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2. IL SISTEMA

2.3 S ISTEMA E SCIENZA

2.3.1 Questioni epistemologiche

Debitore dell’impianto teoretico di Koyré, e in particolare dell’idea secondo la quale lo studio della storia del pensiero è uno sforzo necessario per potersi occupare di episteme, luogo all’interno del quale si mostra in tutta la sua forza che il reale non è il razionale, perché l’irrazionale ne fa

intimamente parte237, Foucault prosegue l’analisi di questo mantenere insieme nel corso dei suoi studi

da archeologo. Un esempio particolarmente esemplificativo a tal proposito è proprio il succitato Le parole e le cose, testo pubblicato nove anni dopo Dal mondo chiuso all’universo infinito di Koyré, e il cui successo in Francia fu immediato e strepitoso. L’archeologia foucaultiana va infatti alla ricerca delle condizioni di possibilità del conosciuto attraverso una scissione del sinolo illuminista tra episteme e razionalità. Alla perfettibilità del modo della conoscenza, Foucault oppone la discontinuità dell’interpretazione della «esperienza nuda dell’ordine»238. Il progetto risulta il pendant teorico di Storia della follia: condividendone la metodologia, non si concentra più sull’analisi dell’individuazione storica dell’Altro ma, al contrario, sullo studio della determinazione del

Medesimo239. Anche in questo campo d’indagine verrà individuata una cesura prima tra Rinascimento

ed età classica, poi tra età classica ed età moderna, le cui conseguenze sono, ci dice Foucault, ancora in atto. Fino alla fine del Cinquecento infatti è la somiglianza a giocare un ruolo dominante nella costruzione del sapere in Occidente, specialmente attraverso le figure della convenientia (prossimità spaziale ed adeguamento a tale condizione), della aemulatio (riflesso e imitazione), della analogia (irradiazione), della simpatia/antipatia (conciliazione/lotta); griglia che può essere applicata sulle cose in virtù della «segnatura», ossia dell’elemento che le contraddistingue e che permette alla prima somiglianza descritta di emergere. A ben guardare però la segnatura stessa non è altro che un nuovo ordine di somiglianza, necessario per riconoscere il primo, dal quale tuttavia si distingue per l’elemento che trattiene come rilevante: «la segnatura e ciò che essa indica sono esattamente di uguale

237 A. Koyré, Filosofia e storia delle scienze, cit., pp. 50-51: «Essa [la storia del pensiero scientifico] si presenta a noi non già come una cronologia di scoperte o, inversamente, come un catalogo di errori, graveyard of forgotten theories, ma come la storia di un’avventura straordinaria, quella dello spirito umano che persegue ostinatamente, malgrado le costanti sconfitte, un obiettivo impossibile da raggiungere, quello della comprensione, o meglio, della razionalizzazione del reale. Storia nella quale, per questo stesso motivo, gli errori, i fallimenti, sono tanto istruttivi, tanto interessanti e anche tanto degni di rispetto quanto lo sono i successi. Successi sempre parziali, poiché – penso di non aver bisogno di insistere su questo punto – secondo Meyerson la razionalizzazione del reale, cioè a dire la scoperta di uno strato di realtà più profonda, più stabile, più omogenea, che si sostituisce alla trama variopinta e cangiante dei fenomeni, non può riuscire che parzialmente. Il reale non è razionale, in quanto appunto è reale, e l’irrazionalità – la qualità, la molteplicità, il cambiamento – non può essere espunta da questo mondo. L’ideale perseguito dal pensiero, quello della riduzione del diverso all’identico – è in questo che, per Meyerson, consiste la ragione, o, per dirla con gli antichi, la riduzione dell’Altro all’Identico – è impossibile e contraddittoria, perché dovrebbe possedere ad un tempo la trasparenza del Nulla e la “massività” dell’Essere».

238 M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 11.

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natura; non obbediscono che ad una legge di distribuzione diversa; il ritaglio è lo stesso»240. La somiglianza è quindi la cifra dell’universale, ermeneutica e semiologia insieme. Si delinea così la nozione di microcosmo, una tensione verso l’identico che deve molto al neoplatonismo e che opera come garanzia di coerenza in un orizzonte più ampio, il quale però sarà, per definizione, finito. Per raggiungere questo scopo, magia e divinazione non sono affatto disdegnate. Sul piano del rapporto con il testo scritto, ossia del confronto con l’auctoritas, l’erudizione pre-seicentesca viene definita in termini affini a quelli utilizzati per descrivere la divinazione, con l’unica differenza che l’una cerca il segno in quei testi che la tradizione ha salvato mentre l’altra si concentra sulla natura. Il procedimento complementare di interpretazione del testo e della natura innerva la conoscenza rinascimentale e, prendendo in prestito una celebre espressione hegeliana, si potrebbe persino dire che il loro insieme svela «la rete adamantina» del mondo:

Tra segni e parole non corre la differenza che esiste tra osservazione e autorità accettata, o tra il verificabile e la tradizione. C’è ovunque lo stesso gioco, quello del segno e del simile, ed è per questo che la natura e il verbo possono intersecarsi all’infinito, costituendo per chi sa leggere come un gran testo unico241.

