiamo mai veramente di noi. È come se non cessassimo mai di scrivere compulsivamente la nostra autobiografia mentre viviamo. Esercizio sfinente, perché il polo vivente precede sempre di un passo il polo riflesso, ed esercizio deprimente perché ci impedisce di accedere a quella meravigliosa sensazione di libertà che Sartre nella Transcendance de l’Ego (e in tanti altri luoghi della sua opera) descrive quando parla della felice smemoratezza di sé che prende il lettore che legge appassionatamente (oppur, che è lo stesso, che prende l’uomo che ama appassionatamente) e che è tutt’uno con lo spettacolo che gli si apre davanti, senza “fare coppia”, senza guardarsi leggere, senza guardarsi amare e senza guardarsi guardare mentre legge, ama e guarda. Il mondo per il fenomenologo – ma, direi, il mondo per i “moderni” – è invece sempre per una coscienza».

127 E. Husserl, Meditazioni cartesiane, cit., p. 104.

128 Ibid.

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delle Minerve, quindi la sclerosi, l’incomunicabilità di strutture troppo rigide e date arbitrariamente una volta per tutte e, dall’altra, il lavoro delle generazioni, quindi l’aspetto affermativo, l’istanza di progresso, la collaborazione delle menti per uno scopo più alto. È proprio a partire da questa seconda direzione di ricerca che Husserl può tracciare una breve storia del pensiero sistematico attraverso le

sue svolte, individuate innanzitutto nella «consapevole volontà di scienza rigorosa»130 della filosofia

socratico-platonica, poi nella rivoluzione scientifica e infine nella filosofia di Kant e di Fichte. Al contrario, il romanticismo avrebbe invece rinunciato, dal suo punto di vista, alla fondamentale critica della ragione, ottenendo presso i propri seguaci ed eredi «l’effetto sia di un indebolimento sia di una falsificazione dell’impulso alla costituzione della rigorosa scienza filosofia»131. In particolare, l’hegelismo ha determinato le tendenze della filosofia contemporanea, contribuendo sostanzialmente

quindi a diffondere quelle tensioni del pensiero che Husserl combatte, in particolare il naturalismo132,

lo storicismo133 e la filosofia della Weltanschauung134. Rispetto allo storicismo, e in parte anche alla filosofia della Weltanschauung, si critica la tendenza ad archiviare ogni esito speculativo come una formazione spirituale contingente, posizione che rende semplicemente impossibile la costruzione di una scienza esatta; Husserl obietta invece che «da ragioni storiche possono essere tratte soltanto

130 Ivi, p. 9.

131 Ibid.

132 Le obiezioni rivolte contro il naturalismo sono due: la naturalizzazione della coscienza e la naturalizzazione delle idee. Husserl mostra che il suo esito speculativo non può sottrarsi allo scetticismo, mancando quindi la possibilità di costruire una scienza esatta.

133 Come nel caso del naturalismo, Husserl mostra che anche lo storicismo cade inevitabilmente in uno scetticismo. Cfr. E. Husserl, Filosofia come scienza rigorosa, cit., p. 75: «È facile vedere che lo storicismo, portato fino alle sue ultime conseguenze, conduce all’estremo soggettivismo scettico. Le idee verità, teoria, scienza perderebbero, come tutte le idee, la loro validità assoluta. Che un’idea è valida significherebbe che essa è una formazione fattuale dello spirito che è ritenuta valida e che determina il pensiero in questa fatticità del valere. Non vi sarebbe validità pura e semplice o “in sé”, la quale è ciò che è anche se nessuno può realizzarla ed anche se nessuna umanità potesse mai nella storia realizzarla. Quindi