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Esprit de système/esprit systématique

2. IL SISTEMA

2.3 S ISTEMA E SCIENZA

2.3.3 Esprit de système/esprit systématique

L’obiettivo che si pongono Diderot e D’Alembert nel progetto dell’Enciclopedia è, dato l’oggetto in questione, costitutivamente duplice: da una parte, lo scopo dell’enciclopedia è quello di «esporre nel

modo più esatto possibile l’ordine e la connessione delle conoscenze umane»265; in quanto dizionario,

essa «deve spiegare i princìpi generali su cui si fonda ogni scienza e arte, liberale o meccanica, e i più

notevoli particolari che ne costituiscono il corpo e l’essenza»266. Allo scopo di introdurre la propria

prospettiva materialista, i due autori procedono, sempre sulla scia di Locke e Condillac, alla distinzione tra conoscenze dirette e riflesse, dove le dirette sono quelle che riceviamo attraverso le nostre sensazioni, la cui esistenza è certa – a differenza, naturalmente, delle idee innate. La filosofia non è altro che la combinazione delle conoscenze, o idee, dirette. Segue la disamina dello sviluppo della conoscenza (dalla geometria alla letteratura, dall’astronomia alle belle arti) sullo sfondo del rapporto tra i moderni e gli antichi, e degli ostacoli innanzi ai quali quest’ultima ha subito battute d’arresto e le congiunture a partire dalle quali ha registrato forti accelerazioni. Per quanto riguarda la

filosofia moderna, essa si trova a fronteggiare «l’autorità spirituale congiunta a quella temporale»267,

e lo fa attraverso l’opera di alcuni grandi, tra i quali spicca la figura di Bacone:

Bacone, nato nel seno della notte più fonda, sentì che la filosofia ancora non esisteva, benché molti indubbiamente s’illudessero di eccellervi: più un’epoca è rozza, più crede di possedere tutto lo scibile. Egli iniziò con l’abbracciare da un punto di vista generale i diversi oggetti di tutte le scienze naturali; le ripartì in diversi rami, che enumerò nel modo più esatto possibile; passò in rassegna le conoscenze già acquisite sopra ciascuno di tali oggetti; fece poi il catalogo immenso di quanto restava da scoprire […] Nemico dei sistemi, considera la filosofia null’altro che quella parte delle nostre conoscenze, che

265 Diderot, D’Alembert, Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, ordinato da Diderot

e D’Alembert, tr. it. di P. Casini, Laterza, Bari 1968, p. 4.

266 Ibid.

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deve contribuire a renderci migliori o più felici: sembra che voglia limitarla alla scienza delle cose utili, e ovunque raccomanda lo studio della natura268.

Si capisce quindi che per D’Alembert essere nemico dei sistemi equivale da una parte a prestare fedeltà al principio di concretezza e, dall’altra, all’indugiare in una certa cautela speculativa; una sorta di bagno di umiltà del filosofo che rinuncia ai postulati (astratti) per rivolgersi ai fenomeni. Al cancelliere si deve l’albero enciclopedico che fa da modello al progetto dell’Enciclopedia, ma anche e soprattutto l’esempio di una genialità rispettosa dei limiti della conoscenza umana che non rinuncia alla semplicità nell’esposizione e che non smette mai di confrontarsi con l’esperienza. A tutta una serie di correzioni apportate all’assetto generale della struttura di Bacone si aggiunge una differenza essenziale, che occorre esplicitare, tra gli illuministi e il filosofo inglese: se Bacone si basava infatti sull’ordine storico dei progressi dello spirito, D’Alembert prende piuttosto la strada dell’ordine metafisico. Su questa via incontra prima Cartesio, felice matematico (soprattutto nel modo in cui applica l’algebra alla geometria) ma filosofo non altrettanto felice, dato lo stato larvale in cui la filosofia verteva, e poi Newton, che offre invece alla neonata scienza una forma duratura: quest’ultimo lega infatti la fisica all’esperienza e alla geometria, e prosegue con grande modestia verso le più rigorose dimostrazioni. Egli si dedicò alla metafisica, dato che «era troppo filosofo per non rendersi conto che essa è il fondamento di tutte le nostre conoscenze e che soltanto in essa si

debbono ricercare nozioni nette e precise di ogni cosa»269, ma forse per timore di essere frainteso,

forse perché non soddisfatto dai risultati, non la divulgò. Questo compito fu assunto invece da Locke, il quale viene qui considerato il vero e proprio creatore della metafisica. Seguendo l’indicazione cartesiana del discendere nel profondo di se stesso, egli presentò poi nel Saggio sull’intelletto umano i risultati di questa «fisica sperimentale dell’anima»270, svelando così che i principi sui quali si basa sono gli stessi per il filosofo e per il popolo. In altre parole, il modo per conoscere il mondo non è proprietà esclusiva del dotto o dello scienziato, ma si fonda su regole universali. Altro metafisico al quale viene riservato un certo spazio è Leibniz: annoverato tra i grandi geni, per la profondità con la quale ha affermato l’insufficienza delle spiegazioni fino a quel momento fornite dei «fenomeni più alti» e per le sue doti di matematico, egli pecca però di tracotanza, nella narrazione di D’Alembert, quando aggiunge alla pars destruens un vero e proprio sistema metafisico, fondato sulle monadi, sul principio di ragion sufficiente e su una ottimistica teologia. Dato che il compito principale della filosofia è quello di istruire, essa deve sforzarsi di non cedere alla tentazione dell’immaginazione o al vizio stilistico,