Il grande libro della natura galileiano è quindi significativo di questa Weltanschauung, ma solo a patto di considerarne anche la premessa implicita che Foucault lascia emergere, ossia l’attribuzione di una forma di materialità alle parole, o meglio la tendenza a trattarle come se avessero in sé una materialità non dissimile da quella degli enti. Nascono così i progetti enciclopedici, la cui mira è precisamente quella di ristabilire l’ordine del mondo attraverso la disposizione delle parole, e si impone il ruolo centrale della scrittura, marca del Rinascimento, che a tratti sembra precedere ontologicamente l’oralità. Il testo già scritto e non enunciabile viene interpretato e commentato nel tentativo di rivelarlo nella sua compiutezza, sebbene il risultato sia, ancora una volta, una molteplicità di discorsi che si destreggia in un compito infinito. L’ultimo eroe di questa visione del mondo è Don Chisciotte, che non fa altro che cercare nella realtà la verità dei libri letti proprio attraverso il gioco delle somiglianze. Il mulino a vento fa segno a Don Chisciotte in direzione di un simile, e se l’associazione non è immediata per gli altri o addirittura suscita la loro derisione è solo perché sulle cose agisce l’incantesimo che maschera il Medesimo, anch’esso descritto nei libri: Don Chisciotte si avvia così verso la propria progressiva trasformazione in libro, unico luogo all’interno del quale la sua verità

sarà al sicuro. Fiero «garante della funzione dell’omosematismo»242, egli diviene il precursore di ogni

follia a venire. Il cambio di paradigma è manifesto: il gioco delle somiglianze passa dall’essere

240 Ivi, p. 43.

241 Ivi, p. 48.

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criterio conoscitivo ad essere relegato a tentazione ingannevole di una immaginazione selvaggia. Di lì a poco la sentenza cartesiana, riportata da Foucault, dichiarerà inappellabile la condanna della conoscenza per similitudine. Non solo: nelle Regulae ad directionem ingenii Cartesio si confronta con l’epistemologia aristotelica e ne demolisce uno dei capisaldi, ossia l’indipendenza di ogni scienza dalle altre (ex allou genous metabanta, non è possibile dimostrare passando da un genere a un altro); ne segue che i principi di una scienza non si deducono per Cartesio dagli enti che quest’ultima ha per oggetto, ma possono essere ricondotti a una sola scienza, l’umana sapienza. Ecco che l’uomo moderno, riscopertosi più platonico che aristotelico, diffida della datità, ne mette persino in dubbio, sebbene per un attimo, l’esistenza; il suo obiettivo non è più quello di estrapolare dagli oggetti che esamina un ordine, ma di stabilire tra loro quell’unico ordo coerente all’identità a se stesso del cogito. In altre parole, il confronto tra enti non viene abbandonato, ma lo si fa rispondere alle esigenze dell’identità (del pensiero) e della differenza (della datità); proseguendo dal semplice al complesso, la conoscenza si separa dalle cose per aderire alle leggi dell’intelletto, confrontando solo ed esclusivamente secondo la misura e l’ordine, e la rappresentazione assume un ruolo centrale. Ne emerge una tensione che non abbandonerà la filosofia moderna:

L’idea che esista effettivamente una “scienza superiore a tutte”, la metafisica, i cui principi fungono da presupposto di quelli di tutte le altre scienze; unita all’esigenza di svincolare questa scienza dalla struttura diaporetica del testo aristotelico, per trattarla in modo autonomo, privilegiando l’ordo

doctrinae; sommata, infine, all’idea che tale ordo non dipenda dagli oggetti ai quali tale scienza si

rivolge, ma dall’umana sapienza in sé, la quale resta sempre unica e medesima; tutto ciò attesta la crescente tensione della filosofia verso un modello di sapere scientifico unificato e totalizzante, ovverosia, secondo il termine che gli stessi moderni eleggeranno, verso un sistema243.

Tra le conseguenze che ne derivano, troviamo la separazione tra storia e scienza. I giudizi certi infatti non hanno niente a che vedere con la storia, e anche qualora avessimo «letto tutti i ragionamenti di Platone e di Aristotile… non avremmo appreso delle scienze, a quanto pare, ma della storia»244. Monito, questo, che risuonerà severamente anche nelle pagine della Critica della ragion pura dedicate all’architettonica245. Se il Rinascimento si riferiva all’interpretazione, caratteristica prima

243 S. D’Agostino, Sistemi filosofici moderni. Descartes, Spinoza, Locke, Hume, ETS, Pisa 2003, p. 10.

244 Cartesio, Regulae ad directionem ingenii, III, in M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 71.

245 Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 511: «Se prescindo da ogni contenuto di conoscenza, considerata oggettivamente, ogni conoscenza allora, soggettivamente, è storica o razionale. La conoscenza storica è cognitio ex datis, quella razionale invece cognitio ex principiis. Una conoscenza originariamente data, donde che sia, in chi la possiede, è storica se egli conosce soltanto nel grado in cui, e per quel tanto per cui gli è stata data, vuoi per immediata esperienza o narrazione, o anche per istruzione (conoscenze generali). Quindi chi abbia propriamente imparato un sistema di filosofia, per es., il wolffiano, quantunque abbia nella testa tutti i princìpi, schiarimenti e dimostrazioni, nonché la divisione di tutta quanta la dottrina, e possa quasi contar tutto sulle dita, pure non ha altro che una conoscenza storica della filosofia di Wolff: egli sa e giudica solo quanto gli fu dato. Se gli contestate una definizione, egli non sa dove prenderne un’altra. Egli si è formato secondo una ragione estranea; ma

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dell’età classica è il riferimento all’ordine, il quale si applica sui segni. In altre parole, l’età classica

ha per strumento specifico il «sistema dei segni»246, in cui il segno non ha più niente a che vedere con

la divinazione, ma al contrario «introduce nella conoscenza la probabilità, l’analisi e la combinatoria,

l’arbitrarietà giustificata del sistema»247, aprendo così il campo dell’empirismo. È questa l’epoca in

cui nasce l’idea di genesi, potere di determinare un ordine a partire da quelle impressioni che la natura ci offre disordinatamente, di integrare la vaghezza della somiglianza con la componente virtuosa dell’immaginazione. Alla forma dell’esegesi testuale si oppone un uso del linguaggio critico: la rappresentazione diventa discorso e ordina il pensiero parte per parte, linearmente, proprio perché i fonemi possono essere emessi uno per volta. Tra il sogno di una lingua universale e il progetto di una enciclopedia assoluta, vengono alla luce classificazioni e tassonomie, animate da «una nuova curiosità»248 per le «scienze della vita»249. Nell’ambito della botanica si conierà il concetto di struttura, che permette di trascrivere nel linguaggio la composizione e il collegamento delle parti che formano una pianta prima, un animale poi:

La teoria della struttura che percorre, nell’intera sua estensione, la storia naturale durante il periodo classico, sovrappone, in una sola e medesima funzione, i compiti assolti nel linguaggio dalla

proposizione e dall’articolazione. In tal modo la possibilità d’una storia naturale viene a saldarsi alla mathesis. La teoria della struttura riconduce, infatti, l’intero campo del visibile a un sistema di variabili,

di cui tutti i valori possono essere stabiliti, se non in base a una quantità, per lo meno in base a una descrizione perfettamente chiara e sempre finita. Si può dunque, tra gli esseri naturali, fissare il sistema delle identità e l’ordine delle differenze. […] La grande proliferazione degli esseri alla superficie del globo può entrare, in virtù della struttura, nella successione di un linguaggio descrittivo, e a un tempo nel campo d’una mathesis concepita in quanto scienza generale dell’ordine. Questo rapporto costitutivo, a tal punto complesso, s’instaura nella semplicità manifesta d’un visibile descritto250.

L’applicazione di questa teoria può prendere due strade: si può partire da un insieme di individui, dal confronto tra i quali si dedurranno somiglianze e differenze o, al contrario, prendere le mosse da un numero limitato di tratti e studiarne le variazioni in un gruppo di individui. Il primo procedimento è chiamato Metodo, il secondo Sistema. Il sistema è inizialmente arbitrario, ma una volta fissate le sue caratteristiche dovrà attenersi alla coerenza; il metodo, al contrario, non dipende da una decisione, ma è vicinissimo alla descrizione e deve essere sempre pronto a correggersi. In entrambi i casi la

la facoltà imitativa non è la facoltà produttiva, cioè la conoscenza non è provenuta in lui dalla ragione; benché quella oggettivamente fosse assolutamente una conoscenza razionale, pure soggettivamente è meramente storica. Egli ha ben capito e ritenuto, cioè imparato; ed è una maschera di gesso d’uomo vivo».

246 M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 72.

247 Ivi, p. 78.

248 Ivi, p. 141.

249 Ibid.

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premessa è, evidentemente, che si dia continuità nella natura. Il presupposto epistemologico comune a questi due strumenti di analisi è quello che Foucault chiama il “contrassegno”, ossia l’individuazione di identità a partire dal reticolo delle differenze esistenti: una specie può emergere in virtù della propria caratteristica specifica, e assumere quindi il proprio carattere, solo a partire da uno schema preesistente di riferimento (la classificazione delle altre specie). La premessa implicita

in questa forma di episteme è, ancora una volta, legata alla continuità251, che non solo agisce sia sul

piano delle cose che sul piano delle parole come a priori storico, ma ne determina anche una serrata corrispondenza. Questa oggettivazione totalizzante non può accogliere il concetto di vita, ragione per la quale la storia naturale non può approdare, in età classica, al campo della biologia. Questa visione si traduce, sul piano filosofico, in un materialismo meccanicista che non esiterà a definire a più riprese l’uomo come una macchina della natura (basti pensare a La Mettrie).