268 Ivi, pp. 57-58.

269 Ivi, p. 65.

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perciò appunto il gusto dei sistemi, più atto a lusingare l’immaginazione che ad illuminare la ragione, è oggi quasi del tutto bandito dalle buone opere. Uno dei nostri migliori filosofi, sembra avergli inferto un colpo decisivo [il riferimento è a Condillac]. Lo spirito d’ipotesi e di congettura poteva essere utilissimo una volta, ed era stato persino necessario per la rinascita della filosofia, poiché allora occorreva – prima di pensare bene – imparare a pensare con la propria testa. Ma i tempi sono mutati e uno scrittore che oggi prendesse a lodare i sistemi giungerebbe troppo tardi. I vantaggi che questo spirito può recare oggi sono troppo pochi per equilibrare gli inconvenienti che ne scaturiscono; e chi pretendesse di dimostrare l’utilità dei sistemi mediante il ridottissimo numero di scoperte che un tempo essi promossero, potrebbe anche consigliare ai nostri geometri di dedicarsi alla quadratura del cerchio, perché i tentativi compiuti da molti matematici per trovarla hanno reso possibile la scoperta di taluni teoremi. Lo spirito di sistema [esprit de système] sta alla fisica come la metafisica sta alla geometria. Se serve talvolta ad avviarci sulla via della verità, è quasi sempre inetto a guidarci da solo. Illuminato dall’osservazione della natura, può intravvedere le cause dei fenomeni; ma spetta al calcolo verificare – per così dire – l’esistenza di tali cause, valutando con esattezza gli effetti che possono produrre e mettendoli a confronto con quelli che ci rivela l’esperienza. Ogni ipotesi, priva di tale ausilio, di rado acquista quel grado di certezza che è sempre necessario nelle scienze naturali, e che nondimeno è tanto raro in quelle frivole congetture che si onorano con il titolo di sistemi. Se potessero esservene soltanto di questo tipo, merito precipuo del fisico sarebbe propriamente di aver spirito di sistema, e di non farne mai. Quanto all’uso dei sistemi nelle altre scienze, mille esperienze dimostrano quanto sia pericoloso271.

Lo spirito di sistema è quindi una sorta di allucinazione che tende a sostituirsi al duro lavoro delle osservazioni, dei calcoli e delle dimostrazioni, rendendosi così responsabile di fantasticherie travestite da trattati scientifici. All’universalità aprioristica dei principi delle grandi metafisiche del XVII secolo, D’Alembert preferisce, sempre sulla scia di Condillac, la validità relativa dell’analisi, che nel suo confronto costante con la realtà si imbatterà di volta in volta in punti d’arresto, fino al momento in cui, attraverso ulteriori indagini e l’ausilio di quei geni che in ogni tempo beneficiano il genere umano del proprio passaggio sulla terra, non riuscirà ad avvicinarsi di un ulteriore passo all’unità della natura, che resta comunque presupposta. In questo risiede l’esprit systématique che, come sembra suggerire Cassirer, pur non esprimendosi in questi termini, è l’elemento di continuità tra il XVII e il XVIII secolo: la relatività di cui parlano Condillac e D’Alembert non intacca infatti minimamente il potenziale omnicomprensivo della ragione umana, né la continuità della natura e, di

conseguenza, la possibilità di elaborare una unica scienza in grado di spiegare tutti i fenomeni272. Se

271 Ivi, p. 75.

272 Cfr. E. Cassirer, La filosofia dell'illuminismo, tr. it. E. Pocar, La Nuova Italia, Firenze, 1967, pp. 42-45: «Certamente la forma di sistema non può essere impressa dal di fuori ai singoli fatti ma deve scaturire da essi stessi. I “princìpi” che dobbiamo cercare dappertutto, senza i quali non è possibile alcuna conoscenza sicura in alcun campo, non sono inizi del pensiero scelti ad arbitrio e imposti all'esperienza concreta in modo da modificarla; sono invece le condizioni universali,

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l’imperativo «un roi, une loi, une foi» del XVII secolo trovava il proprio fondamento nel postulato, astratto, dell’unità, il secolo seguente mira a dimostrare quella stessa unificazione a partire da una descrizione scientifica prodotta attraverso l’analisi, il cui presupposto resta comunque l’esistenza di tale continuità. Proprio per questo il sistema non è, come crede D’Alembert, ormai sconfessato, ma al contrario si avvicina a grandi passi verso la stagione della sua fioritura, e con esso l’idea secondo la quale la ragione sia concetto «non già di un essere, ma di un fare»273, ossia movimento di ricostruzione della struttura della totalità al fine di comprenderla.